LA STORIA DELLA PIÙ ANZIANA TRANSESSUALE D’ITALIA, LA 97ENNE LUCY, ALL’ANAGRAFE LUCIANO SALANI
Enrico Caiano per “Sette - Corriere della Sera”
il film su lucy salani 8
Trova una sola parola per definirsi. Terribile. «Io sono un intruglio». Lucy Salani, a 97 anni, è la trans più vecchia d’Italia, vive a Bologna nella periferia di Borgo Panigale, assistita da volontari che sono ormai diventati suoi amici.
Ospita un quarantenne marocchino con lavoro povero ma regolare, Said, a tutti gli effetti ormai un suo nipote. Lucy a questa sua età impossibile ci vede ancora benissimo e non usa occhiali: «Ho appena superato la visita medica per il rinnovo della patente!» dice con comprensibile orgoglio in quella sua voce orgogliosa e non certo flebile.
Lucy Salani da giovane
Ma è da un po’ che non guida: «Mi sono tornati dei problemi alla gamba alla quale mi hanno sparato durante la liberazione del lager di Dachau. Se guido mi fa molto male».
Nel documentario sulla sua vita, al cinema da lunedì, "C’è un soffio di vita soltanto", cominciato nei primi giorni della pandemia dalla coppia di registi romani 40enni Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, la vediamo al volante della sua utilitaria Ford girare per Bologna tra uffici e farmacie.
Una vita da film
il film su lucy salani 5
«Mai avrei pensato che qualcuno avrebbe fatto un film sulla mia vita! È la prova che l’esistenza può sempre dare delle soddisfazioni, anche quando non ti aspetti più niente». Un’esistenza in cui Luciano/Lucy è stata un po’ di tutto: soldato e disertore dopo l’8 settembre, tappezziere, ballerina, madre adottiva.
E «ho fatto marchette, sì: normale per quelli come me». I due registi l’hanno trovata per caso, su YouTube. «Era intervistata da un’emittente locale: è stato Dario a scoprirla facendo uno scrolling annoiato», racconta Matteo Botrugno parlando del suo amico e compagno di cinema Coluccini, che conosce da quando avevano 5 anni.
«L’abbiamo contattata e alla fine chi la segue si è fidato e soprattutto lo ha fatto lei, pur salutandoci con un “ecco altri due rompicoglioni” il giorno del nostro primo incontro».
A fine novembre al Torino Film Festival
Lucy Salani
Il carattere di chi è arrivato fin qui dopo una vita tremenda non può esser docile. Ma poi, tutto è andato più che liscio. Ora la stima è massima, i due registi finora autori di film di finzione (Et in terra pax del 2010 e Il contagio del 2017) hanno capito che solo con il documentario avrebbero potuto rendere con la giusta completezza una storia come quella di Lucy e si sono buttati nel loro primo docufilm.
Lei annovera «quelli con Matteo e Daniele durante le riprese tra i ricordi felici» della sua lunga e tormentata vita. Loro hanno deciso di portare Lucy alla prima mondiale del doc al Torino Film Festival di fine novembre e la porteranno alla presentazione del film in un cinema della sua Bologna il prossimo 27 del mese per il Giorno della Memoria.
Lucy Salani
Il valore della memoria
«Perché la storia di Lucy», come dice Botrugno «come superstite del lager di Dachau (dove è finita non come omosessuale nonostante così si dichiarasse allora, ma come disertore dell’esercito tedesco a cui aveva aderito dopo l’8 settembre, quando fu fermata in fuga da quello italiano, ndr) è testimonianza della memoria storica che non va cancellata.
Ma come trans è anche un esempio dell’importanza della diversità e della sua tutela nella nostra società». A Torino Lucy è andata perché vi ha vissuto (è nata nel Cuneese, a Fossano, nel 1924) e vi ha lavorato da tappezziere.
il film su lucy salani 2
Di quei giorni ricorda «la dolcezza di Patrizia, mia figlia, la ragazza che ho praticamente adottato quando ero lì» e che un tumore in giovane età le ha strappato nel 2014. Anche questo le è toccato vivere.
lucy salani davanti ai cancelli di dachau
Con «il sorriso del mio fidanzato inglese negli Anni 50 e i miei viaggi in giro per Europa e Nord Africa», racconta oggi Lucy, «Patrizia è stata tra i pochi momenti felici della mia vita».
Dal lager alla vita su altri mondi
I più brutti li ha vissuti sicuramente a Dachau, dove ha voluto tornare portata dai registi nel settembre 2020: «Quello che ho visto nel campo è stato spaventoso. Bruciavano i morti e c’era chi era ancora vivo e si muoveva tra le fiamme. Terribile. La mattina quando guardavi la recinzione elettrificata trovavi un mucchio di ragazzi attaccati con le fiammelle che uscivano dal corpo».
il film su lucy salani 3
In Dio non crede. Ma da prima, da quando un prete la molestò da ragazzino a Fossano in un confessionale. Invece sogna gli extraterrestri e ama i film di fantascienza: «Avatar è il mio preferito: esplorare un nuovo mondo in un nuovo corpo, un capolavoro. Io ne ho viste e passate troppe, comincio davvero ad avere voglia di cercare vite su altri pianeti».
lucy salani si trucca nella sua casa prima di un appuntamento
Non lo dice lei ma tra le esperienze orrende ci fu anche il cambio di sesso, negli Anni 80 a Londra: «Era sessualmente attiva», racconta Botrugno, «ma lì non hanno pensato a garantire che provasse ancora piacere, dopo. Hanno fatto i macellai: tagliato e fatto un buco», conclude crudo.
L’equivoco del nome
Quello che di Lucy esalta il regista è il suo essere «per proprio istinto in linea con i movimenti trans di oggi. Lei dice di non capire perché una donna, una persona che si sente donna non possa continuare a chiamarsi Luciano», come ha voluto restare all’anagrafe. «Il nome è sacro», dice, «me l’hanno dato i miei genitori».
Lucy Salani Luxuria
Eppure, proprio i suoi genitori e i suoi fratelli, non hanno mai capito «l’intruglio» fino in fondo. «Sono un intruglio perché in me ho sempre sentito prevalere la parte femminile: avevo movenze femminili da piccolo, mi piaceva giocare con le bambole. Sono andata avanti con una doppia identità ma mi sentivo donna. Alla fine l’unica che mi ha accettata è stata mia madre».
A 14 anni scrisse una poesia. Si chiudeva così: Riposan le foglie ingiallite/su un mondo di cose appassite/c’è un soffio di vita soltanto. Il verso finale ora titola il «suo» film.