Ranieri Polese per il “Corriere della Sera”
TOTO E LA CIMICE FASCISTA
Gran parte delle firme storiche del Corriere della Sera hanno scritto articoli che fanno parte della storia di questo giornale e del Paese. Dall’Archivio storico del Corriere vi proponiamo questo intervento di Ranieri Polese ripubblicato sul numero di 7 in edicola il 9 settembre.
Con una smorfia carica di scetticismo e di perplessità (il classico guardare dal sotto in su di quando dice «ma mi faccia il piacere») Antonio de Curtis, in arte Totò, compare sulla quarta di copertina della rivista «Film». Sull’ampio risvolto sinistro della giacca elegante, ecco spuntare dall’occhiello il distintivo fascista, la «cimice».
È la primavera del ‘43, e il giornale annuncia così il film Due cuori fra le belve di Giorgio Simonelli, interpretato dall’«irresistibile Totò, l’attore dagli scatti sorprendenti». Ora quella foto viene riprodotta nel libro di Alberto Anile, Il cinema di Totò (1930-45), pubblicato dalle edizioni Le Mani di Genova. Scrive Anile: «Totò è costretto a farsi fotografare con la “cimice” fascista all’occhiello».
TOTO GERARCA FASCISTA
Perché così - argomenta l’autore di questa puntigliosa ricerca sul periodo meno studiato del Totò cinematografico (sei pellicole contro le tantissime del dopoguerra) - si voleva punire l’audacia del comico che, proprio nelle riviste recitate in quei mesi, metteva alla berlina il regime di Mussolini e gli alleati tedeschi.
Come? Per esempio in Volumineide (1942), dove Totò-Pinocchio ripete a Lucignolo la filastrocca del paese dei balocchi: «Qui le teste son di legno / ch’è proibito avere ingegno / chi ragiona in questo regno / non è degno di campà». O nell’ Orlando curioso (1943), dove Totò-pazzariello annunzia al popolo che «il padrone» è diventato pazzo.
toto le moko
Ovviamente, questa di Totò costretto a mettere il distintivo, è solo un’ipotesi. Non ci sono prove. Così come di ipotesi, di supposizioni è fatta la versione di un Totò antifascista militante, anzi addirittura finanziatore della Resistenza.
Certo, l’idea che dietro quel ritratto ci sia un’intenzione malvagia può autorizzarla l’identità del fotografo, il tedesco Euigenio Haas, che dopo la liberazione di Roma sarebbe stato indicato come «ufficiale delle SS, spia della Gestapo, il quale celava dietro un sorriso servile la sua rabbia di belva nazista».
E se è vero che la “cimice” aveva finito da molto tempo di essere un segno inconfondibile di appartenenza e riconoscimento, certo, vicino al luglio del ‘43, quelli che la portavano non erano più tantissimi. Quindi, vedere una foto col distintivo in quei mesi un po’ d’effetto lo doveva pur fare.
enzo garinei e toto
Da qui la supposizione di una costrizione, una forzatura. Era comunque innegabile il fatto che Totò, sul palcoscenico, non risparmiasse frecciate e allusioni ai detentori del potere. Si ricordano molti interventi della censura che cambiava battute del testo, che magari il comico ripristinava a dispetto mandando il pubblico in delirio.
enzo garinei e toto 2
Di certo, la vera resistenza che oppose Totò al regime fu quella di rifiutare il trasferimento a Venezia dopo l’8 settembre. Quando la Repubblica di Salò aveva cercato di ricreare Cinecittà in laguna. E gli irriducibili in camicia nera (Valenti, la Ferida) erano accorsi subito al richiamo. Totò era atteso per un ambizioso progetto di film musicale, Arcobaleno, che però non vide mai la luce. E lui fece di tutto per non andare.
enzo garinei e toto
Molti anni dopo, nel ‘65, in un’intervista Totò ricordava: «Reagivo come potevo, col mezzo a mia disposizione. E di questo ne sono fiero...». Insofferente delle prepotenze, delle arroganze del potere, reagiva allora come avrebbe reagito nei film degli anni ‘50 e ‘60, quando a esser presi di mira erano i vizi dell’era democristiana. Antifascista, dunque, Totò? In senso lato, sì.
toto cerca moglie
Ma certo non di sinistra. Semmai conservatore, tendenzialmente monarchico. Non va infatti dimenticato che, proprio nei giorni in cui finiva la guerra nel mondo, Antonio de Curtis festeggiava una sua personalissima vittoria. Quella di esser riconosciuto legittimamente dal Tribunale di Napoli erede dell’impero di Bisanzio.