1. EMANUELA ORLANDI, IL FRATELLO PIETRO E PAPA WOJTYLA: DALLA DEVOZIONE DI 40 ANNI FA ALLE ACCUSE RECENTI
Estratto dell’articolo di Fabrizio Peronaci per www.corriere.it del 19 aprile 2023
EMANUELA ORLANDI 3
Il caso Emanuela Orlandi dopo il duro monito di papa Francesco: uno spartiacque, nella vicenda (giudiziaria e mediatica) della "ragazza con la fascetta". All'indomani della replica netta e irritata di Bergoglio - durante la recita dell'Angelus - alle “accuse offensive e infondate” contro Giovanni Paolo II fatte circolare dal fratello Pietro, nubi pesanti si sono addensate attorno alla ricerca della verità sulla scomparsa della quindicenne cittadina vaticana, avvenuta nel lontanissimo 22 giugno 1983.
[…] Di certo "lo schiaffo di Pietro" ha suscitato ira e sgomento nelle sacre stanze, accompagnate da dichiarazioni ufficiali di disponibilità «a cercare la verità, innanzitutto per mamma Maria che soffre molto», come precisato (di certo non casualmente, evitando di citare il fratello) dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, la mattina del 19 aprile.
EMANUELA ORLANDI
«Mi dicono che la pedofilia era su, molto in alto… E che il papa usciva la sera con due monsignori, certo non per benedire le case…» erano state le parole pronunciate in tv dal fratello di Emanuela, salvo poi precisare che la fonte nel frattempo è morta. Un boomerang anche per molti follower del suo gruppo Fb, di solito compatti nel sostenerlo. […]
Ne è passato di tempo da quando nell'appartamento degli Orlandi, in piazzetta Sant'Egidio, a ridosso del Palazzo Apostolico, nessuno alzava un cucchiaio fino a che papà Ercole, compunto e severo, non si sedeva a tavola e con un cenno dava il via alla preghiera prima del pasto. La famiglia del messo pontificio morto nel 2004 è sempre stata credente, devota, quasi bigotta.
papa giovanni paolo ii ali agca
La bufera di questi giorni, quindi, somiglia a una nemesi: l'unico figlio maschio, tenace e indomito per scoprire la fine fatta dalla sorella (Emanuela era la quarta, le altre tre sono Natalina, Federica e Cristina), a causa dell'eccesso di presenza mediatica e di analisi molto tranchant («Non faremo sconti a nessuno»), rischia egli stesso di indebolire la battaglia contro omertà e reticenze.
Le foto di famiglia
Ai tempi della scomparsa - in quel terribile 1983 - a casa Orlandi il profilo si teneva basso, nell'assoluto rispetto delle gerarchie: Wojtyla era considerato un papa carismatico e sensibile, quasi venerato. I genitori affidarono le loro speranze di riabbracciare la figlia proprio a lui, Giovanni Paolo II, che il 22 giugno 1983 (forse non un caso) si trovava in Polonia per sostenere la causa di Solidarnosc.
papa giovanni paolo ii
Dopo il primo appello del 3 luglio (il famoso "Condivido le ansie e l'angosciosa trepidazione della famiglia Orlandi, la quale è nell'afflizione per la figlia...") lo ringraziarono con le lacrime agli occhi. Seguirono altri sette appelli dalla finestra dell'Angelus, segno della grande partecipazione del pontefice, anche intima, personale, alla tragedia del suo impiegato. L'album di famiglia racconta molto di quella sofferenza.
Sono foto intense, insieme dolci e drammatiche. Mamma Maria consolata da Karol, che le accarezza i capelli. Pietro in posa con lui, elegantissimo. Pietro vestito casual - jeans e pullover - che lo fissa negli occhi, cercando in lui la forza di andare avanti. Ancora Pietro con una maglietta chiara davanti al Santo Padre, che lo indica quasi a volergli assegnare un compito. E ancora: la famiglia Orlandi al completo attorno all'illustre vicino di casa, Wojtyla con i bimbi della parrocchia, Emanuela all'estrema destra, vestita di bianco...
PIETRO ORLANDI
L'offerta di lavoro
Il Papa santo, al di là del crescendo di critiche degli ultimi dieci anni e delle intemerate delle ultime ore, nella vita di Pietro è stato una figura cruciale, presente nei momenti topici. Fu lui ad assumerlo allo Ior, la banca vaticana, dove Pietro conobbe Patrizia, sua moglie e madre dei sei figli. L'episodio l'ha raccontato lui stesso nel libro "Mia sorella Emanuela". Era il 24 dicembre 1983, vigilia di Natale.
LA VERITA SUL CASO ORLANDI - VIGNETTA BY MACONDO
Eccola, la scena clou: «Il papa salì la rampa di scale che porta in casa Orlandi, percorse il corridoio, si affacciò nella cameretta di Emanuela con la bambola dalle gote rosse e arrivò in salotto. A Pietro sembra ieri. “Giovanni Paolo II era in piedi, che ci porgeva i suoi regali: un bassorilievo raffigurante una Madonna e un cesto... Fu in quell’occasione che mi posò una mano sulla spalla e disse: questo giovane vuole diventare banchiere? Vedremo di farlo lavorare allo Ior”...»
E Pietro come reagì? Risposta: «Bisbigliai qualche parola di ringraziamento… Poi, al momento degli auguri finali, Wojtyla pronunciò davanti a tutti noi l’altra frase che non dimenticherò mai: cari Orlandi, voi sapete che esistono due tipi di terrorismo, uno nazionale e uno internazionale. La vostra vicenda è un caso di terrorismo internazionale...»
La pista principale
GIOVANNI PAOLO II WOJTYLA IN MONTAGNA
La sintonia con il papa polacco, per il fratello-investigatore, durò almeno fino al 2011, anno in cui mamma Maria partecipò alla cerimonia di beatificazione (il 1° maggio): «Non potevo mancare. Sua Santità ci è stato vicino quand'era in vita e adesso da lassù, da beato, spero possa fare il miracolo, regalarmi la gioia di riabbracciare mia figlia».
Quello stesso anno, nel mandare alle stampe il libro, fu lo stesso Pietro a scegliere la frase della quarta di copertina: «Io so chi ha rapito Emanuela quel 22 giugno 1983: le prove sono evidenti, un sistema, un intreccio di poteri… Basta collegare l’attentato al Papa con il sequestro di mia sorella… I mandanti volevano condizionare la volontà di Karol Wojtyla». L'adesione alla pista confidata da Wojtyla nella visita pre-natalizia, di cui doveva aver parlato a lungo con suo padre, all'epoca era dunque piena, meditata.
Il cambio di rotta
pietro orlandi, fratello di emanuela orlandi
Poi, la linea è mutata. In coincidenza con la popolarità in crescita, il fratello di Emanuela ha iniziato a rivedere le proprie posizioni sull'accaduto. Possibilista sulla partecipazione al sequestro della banda della Magliana («ha avuto un ruolo come manovalanza»), ma ostile e infastidito da un personaggio come Marco Accetti, il fotografo che nel 2013 consegnò il flauto riconosciuto come quello di Emanuela, parlò di pressioni sui genitori (sia su Ercole Orlandi sia su Paolo Gregori, papà di Mirella, l'altra ragazza scomparsa) e delineò un movente compatibile con la pista internazionale (rapimento con finalità multiple, da un lato indurre Agca a ritrattare le accuse a Est e dall'altro ricattare il capo della Ior Marcinkus per il flusso illegale di finanziamenti in Polonia).
La popolarità
WOJTYLA GIOVANNI PAOLO II A NAPOLI
Man mano che l'attenzione dei media saliva, Pietro ha ritoccato a più riprese la sua versione, dando la sensazione di aver perduto precedenti certezze e di privilegiare un'indagine a 360 gradi, da tenere perennemente aperta. Due le frasi ricorrenti: «Io mia sorella la cerco viva» e «Sono convinto che ogni pista contenga un pezzetto di verità».
Intanto, assieme alle interviste, alla collaborazione al film del regista Faenza ("La verità è in cielo", 2016), al confronto con i giornalisti nel ruolo non più di parente ma di collega (al tempo della conduzione di un programma su Sky, anni 2017-18), il fratello della quindicenne scomparsa, di volta in volta, rincarava le accuse al papa polacco. Eccolo, un altro mantra: «La colpa di Giovanni Paolo II? Aver fatto calare una cappa di silenzio sulla vicenda di Emanuela».
Marco Accetti
La trattativa (presunta)
Un presenzialismo forte, di certo motivato da passione sincera e dal desiderio di ottenere giustizia, ma anche frasi avventate, come quelle sulla mai dimostrata "trattativa" (nel 2012) tra magistratura romana e Gendarmeria vaticana «per la restituzione del corpo di Emanuela», gli annunci a ripetizione di essere a conoscenza di eventi inconfessabili «capaci di far crollare duemila anni di storia della Chiesa» o lo slogan scelto lo scorso gennaio per lanciare l'ennesimo sit-in a San Pietro: «Il silenzio li ha resi complici», scritto sopra la foto di ben tre papi, non più soltanto Wojtyla, ma anche Ratzinger e Bergoglio.
pietro orlandi 4
E adesso è arrivato l'ultimo duplice attacco, giudicato "infamante e calunnioso" dai vertici della Chiesa, con la diffusione dell'audio (registrato nel 2009) di un malavitoso che blatera su Wojtyla e delle voci non provate (di una persona defunta) sul Papa santo a zonzo di notte per Roma. Inevitabile lo sconcerto, in Vaticano e fuori.
Il senso di colpa
Ma sono proprio le foto dell'album di famiglia, in fondo, a dirci qualcosa in più: la dimestichezza con i pontefici, il fatto di averli incontrati spesso da ragazzino in casa o mentre giocava nei giardini vaticani con i figli di altri dipendenti della Santa Sede, deve aver pesato su certe condotte sopra le righe di Pietro Orlandi. Un'attenuante?
Anche il quarantennale senso di colpa provato per non aver accompagnato Emanuela alla scuola di musica, quando lei glielo chiese con insistenza, quel maledetto pomeriggio del 22 giugno, potrebbe aver influito nell'approccio. […]
2. CHI È MARIO MENEGUZZI, LO ZIO DI EMANUELA ORLANDI ACCUSATO DI MOLESTIE SULLA SORELLA DELLA 15ENNE SCOMPARSA: IL RUOLO DI PORTAVOCE, LA PRIMA TELEFONATA SEGRETA
Estratto dell’articolo di Fabrizio Peronaci per www.corriere.it
un'immagine d'archivio mostra papa giovanni paolo ii, ferito in piazza san pietro, sorretto dai collaboratori, qualche istante dopo l'attentato.
«La mia bambina, mi dica... Sta bene?» Adesso che i ruoli si sono per certi versi capovolti, e il portavoce della famiglia Orlandi, quello «zio Mario» che tanti si chiedevano perché avesse avuto l'incarico di rispondere al telefono, è stato chiamato in causa nella vicenda, il giallo di Emanuela Orlandi va letto da un angolo visuale nuovo. Il fratello Pietro, in vista della conferenza stampa indetta per ribattere al "fango", ha tuonato: «Sono furioso, vogliono scaricare la responsabilità sulla famiglia».
I collegamenti tra le presunte molestie dello zio in famiglia e la scomparsa di Emanuela, in effetti, per ora non ci sono. […] Ma le domande restano e inquietano l'Italia, dopo 40 anni in attesa della verità. Chi era davvero Mario Meneguzzi, cognato di Ercole, il papà di Emanuela? Hanno fondamento le accuse di abusi da parte dello zio paterno (sua moglie Lucia era sorella del messo pontificio) a Natalina, la prima delle sorelle Orlandi, di cui c'è traccia negli atti della prima inchiesta?
Marco Accetti
Perché tali voci, "silenziate" per 40 anni, adesso sono state rilanciate dalla Santa Sede, grazie alla lettera ripescata in Vaticano in cui l'allora Segretario di Stato Casaroli chiese al confessore di Natalina conferma degli abusi? Si tratta forse di una "rivalsa" seguita alle accuse di Pietro Orlandi a Giovanni Paolo II di tre mesi fa?
Le prime risposte non possono che venire da una maggiore conoscenza del personaggio. Mario Meneguzzi, defunto da molti anni, padre di tre figli, Pietro, Giorgio e Monica, all'epoca era direttore della caffetteria di Montecitorio: a partire dal 22 giugno 1983 diventò famoso per l'incarico che gli fu affidato dai genitori di Emanuela di gestire lui i rapporti con l'esterno, giornali e soprattutto i rapitori della quindicenne.
agostino casaroli
In un primo tempo fu anche oggetto di "attenzioni" degli investigatori e ripetutamente pedinato, da Roma alla casa al mare a Santa Marinella, nell'ambito della "pista familiare", poi lasciata cadere. Nella ventina di conversazioni con i sequestratori registrate dalla polizia, oltre all'avvocato Gennaro Egidio, compare quasi sempre Meneguzzi che parla sia con il sedicente "Mario", il secondo telefonista apparso sulla scena dopo "Pierluigi" il 28 giugno 1983 (la cui voce somiglia molto a quella di Marco Accetti) sia con il cosiddetto "Amerikano".
Mario Meneguzzi parlando con i suoi interlocutori all'inizio finse di essere il papà, Ercole, e i milioni di appassionati al caso della "ragazza con la fascetta" adesso hanno nelle orecchie la domanda sulla "sua bambina" rivolta con voce strozzata («Mi dica almeno come sta! Sta bene?»).
Perché dunque il cognato scelto portavoce? È una domanda che a questo punto assume rilievo. Forse perché era ricattabile? Ercole Orlandi chiarì subito di non essere nella condizione emotiva di "reggere" al peso della comunicazione esterna, ma un mese dopo (intervista al Corriere del 26 luglio 1983) fu lo stesso Meneguzzi a chiarire il suo ruolo e anche qualcosa di più: «Sono stato io a nominare l'avvocato Gennaro Egidio, perché lo ritengo più adatto in questo genere di cose», dichiarò.
NATALINA ORLANDI
Egidio, legale che aveva già trattati affari legati ad ambienti ecclesiastici, era considerato molto vicino ai servizi segreti italiani, tanto che a proporlo, secondo quel che si era saputo finora, era stato uno degli agenti del Sisde presenti in casa Orlandi all'indomani della scomparsa. Ma a quale "genere di cose" alludeva Meneguzzi?
Lo zio aveva forse contezza già nella primissima fase della partecipazione degli apparati di sicurezza all'operazione compiuta sulla pelle di sua nipote? Di certo papà Ercole, molti anni dopo, in prossimità della morte, dichiarò testualmente in una delle poche interviste concesse (Corriere, 13 maggio 2001) che a rapire sua figlia «erano stati i servizi segreti».
ERCOLE ORLANDI
Sempre legato alle "barbe finte", va considerato un altro tassello: Giulio Gangi, il giovane agente del Sisde morto lo scorso anno, si presentò a casa Orlandi due giorni dopo e sostenne di essersi attivato per la sua amicizia con Monica Meneguzzi, la giovane figlia di Mario conosciuta l'estate precedente in un paesino in provincia di Rieti, di cui si era invaghito. La conoscenza riguardava anche il padre?
E c'è dell'altro. Secondo recenti rivelazioni pervenute all'autore di questo articolo, furono gli stessi rapitori, la sera del mancato ritorno a casa di Emanuela, a chiedere che i rapporti con la stampa e le autorità venissero affidati allo zio, con uno scopo preciso: sincerarsi che la famiglia avesse preso sul serio l’accaduto, vale a dire che il rapimento era «a scopo di ricatto».
giulio gangi
Dare immediato seguito alla richiesta su chi dovesse essere il portavoce, in altri termini, sarebbe stato il primo atto di un braccio di ferro con la famiglia poi andato avanti per oltre due anni. E, a questo proposito, va segnalata anche un'altra indiscrezione proveniente da fonte investigativa, finora non rivelata: la prima telefonata alla famiglia Orlandi sarebbe pervenuta in realtà non il 25 giugno (con "Pierluigi") ma già la sera del 22, non ai genitori di Emanuela bensì a casa dello stesso Meneguzzi. Un ragazzo avrebbe chiesto di parlare con Monica, la figlia, alla quale sarebbe stato detto che Emanuela stava bene e che doveva essere il padre a fare il primo appello.