lo sheriff batte il real al bernabeu
Giulia Zonca per “La Stampa”
La squadra senza stato porta il nome di un'azienda-patria ed è impossibile trovare coordinate certe: la Sheriff Tiraspol è una matrioska di autonomie che ha battuto il Real Madrid. Ma questa non è la favola dei piccoli intraprendenti contro i giganti spocchiosi, è il comunismo creativo che segna molto più di un gol. O di due.
La Sheriff nasce in Transnistria, un nome su una mappa che non corrisponde ad alcun governo riconosciuto, una cerniera tra Ucraina e Moldavia, il Paese da cui si è dichiarata indipendente all'inizio degli anni Novanta, quando è crollata l'Unione Sovietica e loro sono rimasti su, in mezzo.
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A metà tra Est e una certa fantasia di Ovest, tra il passato e il futuro, tra un ideale socialista e il calcio mercato. La compagnia Sheriff entra in affari nel 1993, una holding che si occupa di tutto e soprattutto lo fa in un regime di monopolio.
L'unica azienda di telefonia mobile della zona, l'unica rete televisiva privata della regione, l'unica catena di supermercati nel giro di chilometri e pure un partito politico, affiliato alla Russia che per non dare nell'occhio occupa anche il territorio militarmente. Ufficialmente mantengono la pace ai confini inventati.
In questo contesto da vecchio West, lo sceriffo è per forza una figura controversa: la Sheriff esiste dal 1997, l'hanno creata due ex spie del Kgb ed è un club satellite, un pezzo del sistema Transnistria, scatola per dare una geografia all'industria Sheriff che a sua volta si nutre della popolarità della squadra omonima.
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Una matrioska, appunto. Si sono presi 19 titoli dell'inesistente campionato moldavo in 21 anni. Non hanno rivali, le partite finiscono 8-0 per loro e quando qualcuno segna cambiano le regole. Prima ci dovevano essere sei giocatori del vivaio in squadra, ora liberi tutti.
Così loro comprano ovunque. Non ancora degli assi: volendo potrebbero, solo che sanno di dover essere interessanti prima di mettere i soldi sul tavolo. E ci stanno riuscendo.
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Due successi di fila nella prima partecipazione alla Champions dopo tre comparsate in Europa League, l'ultima nel 2014. Hanno sei punti, in testa al girone davanti al Real Madrid, appena umiliato con un 2-1 e all'Inter, prossima avversaria, il 19 ottobre.
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È vero che hanno la rosa meno cara dell'intero torneo, però non sono piccoli e tanto meno poveri, sono gli sceriffi di una landa senza legge dove ognuno fa i propri interessi, spesso loschissimi, e lascia una quota per il passaggio.
Si preparano ad accogliere le star che un giorno decideranno di frequentare la terra di nessuno. Hanno costruito un centro sportivo all'avanguardia con due stadi all'aperto e uno al coperto, più otto campi di allenamento, un hotel e la scuola calcio, il tutto per 200 milioni di dollari circa.
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Ci vuole visione, come quella di Sebastien Thill, l'uomo che ha rifilato al Real di Ancelotti la rete della sconfitta e che porta il numero 31 sulla maglia e sul polpaccio.
Nel disegno di sé, che ha fatto da ragazzino, si immaginava di giocare la Champions diventata reale. Undici allenatori nell'ultimo decennio, il più longevo è un italiano, Roberto Bordin, che ha resistito 18 mesi tra il 2016 e il 2018 e oggi è ct della Moldavia. Traditore. O almeno a Tiraspol, città che vive all'ombra di una gigantesca statua di Lenin, la vivono così. La Transnistria non cerca approvazione, se la prenderà su un campo di calcio