Marco Castelnuovo per corriere.it
marchisio
Claudio Marchisio è bello, ricco e di successo. È stato capitano della Juventus e della nazionale. È un ex, anche se ha solo 33 anni: alla sua età molti sono ancora precari. Possiede ristoranti, una società di comunicazione digitale, commenta le partite dell’Italia per la Rai.
I tifosi lo chiamano Principino per quel suo modo di fare elegante e preciso che aveva nel tocco di palla e che mantiene nell’abbigliamento e nella scelta delle parole. Marchisio, infatti, scrive. Esce in questi giorni per Chiarelettere, Il mio terzo tempo, un libro che usa la scusa del calcio per parlare di vita, due cose che nel suo caso sono coincise.
Marchisio, lei ama il calcio, eppure scrive che «è il simbolo del fallimento culturale della nostra società».
CLAUDIO MARCHISIO CALZINI
«I problemi del calcio sono gli stesi del mondo. In campo si ripercuotono tutti i mali della società. Il razzismo, le differenze di genere, le discriminazioni. È diventato una grande industria: è inevitabile che si perda la passione che si avvertiva nelle discussioni al bar».
Lei aveva quattro anni durante i Mondiali di Italia ‘90, quelli di Schillaci e delle notti magiche. È così cambiato il calcio da allora?
«Quando io iniziai a giocare a pallone, i miei genitori cercavano di assecondare una passione. Ora che accompagno i miei figli mi accorgo che per molti l’approdo al professionismo vale più dell’università. La pressione che si avverte a maggio, quando non si sa se il proprio figlio verrà tagliato o confermato per la stagione successiva, è palpabile».
CLAUDIO MARCHISIO RED
A volte per provare la strada del professionismo si tralascia la scuola.
«Ma è sbagliato! Lo sport e la scuola non sono più allineati ed è un errore. Gli allenatori delle squadre giovanili cambiano ogni anno quando invece dovrebbero essere considerati degli educatori, dei maestri. E come tali mantenuti per un ciclo. Se non si riparte da lì, è tutto inutile».
Per fare qualcosa di simile ci vogliono dirigenti audaci. Ha mai pensato di lavorare per questo?
«Se mi dessero carta bianca, lo farei. Se sono un puntino isolato, allora è inutile».
Lei ha smesso con il calcio ma ha mantenuto intatta la sua popolarità. Forte dei 4,5 milioni di follower su Instagram. Un buon megafono, non trova?
«Infatti li uso e credo nel valore che i social possono avere. Vengono usati come strumento di odio, ma sono utili anche per comunicare iniziative positive».
marchisio
Che però non hanno lo stesso risalto...
«Dipende: mi hanno molto colpito le parole nette contro il razzismo scritte dall’americano McKennie, nuovo acquisto della Juventus. È giovanissimo, appena arrivato, ma ha subito fatto sentire la sua voce. Ben vengano questi esempi».
Il calcio mantiene intatte le proprie fortezze. Anche il tema dell’omosessualità è un tabù.
«È vero. Nessun mio compagno mi ha mai detto di essere gay, ma non è vero che negli spogliatoi non se ne parli».
E come mai nessuno ha mai fatto coming out?
«C’è omertà, senza dubbio. Sia per la reazione dell’opinione pubblica sia all’interno dello spogliatoio. Sa quelle battute stupide sulla saponetta? Ecco, meglio evitare. Uscire dagli schemi è difficile. Per fortuna c’è il calcio femminile».
Pensa che le numerose calciatrici che apertamente dichiarano il proprio orientamento omosessuale stiano aiutando anche gli uomini?
«Sicuramente sono più emancipate, possono aiutarci a spezzare un tabù. Prima o poi ci sarà qualcuno con le spalle talmente larghe da contrastare l’inevitabile onda d’urto».
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Senta, ma è vero che lei è talmente juventino che rinunciò a trasferirsi all’Inter di Mourinho?
«Ci furono dei contatti: dissi di no. Persone come me, Totti, De Rossi o Maldini, hanno fatto tutta la trafila con gli stessi colori. Fin da bambini. Il nostro attaccamento alla maglia non è negoziabile. Pensi che mi cercò anche il Real Madrid».
Scusi?
«Avevo 21 anni, avevo appena cominciato a giocare nella Juve e Capello, allora a Madrid, mi voleva. Dissi di no perché volevo giocare nella mia squadra del cuore, davanti ai miei genitori, nella mia città».
Quindi lei è così tifoso juventino che sa anche quanti sono gli scudetti bianconeri?
«Lo sa benissimo anche lei quanti sono».
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Ne ballano sempre due, vinti sul campo, ma tolti in seguito agli scandali di Moggi e Giraudo. Perché non metterci una pietra sopra e andare avanti?
«Non si rivendicano gli scudetti tolti per l’albo d’oro, ma per reclamare una differenza di trattamento subìto rispetto alle altre squadre».
Lei prima ha citato la sua città, Torino. Sa che c’è chi la vorrebbe sindaco?
«Ho visto, mi ha fatto piacere e magari un giorno sarò disponibile, come parte integrante di una squadra».
marchisio
Quindi non esclude un ingresso in politica, magari nazionale?
«No affatto, anzi: ci penso. Sarebbe bello mettere in pratica le mie idee. Molte cose ancora non le so, dovrei studiare. Ma certo mi piacerebbe».
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