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    MANAGER AL ROGO - INCREDIBILE: ALLA FINE ANDRANNO IN CELLA I DIRIGENTI THYSSEN CONDANNATI IN CASSAZIONE IN ITALIA MA CHE DA 13 ANNI SFUGGONO ALLA GIUSTIZIA. HARALD ESPENHAHN E GERALD PRIEGNITZ IN GERMANIA SCONTERANNO 5 ANNI DI CARCERE, IL MASSIMO DELLA PENA PREVISTO DALLA GIUSTIZIA TEDESCA, MENO RISPETTO ALLE SANZIONI - BONAFEDE E APPENDINO PARLANO ALLE FAMIGLIE DELLE VITTIME


     
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     (ANSA) - Si aprono le porte del carcere per gli ultimi due condannati nel processo Thyssenkrupp. Un tribunale tedesco ha respinto il ricorso di Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, i manager della multinazionale dell'acciaio riconosciuti responsabili in via definitiva per il rogo che nel 2007, a Torino, uccise sette operai. Agli imputati, dopo l'ultima sentenza della Cassazione, furono inflitti rispettivamente 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi. In Germania ne sconteranno cinque, il massimo della pena prevista dall'ordinamento locale per reati di questo genere. "Il mio primo pensiero va ai familiari delle vittime che rivendicavano una risposta di giustizia. A loro va il mio più forte abbraccio", il messaggio del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

     

    "Torino aspettava da tempo questa notizia", è invece il commento della sindaca Chiara Appendino, che si dice "vicina alle famiglie delle vittime". Era il 6 dicembre del 2007 quando una nube di fuoco, divampata all'improvviso, avvolse sette lavoratori che, fedeli alle consegne, stavano cercando di smorzare con gli estintori quello che sembrava essere un normale principio di incendio sulla 'linea 5' dell'acciaieria. L'inchiesta puntò il dito sulle gravi lacune in materia di sicurezza presenti in uno stabilimento ormai in via di dismissione (gli impianti stavano per essere trasferiti a Terni). I processi, in seguito, accertarono responsabilità sia a Torino che a livello centrale.

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    "Il punto - dice Raffaele Guariniello, il magistrato oggi in pensione che coordinò il pool dei pubblici ministeri - è che i quattro condannati italiani avevano già cominciato a scontare la pena. A me non è mai piaciuto sapere di qualcuno in carcere. Ho sempre perseguito i reati, mai le persone. Ma era una questione di equità. Una ferita da rimarginare". Graziella Rodinò, mamma di Rosario, una delle sette vittime, non sorride: "Le notizie dalla Germania alimentano le nostre speranze di giustizia, ma troppe volte questa gente trovato il modo di evitare la prigione. Ci crederemo quando saranno dietro le sbarre".

     

    A respingere il ricorso di Espenhahn e Priegnitz è stato, in seconda istanza, il tribunale regionale superiore di Hamm, dopo una prima pronuncia dei giudici di Essen. "E' la conferma - commenta Guariniello - che il nostro è stato un processo giusto, dove tutte le parti coinvolte hanno potuto far valere le proprie ragioni". "La prescrizione - osserva ancora il magistrato - è stata evitata anche grazie al fatto che chiudemmo le indagini in soli due mesi e mezzo. Che la pena venga eseguita è importante in un'ottica di prevenzione degli incidenti sul lavoro: dimostra che chi sbaglia rischia davvero di andare in carcere".

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