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    LONDRA NEL CAOS: CHE SUCCEDE DOPO LE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON? –NON CI SARANNO NUOVE ELEZIONI: LA PRASSI PREVEDE CHE SIA IL PARTITO DEL PREMIER A DECIDERE IL NUOVO PRIMO MINISTRO CON UNA CONSULTAZIONE INTERNA. “BOJO” PUNTA PROPRIO SULLA LOTTA INTERNA TRA I SUOI POSSIBILI SUCCESSORI PER RIMANERE IL PIÙ POSSIBILE AGGRAPPATO AL PORTONE DI DOWING STREET. MA I TORY VOGLIONO FARLO FUORI IL PRIMA POSSIBILE – I PAPABILI PER PRENDERE IL SUO POSTO: NADHIM ZAHAWI, LIZ TRUSS, PRITI PATEL, E SOPRATTUTTO RISHI SUNAK E BEN WALLACE


     
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    1 - CHE COSA SUCCEDE ORA DOPO LE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON?

    Antonello Guerrera per www.repubblica.it

     

    CLOWNFALL - LA COPERTINA DI THE ECONOMIST SULLE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON CLOWNFALL - LA COPERTINA DI THE ECONOMIST SULLE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON

    E ora, con Johnson che ha annunciato le dimissioni da primo ministro, che cosa succede? Ci saranno nuove elezioni nel Regno Unito? La risposta è no, perché il sistema elettorale e costituzionale del Regno Unito è molto particolare, tanto che non ha nemmeno una vera costituzione ma una base come la Magna Carta del 1215 e poi tanti codicilli e convenzioni maturati nei secoli. Il sistema elettorale poi è uninominale secco con il sistema "first past the post": colui che ottiene più voti, vince il seggio.

     

    Al voto non prima del 2024

    In ogni caso, al voto si andrà solo quando previsto, nel 2024. Ora, come convenzione nella politica britannica, se un primo ministro e leader di partito viene sfiduciato dai suoi, lo stesso partito al potere, in questo caso i conservatori di Boris Johnson, possono indicare il loro nuovo leader e dunque il primo ministro per tutto il Paese.

     

    Ciò mediante una loro consultazione interna, in attesa che si torni al voto per le elezioni nazionali. Un metodo oramai storico, che però ha sempre destato polemiche: per esempio, adesso, il nuovo capo di governo britannico sarà indicato, alla fine, da circa 200mila iscritti e attivisti tory, in gran parte anziani, ricchi o benestanti.

     

    BORIS JOHNSON BORIS JOHNSON

    In ogni caso, Johnson dovrebbe rimanere comunque in carica, seppur dimissionario, fino all'autunno. In estate verrà scelto il prossimo leader dei conservatori e dunque il nuovo primo ministro, come impongono le regole dei tories. Tuttavia, il leader del Labour, Sir Keir Starmer, non ci sta, e chiede che Johnson vada via immediatamente. Altrimenti, chiederà l'ulteriore umiliazione per Boris di un voto di sfiducia in Parlamento. Anche diversi parlamentari tory sono scettici di mantenere Johnson al potere per altri mesi, anche perché temono sue eventuali forzature costituzionali.

     

    Il processo tory per sostituire un leader

    dimissioni boris johnson dimissioni boris johnson

    Quando un leader dei conservatori viene sfiduciato dai suoi o si dimette, parte il processo per sostituirlo che in genere dura tra uno e tre mesi a seconda del livello di competizione tra sfidanti. In genere le regole cambiano spesso perché è la "Commissione 1922" che le decide, ossia l'organismo che rappresenta i deputati conservatori "backbencher" che non hanno incarichi di governo. In ogni caso, se rimanessero quelle che hanno incensato Boris Johnson dopo la caduta di Theresa May, tutti i deputati che aspirano a diventare primo ministro possono presentare la propria candidatura se sono sostenuti da almeno 8 colleghi tory.

     

    dimissioni boris johnson dimissioni boris johnson

    Questa è la prima scrematura. Poi tutti i deputati tory votano più volte e ad oltranza il loro candidato preferito, ogni volta con una soglia diversa sotto la quale si è eliminati: quando vinse Johnson, le soglie furono 17 per passare al secondo turno, 33 per il secondo e cosi via, fino a quando ne rimangono solo due. Solo allora, parte una campagna itinerante composte dalle cosiddette "hustings", una specie di confronti faccia a faccia tra i candidati in giro per Paese. Al "ballottaggio" finale votano solo i cittadini britannici iscritti al partito conservatore. Ecco chi sono i favoriti a succedere a Johnson.

     

    2 - COSA SUCCEDE DOPO LE DIMISSIONI DI JOHNSON

    Gianfranco D’Anna per www.formiche.net

    carrie johnson alle dimissioni carrie johnson alle dimissioni

     

    L’avvitamento della crisi politica inglese che ha determinato le convulse dimissioni del primo ministro Boris Johnson, dai più considerato un premier per caso, parte da lontano e si può considerare l’effetto dell’onda lunga della Brexit.

     

    A sei anni dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, il Regno Unito ha un deficit della bilancia commerciale a livelli record, mentre l’inflazione che sfiora il 9 % annuo incrina la stabilità della Sterlina e falcidia il reddito dei cittadini britannici che dal 2016 ha registrato, secondo i dati Ocse, una perdita pro capite di 4.520 sterline (quasi 5.500 euro). La più alta rispetto alla media dei 19 Paesi dell’eurozona.

     

    dimissioni boris johnson 1 dimissioni boris johnson 1

    In questo contesto di grave crisi socio economica con un’ondata di scioperi a tappeto, si inserisce la crisi parallela intanto di credibilità e poi di efficienza del Governo Johnson, che ha aggravato i già pesanti bilanci della crisi del coronavirus e poi quella energetica scatenata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin.

     

    Con prospettive ritenute pessime: “l’inflazione avrà effetti peggiori e più prolungati nel Regno Unito rispetto ad altri Paesi, tanto che a breve potrebbe addirittura sfondare quota +11%. E anche l’economia crescerà di meno”, ha affermato il governatore della Bank Of England, Andrew Bailey.

     

    carrie johnson e i dipendenti di downing steet - dimissioni di boris johnson carrie johnson e i dipendenti di downing steet - dimissioni di boris johnson

    Invece di fronteggiare la situazione, Johnson ha dovuto giustificare all’interno del partito conservatore e al cospetto del Parlamento inglese vari comportamenti privati spesso abbondantemente al limite, se non della decenza, quanto meno dell’opportunità politica.

     

    Logorato dagli scandali e messo alle corde da una clamorosa serie di dimissioni a catena di ministri e componenti del governo, Johnson si è alla fine dimesso da leader conservatore e sta tentando un’ultima disperata resistenza per rimanere a fino all’autunno a Downing Street con l’intenzione dichiarata di condizionare o addirittura ribaltare l’esito del dibattito interno per la scelta del nuovo leader che diventerà automaticamente primo ministro.

    MEME SULLE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON 2 MEME SULLE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON 2

     

    Una scelta al limite della prassi parlamentare inglese, carica d’incognite e la cui tenuta resta tutta da verificare, giustificata anche con la pausa estiva della Camera dei Comuni che scatta fra due settimane, ma che viene unanimemente condannata dalla stampa e dall’opinione pubblica britannica e che secondo i commentatori è destinata ad aggravare ulteriormente la già evidente perdita di consensi e di voti per i conservatori. Un interregno che gli esponenti dello stesso partito Tory giudicano insostenibile.

     

    Tra i papabili alla successione ci sarebbero il Cancelliere dello Scacchiere Nadhim Zahawi, la ministra degli Esteri Liz Truss, il Procuratore generale di sua Maestà, Suella Braverman, la ministra dell’Interno Priti Patel e Sajid Javid, fino all’altro ieri ministro della Salute. Un altro esponente Tory che ha reso noto che correrà per la leadership è Steve Baker. Cosi come viene considerato in corsa l’ex ministro degli Esteri ed ex ministro per la Brexit Raab. Appare invece per ora escluso un terzo scenario: quello dello scioglimento della Camera dei Comuni e delle elezioni anticipate.

    MEME SULLE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON MEME SULLE DIMISSIONI DI BORIS JOHNSON

     

    Prerogativa che la legge britannica assegna al premier, ma con l’ obbligo della controfirma della sovrana. Una mossa che metterebbe in grave imbarazzo la Regina Elisabetta II che dopo aver visto alternarsi nel suo lungo regno ben 14 primi ministri, verrebbe forzata a scegliere se assecondare come la prassi impone i desiderata di un capo di governo non più sostenuto dalla sua stessa maggioranza o sbarrargli il passo con un diniego e un atto politico estraneo alla tradizione della monarchia costituzionale britannica. Nel ricorso scaramantico ai tradizionali versi di Rule Britannia non c’è dubbio che fra Johnson e la Regina Elisabetta gli inglesi esclamerebbero all’unisono God save the Queen!

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