DAGO-TRADUZIONE
Da “Charlemagne”, la rubrica sull’Europa di “The Economist”
palazzo berlaymont COMMISSIONE EUROPEA
Sommario: I Kraftwerk hanno costruito l'Europa moderna, il resto di noi ci è soltanto vissuto
kraftwerk trans europe express
Chi parla a nome dell’Europa? La domanda di Henry Kissinger non ha mai trovato una risposta soddisfacente, ma una persona che interpreta le cose alla lettera potrebbe rivolgersi alla sala stampa del palazzo Berlaymont a Bruxelles.
Qui, giorno dopo giorno, gli azzimati portavoce della Commissione europea rispondono con molta serenità alle domande di un potpourri di giornalisti, in un ambiente antisettico, passando perfettamente da una lingua all’altra mentre trattano di sottigliezze come le normative sulle telecomunicazioni, irregolarità ai confini o leggi sulla pesca (o almeno lo facevano prima che il Covid-19 colpisse).
THE ECONOMIST – CHARLEMAGNE SUI KRAFTWERK jeremy vine ricorda florian schneider
i kraftwerk e l'europa illustrazione the economist
È difficile per un’organizzazione esangue trovare un’appropriata espressione culturale. L’inno europeo, l’Inno alla Gioia di Beethoven, soddisfa molto l’egocentrismo dei suoi leader, ma è una scelta inadatta a un circolo che non riesce ad attrarre le simpatie pubbliche. Sarebbero molto meglio i Kraftwerk, la band elettronica tedesca la morte del cui co-fondatore, Florian Schneider, è stata annunciata la scorsa settimana.
Gli album dei Kraftwerk dalla metà degli anni ’70 ai primi anni ’80 hanno reinventato il pop, facendo nascere a loro volta una mezza dozzina di generi e aiutando non poco a definire l’era digitale. Ma allo stesso tempo erano anche in perfetta sintonia con la costruzione dell’Europa contemporanea.
I Kraftwerk erano troppo dediti alla creazione del suono in sé da preoccuparsi di incorporare nella loro musica una visione. Ma alcune parti di “Trans-Europe Express” (1977) proiettano una certa idea di Europa. In “Europe Endless”, ad esempio, c’è una descrizione decadente di un continente senza confini (“Parks, hotels and palaces”) con un’imponente linea di synth arpeggiata. Otto anni dopo, l’Accordo di Schengen la trasformò in realtà. La title-track dell’album parla di un viaggio continentale in treno, e lo fa sopra un ritmo che emula il suono delle ruote sui binari. Temi che allora praticamente non erano mai stati toccati dalla musica rock contemporanea.
kraftwerk roma 6
A dirla tutta, l’Europa dei Kraftwerk era decisamente una “vecchia Europa”, imperniata sulla Renania, dove Schneider e l’altro co-fondatore, Ralf Hütter, erano cresciuti, con i Paesi Bassi e il Belgio appena al di là del confine e la Francia non così lontana. Il soggiorno romantico ritratto in "Trans-Europe Express" comincia sugli Champs-Élysées e
florian schneider nel 2004
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non arriva più a est del Café Hawelka di Vienna. I Kraftwerk non hanno mai suonato nella DDR (anche se l’hanno fatto in Ungheria e Polonia nel 1981). Né la loro musica avrebbe potuto sperare di sfuggire allo sguardo attento degli agenti della Stasi, sostiene Olaf Zimmermann, che all’epoca conduceva uno show radiofonico sulla musica elettronica a Berlino Est. In ogni caso, per chi viveva sotto il giogo del comunismo, le urla ribelli di Bruce Springsteen o Mick Jagger, suscitavano molto più interesse del beat rigido di quattro ricchi ragazzi con un taglio di capelli pulito della Germania ovest.
i kraftwerk nel 1981
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In verità furono proprio queste congetture su cosa dovesse essere la musica rock che i Kraftwerk cercarono di scrollarsi di dosso quando iniziarono ad emergere dalla piccola scena d’avanguardia di Düsseldorf nel 1970. Già semplicemente scegliere un nome tedesco, cantare in tedesco e dedicare un album alla guida senza fatica in autostrada come ricerca del piacere nazionale ha segnato il gruppo come eccentrico, forse anche pericolosamente, in un paese che era ancora alle prese con gli orrori della sua storia recente.
i kraftwerk su nme nel 1975 the final solution to the music problem
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E mentre i Kraftwerk abbandonavano piano piano le loro ispide radici Krautrock per l’ingegneria di precisione del sintetizzatore, arrivarono i prevedibili commenti sarcastici. “La soluzione finale del problema della musica?”, scriveva sprezzante e con una buona dose di cattivo gusto il “New Musical Express” nel 1975. Ma i loro riferimenti europei eerano il costruttivismo russo, la Belle Époque, la fusione tra arte e tecnologia del Bauhaus prima del nazismo. In effetti questo “retro-futurismo” era la risposta all’eredità probelmatica dei Kraftwerk, come fa notare Uwe Schütte, autore di un libro sulla band. Piuttosto che cercare l’emancipazione attraverso l’individualismo anglo-americano, avrebbero razziato il passato europeo in cerca di punti di riferimento, che avrebbero potuto aiutare a formare un futuro migliore
ralf hutter florian schneider
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Ascoltare il ciclo dei Kraftwerk attraverso i loro temi universali – il rapporto dell’uomo con la tecnologia, le comunicazioni broadcast, la mobilità – spesso in svariate lingue, è pertanto sentire la musica pop ridisegnata per tutta una nuova serie di preoccupazioni. L’autore Owen Hatherley la definisce “una specie di Esperanto elettronico”. Questa è la colonna sonora dell’Ue, composta di élite anonime che cuciono insieme un continente, senza paura della complessità e ancorate a un tranquillo ottimismo. Come i funzionari che perfezionano le direttive negli uffici privi d‘aria di Bruxelles, i Kraftwerk hanno scansato la notorietà e la pubblicità delle loro opere, assecondando il loro perfezionismo sonico dall’interno del loro misterioso studio Kling Klang. Solo una volta, remixando il loro successo del 1975 “Radio-Activity”, fecero quello che si può chiamare prendere una posizione. Altrimenti preferivano sempre l’illuminazione alla fulminazione. Molte band cercano di cambiare il mondo. Per i Kraftwerk il punto era descriverlo.
ursula von der leyen con il padre
Quindi, quale pezzo dei Kraftwerk dovrebbe adottare Bruxelles? Se “Europe Endless potrebbe sembrare infelice nei confronti dei paesi che sono caduti vittima del “senso dei confini occasionalmente espansivo degli europei”, che dire di “The Telephone Calls” (1986) riadattata per celebrare il successo dell’Ue nella riduzione delle tariffe di roaming; o “The Robots” (1978) per omaggiare l’eccellente efficienza degli eurocrati, “programmati soltanto per fare tutto cià che tu vuoi che facciano”; o “Numbers” (1981), un’esibizione di caratteri in più lingue di quelle che può parlare Frans Timmermans, il poliglotta vice presidente della commissione?
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Forse quel momento è ormai tramontato. Infine, proprio mentre il mondo che i Kraftwerk avevano predetto li raggiunse, la musica svanì. Il loro ultimo deludente album, del 2003, era dedicato al ciclismo (al Tour de France, ndDago). Anche l’Europa è andata avanti: allargandosi, dilatandosi e ora fratturandosi. Eppure è un peccato che i Kraftwerk non abbiano mai avuto l’opportunità di esplorare i temi che hanno forgiato il continente in questo secolo: i viaggi low cost, le catene di produzione “just-in-time”, la tecnologia mobile (“Pocket Calculator”, un inno alle possibilità creative dei dispositivi palmari, arriva a metà strada).
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Schneider aveva abbandonato i Kraftwerk nel 2008. Da allora la band, in pratica Hutter e tre amici, è stata in tour continuamente, entusiasmando i fan con grafiche spettacolari. Il 16 maggio i Kraftwerk avrebbero dovuto unirsi ai festeggiamenti per il 250esimo compleanno di Beethoven a Bonn, in occasione del loro 50esimo anno di attività. Erano stati attratti dal simbolismo: il bardo ufficiale d’Europa e i suoi uomini-macchina trovatori, uniti nella celebrazione del continente che li ha resi possibili.
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