Boris Sollazzo per leggo.it
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Il Drive-In di Casal Palocco è l’emblema di un quartiere che è cinema puro. Non solo grazie a Dario Argento che lo ha reso luogo cinematografico iconico con Tenebre ma anche perché quella forma, urbanistica, estetica da suburbs americani non li trovi da nessun altra parte nella Capitale e forse in tutta Italia. E solo lì poteva sorgere il Drive-In più grande d’Europa, con l’essenziale insegna “Cinema in Auto” a Piazza Fonte degli Acilii. Perché quelle vie le abbiamo viste anche in tanti film americani, tanto che se Palocco avesse targhe del New Jersey noi non ci stupiremmo.
Vogliamo fa’ l’americani, ce lo diceva anche Carosone, da sempre. Il dopoguerra a stelle e strisce ha colonizzato il nostro immaginario, partendo proprio dal cinema. E quando abbiamo cominciato a vederli nel retro dei loro pick-up, sdraiati a guardare un film o quando romantici e timidi primi appuntamenti venivano messi in scena in molte pellicole proprio in quei prati e davanti a quegli schermi giganti, noi non riuscivamo a non desiderare qualcosa del genere.
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E così il 29 agosto 1957 tra Axa e Casal Palocco, a ridosso della Colombo, costruito da Galdieri (allievo di Nervi, quello dello Stadio Flaminio) prende corpo il primo drive-in in Italia, il più grande d’Europa – 60.000 metri quadri, che venivano divisi tra macchine e motociclisti a cui veniva riservata una sdraio -, il Metro Drive In a Piazza Fonte degli Acilii.
Un successo, anche se mai comparabile a quello americano che negli stessi anni arriverà a 4000 di queste strutture (ora anche nella terra dell’abbondanza sono meno di 400) e che vedrà un declino ancora più repentino che dall’altra parte dell’Atlantico.
Perché i drive-in, siamo sinceri hanno davvero funzionato solo in America, per motivi piuttosto banali: l’ossessione per lo spostamento su gomma, l’uso massivo di piccoli autocarri con cassone (i pick-up appunto) che erano piuttosto comodi per i puristi del cinema, il costo limitato fino agli anni ’80 di terreni, strutture e spese accessorie (poi, invece, la bolla immobiliare ne rese molti edificabili e le imprese familiari che erano alla base di queste iniziative monetizzarono l’investimento).
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Noi, drogati di utilitarie, ci condannavamo a vedere film attraverso vetri mai troppo puliti e con un improbabile e complicato aggeggio a forma di telefono per l’audio (ora va meglio, nelle strutture moderne, benedetto bluetooth). I drive-in erano alcove di strani amori, primi appuntamenti affascinanti, l’inizio di una serata goliardica, non certo un luogo per appassionati. Era la bandiera di un cinema non elitario ma di massa, che era centrale nell’intrattenimento collettivo, era popolare e alla buona. In tutto il mondo comincia a spopolarsi, il sistema dei cinema all’aperto con auto al seguito, quando i prodotti diventano più tecnicamente sofisticati e inevitabilmente la differenza tra una proiezione di qualità e quella su quell’immenso schermo di cemento di 540 metri quadri diventa insostenibile anche a occhi e orecchie poco allenate.
Ma che ci fossero quegli enormi spazi dedicati alla Settima Arte, lì come sulla Domiziana in Campania e in molte altri regioni, era un sintomo di benessere del cinema, di un paese che sentiva il bisogno di osare e divertirsi, della voglia sfrontata di una società di esibire una grandeur con infrastrutture ambiziose per spazi, architettura e destinazione d’uso.
Ora quel sogno viene spezzato via, dopo decenni di disuso, un tentativo di rilancio nel 1997 e quella bellissima due giorni di settembre (11 e 12 del 2015) in cui i ragazzi del Cinema America d’accordo con i proprietari lo resuscitarono (ripulendo l’area e riattrezzandola) per due giorni di proiezioni di Grease, forse il film che ha portato i drive-in negli occhi di tutto il mondo.
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L’anno scorso tutti scommettevano sul suo rilancio. Pandemia e lockdown per qualche settimana avevano convinto musica e cinema a puntare di nuovo su questa modalità di visione e fruizione degli eventi, cinematografici e musicali. Ciotoli del Cineland lo ha messo in atto in Via Romagnoli, un paio di concerti con macchine in giro per il mondo si sono visti. Ma i costi erano troppo alti e il cinema non aveva più il numero di spettatori di un tempo e tanto meno post Covid. E anche lì, tutto è rimasto un sogno, una speranza di ritorno al passato per mettere un piede nel futuro.
E invece no, questo maledetto virus ha ucciso anche quella possibilità. E di drive-in è rimasto solo il vaccino a Valmontone o i tamponi di Santa Maria della Pietà per chi è romano. Al massimo possiamo farci servire in macchina da un fast-food. Niente di più.
Si spegne un altro sogno con l’abbattimento anche fisico di quel monumento moderno a un’arte insieme popolare e alta. Ora tra streaming e smartphone i film possiamo vederli in pochi centimetri. E forse per questo non abbiamo più il coraggio e l’incoscienza di pensare in grande.