• Dagospia

    LORO E LUISS - DAGO-LECTIO AL MASTER IN COMUNICAZIONE POLITICA PER I 20 ANNI DI DAGOSPIA - “NESSUNO DEGLI ATTUALI PADRONI DEL MONDO HA CONSEGUITO UNA LAUREA. JOBS, GATES, ZUCKERBERG, I DUE DI GOOGLE DEVONO SOLO RINGRAZIARE GLI HIPPY DELLA CALIFORNIA DEGLI ANNI '60/’70 - LONTANI DALL'IDEOLOGIA POLITICA CHE HA UCCISO LE MIGLIORI MENTI EUROPEE, AVEVANO CAPITO CHE ABBATTERE IL POTERE ERA SOLO UNA INUTILE PERDITA DI ENERGIE CREATIVE: MEGLIO INVENTARSI UN ALTRO MONDO. E LO HANNO FATTO” - VIDEO


     
    Guarda la fotogallery

     

    1 – LA RIVINCITA DEL RAGIONIERE

    Roberto D’Agostino per “Vanity Fair”

     

    lectio di dago al master in comunicazione politica diretto da francesco giorgino lectio di dago al master in comunicazione politica diretto da francesco giorgino

    Orgoglioso del mio diploma di ragioniere, e in virtù dei primi vent'anni di Dagospia, sono stato invitato lo scorso 19 giugno dall'Università Luiss di Roma a tenere una  lectio. 

     

    mark zuckerberg a harvard mark zuckerberg a harvard

    Ho iniziato pompando vaselina: «Il web è diventato il nuovo sistema nervoso del mondo». Finita la vaselina, è partita la rivincita del ragioniere: «Cari ragazzi, non perdete tempo a domandarvi che tipo di sapienza universitaria ha partorito le utopie di Steve Jobs (Apple), le visioni di Bill Gates (Microsoft), il marketing di Jeff Bezos (Amazon), le idee di Mark Zuckerberg (Facebook), gli algoritmi di Larry Page e Sergey Brin (Google), chiedetevi piuttosto che tipo di mente ha generato uno strumento come Facebook e Google.

     

    lsd a woodstock lsd a woodstock

    Nessuno degli attuali padroni del mondo ha conseguito una laurea a Stanford o un master ad Harvard e atenei limitrofi».

     

    Come siamo passati dai Rockefeller di ieri ai Zuckerberg di oggi? Come sono arrivati 'sti «strafattoni», senza titoli scolastici e senza titoli in Borsa, al potere globale?

     

    Gli attuali miliardari della Silicon Valley devono solo ringraziare gli hippy, i freak, i beat della California degli anni '70. Che, tra una «canna» e un «acido», avevano un proposito ben chiaro: «fuck the system», prendere le distanze dall' American dream. E lo hanno fatto.

     

    Ma senza appoggiarsi al «pensiero forte» dell'ideologia, alla politica, al terrorismo, come in Europa. Come Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac, Ken Kesey, l'hippismo di San Francisco aveva messo radici profonde nel buddismo zen del Vicino Oriente.

    allen ginsberg jack kerouac allen ginsberg jack kerouac

     

    Joni Mitchell e Neil Young, Jobs e company avevano capito che l'energia dell'essere umano non andava sprecata in modalità distruttiva ma creativa. Anziché assediare la Casa Bianca, mejo rinchiudersi in un garage e inventarsi un computer, come appunto fece Steve Jobs.

     

    Non è un caso che Stewart Brand, padre spirituale della controcultura californiana degli anni 70, teorizzò la rivoluzione digitale con un testo che aveva per titolo un videogioco, Spacewars: «Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano e cambierai il mondo».

     

    Brand non aveva in mente un progetto preciso se non questo, affascinante e molto hippie: niente più confini, niente più élite, niente più caste mediatiche, politiche, intellettuali.

    stewart brand spacewar stewart brand spacewar

     

    Questo è l'unico principio ideologico del Web. Basta un computer su ogni scrivania per avere un «potere personale» che liquidava con un clic il '900. Ecco: il vero atto geniale fu di trasformare il computer, fino allora in dotazione solo all'esercito e alle grandi aziende, in uno strumento personale.

     

    TIM BERNERS LEE TIM BERNERS LEE

    Non c'era più una casta di colti che sapeva dove si trovava la conoscenza: a saperlo era un algoritmo che ti conduceva direttamente a quello che cercavi. Via tutte le mediazioni. Niente esperti. Niente più confini. Niente flussi ideologici. La loro scelta di stare fuori dal sistema è stata fatta con tanta determinazione che scatenò l'intellighenzia europea, messa fuori gioco dalla Rete, con violente accuse di qualunquismo.

     

    steve jobs presenta il primo iphone 5 steve jobs presenta il primo iphone 5

    E si ritorna alla domanda di Stewart Brand: perché sprecare energia contro il vecchio mondo? Per ricevere un manganello in testa e finire in galera? Non è più eccitante creare un nuovo mondo.

     

    E per farlo basta solo inventare uno strumento. II 19 gennaio 2007, a San Francisco, Jobs fece felice Brand presentando al mondo il primo modello di iPhone, un computer da tasca mascherato da telefonino detto smartphone. E nulla fu come prima.

     

     

    DAGO ALLA LUISS

    stewart brand 2 stewart brand 2

    Il testo integrale della lectio di Dago al Master in Comunicazione Politica diretto da Francesco Giorgino alla Luiss

     

    Molte sono le rivoluzioni che cambiano il mondo, ma sono poche quelle che cambiano gli uomini e lo fanno radicalmente perché capaci di generare nuovi modi pensare.

     

    Il Web è diventato il nuovo sistema nervoso del mondo poiché, grazie in particolar modo a Internet, esso diventa in qualche modo un ampliamento della nostra intelligenza e della nostra memoria. Qui non si sta cambiando qualcosa, ma tutto. Non è il mondo che si fa globale ma noi. Un trauma culturale.

     

    La tecnologia è una sfida rivoluzionaria destinata a cambiare la nostra vita esattamente come è avvenuto nell’’800 e nel ‘900. L’invenzione del treno fu un grande sovvertimento, l’arrivo della macchina fu una grande rivoluzione, adesso siamo alla vigilia di innovazioni superiori a quelle che la nostra immaginazione può tentare di descrivere. Nei prossimi vent'anni il mondo cambierà più di quanto sia cambiato negli ultimi 300.

    Dago in redazione - ph Massimo Sestini Dago in redazione - ph Massimo Sestini

     

    Ma il mondo digitale non è la causa di tutto bensì l’effetto: la conseguenza di qualche rovesciamento mentale. Quindi, non perdete tempo a domandarvi che tipo di potere oscuro può generare l’uso di Facebook e di Google, chiedetevi piuttosto che tipo di mente ha generato uno strumento come Facebook e Google.

     

    Perché l’uomo nuovo non è quello che ha prodotto quel computer camuffato da telefono chiamato smartphone: l’uomo nuovo è quello che lo ha inventato. La tecnologia, attraverso delle macchine, ha sciolto il mondo in un clic. Come dice Yoda in “Star Wars”: “Impossibile da vedere, il futuro è”.

     

    kim kardashian instagram kim kardashian instagram

    ALL’INIZIO FU UN GIOCO. ANZI, UN VIDEOGIOCO

    All’inizio fu un gioco. Anzi, un videogioco. Non si capisce molto della rivoluzione digitale se non si ricorda che i vari “PacMan”, “Space Invaders”, “SuperMario”, erano la reincarnazione della mitologia al tempo della tecnologia.

     

    Perché ogni volta che si impugna la console, diventiamo come Teseo che si inoltra nel labirinto per dare la caccia al Minotauro. E proprio come gli eroi del mito antico viviamo una esperienza multitasking. Fatta di azione e visione, narrazione e invenzione, partecipazione ed emozione.

     

    Affrontiamo una sfida in prima persona che è al tempo stesso eroica e ludica. Entriamo cioè in un'avventura vera anche se virtuale. Lì, attraverso una macchina, generiamo e abitiamo un ampliamento di realtà, una moltiplicazione del mondo, la possibilità di poter vivere in un altrove un'esistenza alternativa.

     

    toru iwatani con pac man toru iwatani con pac man

    Il segreto del successo dei videogames è l’interattività, la stessa che sta all’origine della rivoluzione del Web. Mentre la letteratura isola, la televisione esclude, il cinema rende passivo lo spettatore, la rivoluzione digitale, al pari dei videogiochi, include.

     

    Mi attiva perché, scrive Marshall McLuhan, “recupera la modalità di Narciso”; la moltiplicazione dell’Io come protagonista del gioco. Ognuno di noi si mette lì davanti, prende la pistola, guida la macchina o fa comunque azioni guidate dal gioco e diventa protagonista di quella azione, di quella storia.

     

    Dalla platea al palcoscenico. Non siamo più semplici spettatori. Ma piuttosto spettatori di noi stessi. Spingendo fino al cortocircuito tecnologico i ruoli tradizionali della società dello spettacolo. Con un'identificazione totale tra chi vede, chi è visto e chi agisce.

    MARSHALL MCLUHAN MARSHALL MCLUHAN

     

    Questo coincide perfettamente con l'avvento dei social network – Facebook, Instagram, Twitter etc. - dove il tema centrale è proprio questo narcisismo impazzito, dove ognuno in qualche modo si sente protagonista di una storia, è al centro di qualche cosa, che sia reale o meno, che sia vero o falso.

     

    Il videogame ti dà questa sensazione, il Web ti dà questa emozione di generare un ampliamento di realtà, una moltiplicazione del mondo. Definire un computer una mediazione è magari una cosa ragionevole per un uomo del ‘900, ma uno sciocchezza per un ragazzo di oggi: che considera le macchine una estensione di se stesso, non un qualcosa che media il suo rapporto con le cose.

    jeff bezos jeff bezos

     

    Uno smartphone è un’estensione del suo Io. Sono articolazioni del suo stare al mondo destinate a cambiare l’idea stessa di cosa debba essere l’esistenza.

     

    COSE, NON IDEE. MECCANISMI, NON IDEOLOGIE

    Non è un caso che Stewart Brand, padre spirituale della controcultura californiana degli anni ’70 (a cui Steve Jobs rubò la frase “Stay hungry, stay foolish”), teorizzò la rivoluzione digitale con un testo che aveva per titolo un videogioco, “Spacewars”, che metteva il dito nel nuovo orizzonte mentale da cui tutto proviene.

     

    Scrive Stewart Brand (a lui si deve l’espressione ‘’personal computer’’): “Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano e cambierai il mondo”.

    naike rivelli instagram 2 naike rivelli instagram 2

     

    Non aveva in mente un progetto preciso se non questo, affascinante e molto hippie: niente più confini, niente più élite, niente più caste mediatiche, politiche, intellettuali. Questo è l’unico principio ideologico del Web. Basta un computer su ogni scrivania per avere un “potere personale” che liquidava con un click il ‘900.

     

    hippy a woodstock hippy a woodstock

    Ecco: il vero atto geniale fu di trasformare il computer, fino allora in dotazione solo all’esercito e alle grandi aziende, in uno strumento personale, individuale, da mettere sulla tua scrivania. Covava, in quell’idea, la singolare volontà di concedere a qualsiasi individuo un potere che era stato creato per pochi.

     

    Non c’era più una casta di colti che sapeva dove si trovava la conoscenza: a saperlo era un algoritmo che scattava invisibile e ti conduceva direttamente a quello che cercavi. Via tutte le mediazioni. Niente esperti. Niente più confini. Niente più caste. Niente flussi ideologici. Addio élite a cui si era soliti riconoscere una particolare competenza, un’autorità e alla fine un certo potere.

     

    guy debord 1 guy debord 1

    La storia della civiltà umana sulla Terra si può benissimo ripercorrere attraverso gli oggetti che l’hanno trasformata e manipolata: dall’invenzione della ruota e del coltello di pietra che duecentomila anni fa hanno consentito all'uomo di diventare più forte mangiando carne, alla ideazione delle armi da fuoco.

     

    A seguire, l’invenzione della macchina fotografica, della lampadina, della catena di montaggio, dell’automobile, della ferrovia, della radio, della televisione, della carta di credito, della lavatrice, della pillola anticoncezionale, del computer, fino allo smartphone. Cose, non idee. Meccanismi, non ideologie. Oggetti, non filosofie. Soluzioni, non chiacchiere.

     

    Certo, il pensiero è azione, è la prima e fondamentale delle forme del nostro fare. Bisogna però riconoscerlo: più ancora che dai grandi movimenti artistici, dalle ideologie, dalla letteratura, sono gli oggetti che trasformano la storia del mondo e il nostro modo di vivere.

     

    la presa per l'occulto 5 la presa per l'occulto 5

    Scrive Alessandro Baricco nel suo saggio “The Game”: “Con la rivoluzione digitale non c’è bisogno di un’idea del mondo: occorre uno strumento per fare il mondo”.

     

    Come siamo arrivati a questo? Grazie agli hippies, ai freaks, ai beatnick della california degli Anni 70. Che avevano un proposito ben chiaro, prendere le distanze dal sistema, dall’American Dream, dal maledetto Secolo Breve delle guerre mondiali e dell’Atomica.

     

    ALESSANDRO BARICCO THE GAME ALESSANDRO BARICCO THE GAME

    E lo hanno fatto. Ma senza appoggiarsi all’ideologia, alla politica politicante, come in Europa. Dove l’obiettivo finale è abbattere il potere, la rivoluzione, il sole dell’avvenire. No, come Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac, Ken Kesey, l’hippismo, tra una canna e un acido,  aveva messo radici profonde nel buddismo del vicino oriente.

     

    E fra Zen e Budda, l’hippismo aveva capito che l’energia dell’essere umano, non essendo illimitata, non andava sprecata in modalità distruttiva ma creativa. Anziché assediare la Casa Bianca, intrupparsi in qualche partito da combattimento, o mettersi in fila per un posto all’IBM, mejo rinchiudersi in un garage a inventarsi un computer, come appunto fece Steve Jobs.

     

    Non a caso nessuno degli attuali padroni del mondo, da Bezos a Zuckerberg, da Jobs al duo di Google fino a Bill Gates, ha conseguito una laurea a Stanford o ad Harvard. Non a caso nei social c’è un termine fondamentale per la sottocultura hippie: comunity. Non a caso facebook segue i dettami del Peace & Love e ha solo il “mi piace”.

     

    ken kesey ken kesey

    La scelta di stare fuori dal sistema è stata fatta con determinazione e spirito pratico, magari senza avere un’idea precisa di quello che sarebbe poi avvenuto. Da una parte. Dall’altra il Sistema, il Potere era ben felice e tranquillo, visto le insurrezioni e il terrorismo che stava dinamitando l’Europa, del fatto che le comunità freak e hippie si trastullavano inventando videogiochi e computer, senza dar fastidio al manovratore, fuori da ogni contestazione politica. Una miopia che poi hanno pagato in termini pesantissimi: Microsoft si è mangiata l’IBM, Netflix ha oscurato Hollywood, Spotify ha conquistato l’industria musicale.

     

    FERLINGHETTI FERLINGHETTI

    Avete mai letto dichiarazioni politiche dei vari pionieri del web Zucherberg, Bezos, Jobs? No, perché sprecare energia contro il vecchio mondo? Più facile creare un Nuovo Mondo. Anzi, un Ultramondo partendo da Space Invaders che ha portato via il calciobalilla dai bar e che per la prima volta ci ha fatto interagire con uno schermo, maturata venti anni dopo ed esplosa con la presentazione del primo modello di Iphone (9 gennaio 2007, San Francisco).

     

    IL RINASCIMENTO DIGITALE

    magic bus magic bus

    Che cosa lega l'invenzione della stampa nel 1450 a Google e Facebook? È possibile paragonare il tipografo tedesco Gutenberg all’informatico britannico Tim Berners-Lee, padre del Web?

     

    Che distanza c'è tra quella Età del Caos che chiamiamo Rinascimento, i suoi Savonarola, e quel primo esperimento di globalizzazione che furono le grandi esplorazioni navali iniziate con la scoperta dell'America e i populismi di oggi?

     

    Francesco Giorgino Francesco Giorgino

    L’invenzione di Gutenberg fu una mossa che ebbe colossali conseguenze: permetteva il passaggio della conoscenza dalla élite di papi, principi e monaci alle nuove classi emergenti.

     

    Mentre lasciava sul campo, stecchita, buona parte della cultura orale (ai tempi dominatrice indiscussa di un mondo di analfabeti), apriva orizzonti sconfinati al pensiero umano, alla sua libertà e alla sua forza. Di fatto scardinava un privilegio che per secoli aveva inchiodato la diffusione delle idee e delle informazioni al controllo dei potenti di turno.

     

    Per far circolare le proprie idee non era più necessario disporre di una rete di monaci amanuensi. Una smagliante accelerazione tecnologica che ha terremotato la postura mentale degli umani, dando vita al Rinascimento, alla modernità, all’Illuminismo.

     

    Guarda Dagospia Guarda Dagospia

    Io credo che quello a cui noi stiamo assistendo con la rivoluzione digitale sia un procedimento tutto sommato simile, anche se in scala enormemente più vasta, al Rinascimento.

     

    In tutto il mondo, dal deserto del Sahara sotto le tende dei beduini ai villaggi del Bangladesh o in un’isola sperduta della Polinesia, chiunque con una connessione e un computer può accedere alla biblioteca di Babele, alla biblioteca totale. C’è la totale disponibilità della cultura, dei libri, della lettura a tutti. Questo non può non produrre che un Rinascimento Digitale, una mutazione che noi adesso non possiamo neanche immaginare.

    albert hoffman albert hoffman

     

    1989, FINISCE UN’EPOCA, NE INIZIA UN’ALTRA

    L’urgenza di mandare in soffitta il passato e di inventare il presente avvenne nel 1989. Venne giù il Muro di Berlino, carico di tutte le disastrose ideologie del ‘900, da una parte.

     

    Dall’altra, l’informatico britannico Tim Berners-Lee, lavorando su un computer americano chiamato NEXT prodotto da Steve Jobs, inventò e regalò al mondo il World Wide Web, una ragnatela percorribile da tutti, in cui tutti i documenti del mondo, che siano testi, foto, suoni video, saranno a portata di mano.

     

    Berners-Lee definisce il Web con appena 21 parole. Una frase chiave è: “Non c’è un top nel Web. Puoi guardarlo da molti punti di vista”. Ad una civiltà che da secoli era stata abituata a cercare la struttura del mondo mettendolo in fila dall’alto in basso, dal più grande al più piccolo, quell’informatico stava dicendo che il Web era un mondo senza un inizio o una fine, senza prima e dopo, senza sopra e sotto: ci potevi entrare da qualsiasi lato, e sarebbe stata sempre la porta principale, e mai l’unica porta principale.

    TIM BERNERS LEE TIM BERNERS LEE

     

    La Rete è il riconoscimento che la cultura è circolare o meglio, labirintica, mischia elementi di epoche diverse, non ha il senso moderno dell’andare avanti su un’unica strada giusta e implacabile, ma gira intorno alle incertezze in un continuo scambio di alto e basso, sopra e sotto.

     

    Non era solo una questione tecnica, di ordinamento del materiale: era una questione di struttura mentale. E’ un modo di muovere la mente, e sta a te la scelta di come muovere la mente.

     

    steve jobs presenta il primo iphone 9 steve jobs presenta il primo iphone 9

    Nel 1989, finisce un’epoca, ne inizia un’altra. Fantastica e sconcertante. L'adozione di nuove tecnologie è sempre più rapida. Ce lo insegna la storia: ci sono voluti 45 anni dalla sua invenzione perché l'elettricità raggiungesse il 25% delle persone, 35 anni per il microonde, 28 per la tv, 15 per il computer, 7 per il telefono cellulare, 5 per Internet. Oggi tutto sta accadendo simultaneamente.

     

    Non solo. I computer non sono più macchine da programmare: sono diventati macchine che possono imparare cose. Sanno trasformare i dati in conoscenza: sono ormai dei veri e propri sistemi cognitivi.

     

    vincino 15 anni dagospia vincino 15 anni dagospia

    È per questo che le cose diventano sempre più intelligenti: ormai tutti quegli oggetti che una volta erano disconnessi sono collegati a Internet, continuamente aggiornati. E con il ‘deep learning’ sono sempre più in grado di elaborare norme e strategie che noi non saremmo in grado di pensare.

     

    FACEBOOK

    Uno degli aspetti che distinguono la rivoluzione tecnologica è la realtà digitale. Ovvero il trasferimento della conoscenza e della vita degli individui dalla realtà reale al mondo di internet. I social network sono la più importante e vitale forma di aggregazione. Del resto l’umanità moltiplicata attraverso la connessione è l’antitesi della solitudine.

    MARSHALL MCLUHAN 1 MARSHALL MCLUHAN 1

     

    Le piattaforme digitali hanno infatti dispositivi che incitano gli utenti a dare la stura alle proprie emozioni e a svelare le loro preferenze e i loro gusti intimi. Sotto questo profilo, il modello è Facebook.

     

    Sono passati 16 anni da quando l’allora ventenne Mark Zuckerberg, da un dormitorio della Harvard University, ebbe l’idea di creare una rete sociale online capace di connettere i suoi colleghi universitari. “Mi resi conto che in rete si poteva trovare qualsiasi cosa: musica, libri, informazioni: eccetto la cosa più importante: le persone. Così ho creato Facebook”. Era il 4 febbraio 2004, il successo fu immediato.

     

    hippy a woodstock hippy a woodstock

    A differenza di Google, dove gli internauti cercano informazioni “oggettive”, Facebook vuole connettere la gente e, per farla sentire viva e attiva, fa leva su pratiche cariche di dimensioni affettive: conversare con nuovi amici, condividere dati personali, ritrovare vecchi amori, conoscere gente, colmare il sentimento di solitudine o di noia, esprimere emozioni soggettive. Il suo successo è inseparabile dalla possibilità di esprimere stati affettivi, sentimenti e passioni della sfera delle relazioni private.

     

    Tre miliardi di persone nel mondo si mettono in scena quotidianamente cercando di affascinare i loro amici, proiettare un’immagine favorevole di se stessi, attirare l’attenzione su di sé in vista di like che lusingano il loro ego.

     

    Una ricerca generalizzata di seduzione, non più orientata verso la conquista dell’altro, ma centrata sui bisogni emotivi del Sé. Il principio della forza d’attrazione di Facebook è il suo uso di ordine emotivo.

     

    MARK ZUCKERBERG ADAM MOSSERI MARK ZUCKERBERG ADAM MOSSERI

    Esprimo quello che mi piace e i miei amici fanno lo stesso pigiando il pulsante “mi piace!” e altre emoji o emoticon evocanti il riso, la gioia, lo stupore, la tristezza, la collera. Ciò che conta è ricevere like di approvazione ed esprimere le proprie emozioni. “Mi piace”, ed è tutto.

     

    I messaggi negativi, naturalmente, sono possibili (vedi i cosiddetti “haters”, i le jene da tastiera) ma non sono “istituzionalizzati”: non esiste il pulsante “non mi piace” nel social. Proprio per questa assenza volontaria, la piattaforma è organizzata per favorire l’espressione dell’empatia, delle reazioni affettive positive, degli slanci di seduzione.

     

    Si è potuto affermare che Facebook fosse una “utopia sociale” perché è basata sulla “negazione del nemico”. Tuttavia, non sembra affatto uno spazio privo di ferite soggettive, da rischi emotivi e perfino da una forma di competizione simbolica legata alla ricerca di riconoscimento.

     

    BILL GATES BILL GATES

    Giacché su Facebook gli internauti cercano di uscire dall’anonimato, rivaleggiano in originalità o in humour e danno un’immagine lusinghiera di se stessi per ottenere un gran numero di like, suscitare attenzione e interesse, essere popolari, diventare “minicelebrità”.

     

    Il rischio non è lo scontro con gli altri ma quello di avere pochi amici, di essere irrilevanti, di non ricevere like e commenti positivi. In compenso, questi permettono di rafforzare la stima di sé, lusingare l’ego, rassicurare il soggetto sul suo potere di seduzione.

     

    COPERTINA WIRED MARK ZUCKERBERG COPERTINA WIRED MARK ZUCKERBERG

    L’espressione delle emozioni è diventata centrale sul web non in ragione delle incitazioni a interagire per rivelare dei dati, ma in risposta alla destabilizzazione della personalità, alla incertezza crescente dell’identità, al desiderio di essere integrati in una comunità, al bisogno di gratificazione rapide e di guadagni narcisistici degli individui.

     

    INSTAGRAM

    Ma è Instagram, lanciata il 6 ottobre 2010, il social più nuovo e interessante perché ha instaurato un nuovo linguaggio globale che ha preso il sopravvento sulla parola scritta. Grazie a Instagram, “io scrivo foto”.

     

    Perché la velocità della tecnologia deride la lentezza di un sms, di un tweet, di un testo. Instagram ci fornisce una filosofia di salvezza. La realtà come volontà e rappresentazione fotografica.

     

    spacewar stewart brand spacewar stewart brand

    Avere diciotto anni, almeno sul fronte del digitale, significa ragionare con lo sguardo e non più per vocaboli. Niente risulta più insopportabile di una persona anonima, neutra, priva del suo codice di immagine. Perché la qualità della vita si misura sulla qualità dell'immagine.

     

    E pubblicare una propria foto privata diventa un “pensiero visivo” per catturare l’attenzione degli altri. “Mi vedo vedermi. Siamo degli essere guardati nello spettacolo del mondo” (sentenziava lungimirante Lacan).

     

    Fatta fuori l’ingombrante macchina fotografica, la foto - prima arte democratica della storia - si è reinventata come semplice applicazione di quel supermedium tascabile che è lo smartphone. McLuhan è stato il primo a sostenere che la macchina fotografica rende obsoleta la privacy.

    dago in the sky quarta stagione 'l'arte del gioco' 2 dago in the sky quarta stagione 'l'arte del gioco' 2

     

    Aveva perfettamente ragione: ora tutto è visibile, le persone, le case, gli oggetti, le azioni. I selfie da questo punto di vista non aggiungono niente di nuovo. O meglio: uniscono lo specchio e la macchina fotografica.

     

    IO SONO LA MIA FICTION

    aldous huxley aldous huxley

    Partendo da questa tesi (lo smartphone è il mio terzo occhio), entra in ballo l’aspetto più disturbante e seduttivo: la nostra identità digitale. In un mondo globalizzato che non dà lavoro né assicura benessere - i Millenials ieri, la Generazione Z oggi - devono fare affidamento sul proprio “marchio”. Si tratta di un'esperienza interiore di sé, piuttosto che uno stato oggettivo di essere famoso.

     

    Se l’invenzione della fotografia è stata il preludio dell’arte moderna, la smaterializzazione dell'immagine – la trasmigrazione dalla carta al display - è diventata l’arte di costruire il proprio “brand”, il proprio marchio personale. Io sono di fatto il presidente, amministratore delegato e responsabile marketing dell’azienda chiamata “Io Spa”.

     

    TIM BERNERS LEE TIM BERNERS LEE

    Benvenuti alla “Società dello spettacolo” preconizzata nel 1967 da Guy Debord. Io sono la mia fiction, perché la rivoluzione digitale ci dà la possibilità di creare una vita parallela attraverso i social.

     

    Ecco un essere umano multitasking che non è cpiù ostretto a essere lineare. A essere inchiodato in un luogo mentale. A farsi dettare dal mondo la struttura dei suoi pensieri e i movimenti della sua mente.

     

    La nostra rappresentazione sociale non può più, ormai, non passare per la rete in modalità immagine. Infatti la vita, grazie ai social network, è diventata una battaglia per inventare se stessi. Una battaglia tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.

     

    dago dago

    Pubblicare una propria foto privata e un modo per catturare l’attenzione degli altri. Come scriveva George Bernard Shaw: ‘’La vita non consiste nel trovare te stesso. La vita consiste nel creare te stesso’’.

     

    Foto dopo foto, post dopo post, arriviamo al punto più centrale. Nessuno è soddisfatto di se stesso. Perfino i nostri antenati greci, che hanno inventato la civiltà, dalla politica alla letteratura, dall’arte allo sport, hanno sentito la necessità di inventarsi e nutrirsi di un mitologico mondo parallelo, un Olimpo affollato di Marte e Giove, Venere e Mercurio, per lenire la propria insoddisfazione.

     

    la presa per l'occulto 7 la presa per l'occulto 7

    Lo sappiamo bene di essere fatti male: la felicità dipende dalle nostre aspettative e non dalle effettive condizioni in cui viviamo. Quindi, nonostante i miglioramenti enormi di quest'ultime, l'insoddisfazione è sempre la stessa. La normale reazione umana al piacere non è soddisfazione, ma ulteriore ricerca del piacere.

     

    DAGOSPIA ON LINE

    Nel 1991 c’era un solo sito Web: quello di Berners-Lee. L’anno dopo diventano 9. Nel ’93 erano 130. Nel ’94, 2 mila 738. Nel ’95, 23.500. Nel ’96, 257 mila. Il 23 maggio del 2000 appare in rete Dagospia.com: avevo 52 anni, avevo lavorato in tutti i grandi giornali e settimanali e, tra la diffidenza di moltissimi, avevo capito che quell’era cartacea apparteneva al secolo scorso.

     

    dago con la redazione (giorgio rutelli francesco persili federica macagnone riccardo panzetta alessandro berrettoni) dago con la redazione (giorgio rutelli francesco persili federica macagnone riccardo panzetta alessandro berrettoni)

    Iniziai da solo, postando tre articoli al giorno. Dopo appena una settimana mi girarono una notizia clamorosa che riguardava l’acquisizione da parte dell’Enel di una rete televisiva: uno scoop che, per motivi pubblicitari, nessun giornale poteva permettersi di pubblicare.

     

    Ebbi allora la conferma che c’era gente che aveva bisogno di Dagospia, di un mezzo ibero dalla ragnatela del potere economico e finanziario. Google era ancora agli inizi, i social e le App erano di là a venire, in libreria esistevano enormi libri con gli indirizzi dei siti, una specie di Pagine Gialle di Internet: mi ricordo bene di quando consegnavo alle persone dei biglietti con su scritto www.dagospia.com.

     

    janis joplin janis joplin

    Dagospia vide la luce con l’idea di creare un boutique dell’informazione, una portineria elettronica capace, davanti al ciclone di fatti e opinioni di cui cominciavamo ad essere sommersi, di sintetizzare per il lettore ciò che contava davvero sapere, dalla politica al pettegolezzo, dall’economia ai retroscena della finanza.

     

    A tutto ciò, va ad aggiungersi il ruolo nevralgico e fondamentale di “spia”. Nel mondo politico e in gran parte del giornalismo italiano assistevo da tempo a un fenomeno: la "scomparsa dei fatti".

     

    Come l'informazione in Italia, salvo rarissime eccezioni, era programmaticamente svuotata di contenuti, smarrendo del tutto la sua funzione originaria. Era successo che tutta la stampa italiana non era più in mano a editori puri ma a imprenditori che avevano acquisito quotidiani soprattutto per esaltare i loro interessi e per far scomparire le notizie scomode che li riguardavano.

     

    guy debord guy debord

    La principale tecnica della disinformazione operata dai media in Italia era, ed è tuttora, l'arte del parlar d'altro o nel concentrarsi su aspetti marginali e fuorvianti della notizia stessa, così da oscurarne il ben più importante contenuto: titoli “pettinati”, interviste senza domande, articoli da prima pagina che finiscono con taglio basso e senza foto a pagina 15.

     

    Un'altra importante tecnica di disinformazione: la trasformazione delle opinioni in fatti. Ossia, per evitare di raccontare dei fatti, molte volte scomodi al potere, si lascia la cronaca dei fatti agli opinionisti, in modo da sostituire i fatti con le loro opinioni.

     

    steve jobs steve jobs

    In un paese dove lo scontro ideologico è diventato la prassi, gli esempi di questa manipolazione abbondano ovunque. C’è chi li nasconde perché non li conosce e non ha voglia di informarsi, perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti, perché contraddicono la linea del giornale, perché è meglio non scontentare nessuno e magari ci scappa una consulenza con il governo o con la regione. Il vecchio motto del giornalismo - “I fatti separati dalle opinioni” - è stato soppiantato da uno molto più pratico: “Niente fatti, solo opinioni”.

     

    Nietzsche dice che esistono le interpretazioni, ed è vero, ciascuno di noi interpreta le informazioni che riceve. Ma quelle informazioni devono pur esistere. Possiamo avere interpretazioni diverse sul significato di una cifra, ma devo almeno avere una cifra, e deve essere corretta.

     

    stewart brand stewart brand

    Diceva Aldous Huxley: ‘’I fatti non smettono di esistere solo perché li nascondiamo’’. Dagospia mira ad agire come un agente segreto tra le pieghe e le piaghe di una informazione istituzionalizzata: insomma quella che negli anni Sessanta si chiamava “controinformazione” e funzionava con il ciclostile sfornando volantini. Questo è stato il talento di Dagospia in 20 anni di esistenza e lo dimostra ogni giorno con 3,5 milioni di pagine viste: dar vita a un ciclostile digitale.

    jack kerouac jack kerouac

     

    la presa per l'occulto 8 la presa per l'occulto 8 Dago in redazione - ph Massimo Sestini Dago in redazione - ph Massimo Sestini Dago in redazione - ph Massimo Sestini Dago in redazione - ph Massimo Sestini Francesco Giorgino Francesco Giorgino Dago in redazione - ph Massimo Sestini Dago in redazione - ph Massimo Sestini homo robot 9 homo robot 9

     

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport