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    “QUANDO IN OCCIDENTE SI CELEBRAVA IL GENIO DELL'ARTISTA QUESTI NON AVEVANO CHE UN PUGNO DI RISO E QUALCHE SIMPATICO ARTIGIANELLO” – LUCA BEATRICE SCATENATO CONTRO LA MOSTRA TEDESCA “DOCUMENTA” CHE HA TAGLIATO FUORI GLI ITALIANI, TRASFORMANDOSI IN UNA RASSEGNA TERZOMONDISTA: “SONO COLLETTIVI DI “ARTIVISTI” SCONOSCIUTI, GENTE CHE PRODUCE TEORIA, PENSIERO, IDEE, RARAMENTE OGGETTI. PROBABILMENTE NOI ABBIAMO UNA VISIONE PIÙ MATERIALE, PERÒ MI PIACEREBBE SAPERE COSA NE SANNO DALLA LONTANA GIAKARTA…”


     
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    Luca Beatrice per “Libero quotidiano”

     

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    Per la prima volta da quando frequento il mondo dell'arte non andrò a documenta.

    Non credo che ai responsabili della più importante mostra sul contemporaneo, insieme alla Biennale di Venezia, importerà più di tanto, però la vita è fatta di piccole decisioni che non cambieranno il mondo ma almeno esprimono un po' di coerenza e di amor proprio. Prima di motivare il mio no alla gita in terra tedesca, lasciate che spieghi di cosa si tratta. documenta (si scrive rigorosamente con la minuscola) si svolge ogni cinque anni a Kassel, città dell'Assia settentrionale non particolarmente bella.

     

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    Scopo di questa grande mostra, che ci vuole molto tempo a preparare, è evidenziare l'hic et nunc del contemporaneo più estremo e sperimentale, con uno sguardo a 360 gradi sul mondo. Questa è l'edizione numero 15 e quelle passate sono state affidate ai critici e curatori più importanti, per esempio nel 1972 ad Harald Szeeman, nel 1992 a Jan Hoet, nel 2002 a Okwui Enwezor, nel 2012 a Carolyn Christov-Bakargiev e ciascuna di queste espresse una particolare poetica, anarcoide o formalista, terzomondista o attenta alle pari opportunità.

     

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    LA SVOLTA A partire dal 2017 è cominciata la mania di esautorare la tradizionale figura del "kurator", che forse si era preso troppo potere sul destino e la fortuna degli artisti in particolare sul mercato, è così il potere se l'è preso proprio l'artista, seppur ibrido, il polacco Artur Zmijewski, figura molto radicale il cui lavoro è stato visto fino a ieri al PAC di Milano.

     

    La scelta per il 2022 ha sbaragliato lo zoo dell'arte contemporanea. Magari hanno ragione loro, quelli del board di documenta, ma il rischio è di cadere nel ridicolo. A Kassel non c'è più un curatore ma un gruppo di "artivisti" politici che arrivano da Giakarta, Indonesia, e conducono un lavoro di militanza in rete, con il supporto dei canali social. Si chiamano Ruangrupa, sono un combo aperto nel senso che ci partecipano decine di persone ed espandono i contatti in tutto il mondo.

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    A leggere le scarne informazioni presenti sul sito ufficiale della manifestazione, che apre al pubblico il 18 giugno e sta su per cento giorni fino al 25 settembre, il modello di curatela parte dal termine indonesiano lumbung, e si basa su principi come «la collettività, la costruzione congiunta di risorse e la distribuzione equa che si realizza in tutti i settori della cooperazione e dell'allestimento».

     

    La massima curiosità per queste grandi mostre è scorrere la lista degli artisti invitati. I nomi usciti sul web, e potrebbero non essere tutti, sono stati pubblicati senza indicazione di nazionalità. Pressoché tutti sono collettivi di artivisti sconosciuti ai più, gente da tutto il mondo che produce teoria, pensiero, idee, raramente oggetti o manufatti. Ne conosco pochissimi, e la colpa sarà senz' altro mia, tra questi il nativo americano Jimmie Durham (scomparso di recente).

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    DENARI E OPPORTUNISMO Si dice in giro che gli invitati abbiano ricevuto denari per finanziare la loro ricerca, la cui matrice ideologico-politica non sfugge, e che i luoghi di "esposizione" a Kassel saranno disseminati ovunque, per una versione di mostra anti-classica come non mai. Ovviamente non manca la polemica per la posizione antisemita dei collettivi The Question of Funding e Khalil Sakakini Cultural Center che ha causato atti di vandalismo con graffiti islamofobici ancor prima di cominciare.

    Nessun italiano è stato invitato e qui sta la ragione della mia radicale protesta, molto più radicale dei giochetti di Ruangrupa e C.

     

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    Probabilmente noi abbiamo una visione più materiale, dunque tradizionale dell'arte, però mi piacerebbe davvero sapere cosa ne sanno dalla lontana Giakarta di quello che si produce da noi. Vorrei chiedere a questi indomiti e opportunisti difensori delle minoranze dove diavolo stavano quando da noi nascevano Futurismo, Metafisica, Arte Povera, Transavanguardia (per limitarmi solo al '900), quando in Occidente si celebrava il genio dell'artista questi non avevano che un pugno di riso e qualche simpatico artigianello. Si facciano la loro documenta che, sono pronto a scommettere, non lascerà traccia nel mondo dell'arte, quando a qualche centinaio di chilometri alla Fiera di Basilea va in scena il solito trionfo del grande mercato dove gli italiani giocano ancorala loro parte.

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    Ci vadano i soliti radical-chic sedicenti esperti in terzomondismo. Noi crediamo ancora fermamente al valore dell'opera che difenderemo ad oltranza. Siamo i soliti reazionari? No, sono loro i soliti ipocriti che stavolta hanno passato il segno mortificando la storia di una grande esposizione che non meritava una fine del genere.

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