Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”
INSEGUIMENTO CON IL MACHETE A TORINO
Passeggiando per strada, ci si può imbattere in scene come questa: un ragazzo a torso nudo con la faccia sporca di sangue che ne insegue un altro con indosso la maglietta della Juve. Il calcio non c'entra. C'entra che siamo a Torino, in corso Giulio Cesare, la porta della città per chi arriva da Milano. C'entra che sono le quattro del pomeriggio, non le tre di notte. C'entra che l'inseguitore brandisce un machete. Un machete, ripeto. A Torino. Alle quattro del pomeriggio. Davanti a una scuola.
Che cosa ci vuoi fare? Se dici che la zona è in mano alla criminalità nordafricana, sei razzista. Se ti limiti a generiche lamentazioni, sei buonista. O collezionista di banalità, «signora mia, dove andremo a finire». Ci siamo già finiti, in quel «dove», ed è il luogo dell'impotenza, preludio della resa.
massimo gramellini
I politici fanno denunce quando stanno all'opposizione, ma tacciono, o vanno di supercazzola, appena prendono il comando. Le associazioni si barcamenano eroiche. E i cittadini non mugugnano neanche più, avendo perso ogni speranza in un cambiamento reale, possibile solo se gli amministratori - per usare il linguaggio bellico oggi di moda - si decidessero a mettere «gli stivali sul terreno», riconquistando fisicamente, palmo dopo palmo, i territori a loro affidati.
Ma finché non succede e in strada vige la legge del machete, la gente scappa dalle città oppure si barrica in casa anche senza lockdown. In un nuovo Medioevo aggravato dai social.
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