Carlo Bertini e Francesca Schianchi per la Stampa
La mossa inattesa di Di Maio arriva nel tardo pomeriggio, dopo ore di tensioni pubbliche tra il reggente Martina che timidamente prova ad aprire uno spiraglio e renziani scatenati con agenzie fotocopia: mai con il M5S. Un post con quel «buona fortuna» a Salvini che assomiglia a una chiusura: «Un fatto importante», lo definisce da Firenze l' ex segretario del Pd, Matteo Renzi, «ma non cambia niente», aggiunge.
luca lotti maria elena boschi al quirinale
La sua linea resta quella predicata da cinquanta giorni a questa parte: no a ogni accordo. Almeno per ora, perché l' ex leader che ancora controlla gran parte dei gruppi parlamentari, senza il quale nessuna intesa con i grillini può andare in porto, si trova lacerato tra opinioni e consigli diversi. Non solo di fedelissimi di seconda o terza fila, ma addirittura delle due persone che lui più ascolta e tiene in considerazione, la quintessenza del giglio magico: Luca Lotti e Maria Elena Boschi.
Lui è l' uomo che i grillini hanno individuato come tramite per raggiungere il capo. Ha in comune con i vertici pentastellati una legislatura, durante la quale si sono stretti rapporti e conoscenze. Già da qualche giorno il suo telefono squilla, e il ministro dello Sport, racconta chi lo conosce bene, comincia a riflettere se non sia il caso di intavolare un discorso.
BOCCIA E BOSCHI
Dall' altra parte però, c' è la Boschi: oggetto di attacchi e critiche feroci da parte dei Cinque stelle, che sul caso Banca Etruria hanno impostato buona parte della campagna elettorale, è assolutamente ostile a qualunque ipotesi di aprire una discussione con loro. Tanto più che, se il Pd dovesse mettere come condizione il veto a Di Maio premier, il M5S avrebbe pieno titolo di imporre un analogo veto a incarichi di governo su qualcuno del Pd: e lei sarebbe la prima della lista.
Per ora, la posizione resta di chiusura, come fatto sapere via sms da Lotti a deputati smarriti che gli hanno chiesto lumi, e dimostrato dalla sfilza di commenti di parlamentari renziani usciti a raffica a metà pomeriggio in risposta a un retroscena dell' agenzia Dire. Si prevedeva quello che poi Martina avrebbe pronunciato a sera, «ci confronteremo con il presidente Fico con spirito di leale collaborazione» purché si ponga fine a «ogni ambiguità e a trattative parallele con noi e anche con Lega e centrodestra».
ANDREA MARCUCCI
Apriti cielo: dal capogruppo Marcucci al segretario toscano Parrini alla fedelissima Malpezzi è un coro di «distanze invalicabili» e «condizioni minime» assenti. A un certo punto è il presidente Orfini, l' ultimo capocorrente rimasto stabilmente accanto a Renzi, che sarà nella delegazione ricevuta oggi alle 14.30 dal presidente Fico, a incaricarsi di contrastare qualunque velleità di apertura di Martina: «Eravamo, siamo e resteremo alternativi ai Cinque Stelle per cultura politica, programmi e idea della democrazia. Quindi non ci sono le condizioni per un accordo politico tra Pd e M5S».
Dichiarazioni che portano quasi alla rissa pubblica, quando il deputato della minoranza Francesco Boccia le definisce «gravi e irrispettose», e chiede una Direzione in cui confrontarsi: organo che potrebbe venire convocato giovedì. Sarebbe il luogo giusto per mettere sul tavolo le due linee che ormai sempre più chiaramente si delineano nel partito.
ZAMPETTI UGO
«L' accordo non si farà mai, perché ai Cinque stelle serve tutto il Pd unito, e tutti non ci staremo mai», prevedono dalla maggioranza. Tra i «governisti», però, si fa strada un' altra suggestione. Sanno che il presidente Mattarella vuole evitare un governo ad alto tasso di populismo, e pensano che questo potrebbe indurlo ad aumentare la moral suasion sui dem.
E allora, fallito il tentativo Fico, potrebbe provare un' altra strada: un governo del Presidente guidato dal segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti. Sarebbe difficile per Renzi, pensano nella minoranza, dire no al capo dello Stato e a un civil servant. Anche se lui, a chi nei giorni scorsi ha paventato l' ipotesi di un esecutivo istituzionale, ha già prospettato una strategia: potrebbe dire sì solo a condizione che ci stessero anche i Cinque stelle. Convinto che mai darebbero il via libera a un governo stile Prima Repubblica.