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    "FRANCO MARESCO NON POTEVA FARE A MENO DELLA CARICA EMOTIVA DELL’AMICA LETIZIA" - MARCO GIUSTI: "IL LIBRO "LA MIA BATTAGLIA – CONVERSAZIONI CON LETIZIA BATTAGLIA", È PER MARESCO UN MODO DI RINGRAZIARE LETIZIA PER IL GRANDE AFFETTO. MA NON È CHE LA LORO AMICIZIA SI TRAMUTASSE MAGICAMENTE IN UN VOLER ANDARE D’ACCORDO. LO SCONTRO ANDAVA AVANTI DA SEMPRE" - "NELL'ESTATE DEL 2018, SU UN VOLO BOLOGNA-PALERMO, PER UNA VOLTA NON PARLARONO TANTO DI PALERMO, DI MAFIA, DI MORTI AMMAZZATI. MA DI… - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    La mia Battaglia – Conversazioni con Letizia Battaglia di franco maresco La mia Battaglia – Conversazioni con Letizia Battaglia di franco maresco

     Nell’estate del 2018, sul volo di ritorno Bologna – Palermo, dopo aver assistito alla proiezione di “Blow-Up” di Michelangelo Antonioni e del documentario “La mia Battaglia” di Franco Maresco dedicato a Letizia Battaglia, per una volta, esausti dopo il lungo parlare di mafia e mafiosi, Franco Maresco e Letizia Battaglia discutono di cinema. La loro è un’amicizia che dura da 50 anni.

     

    Il documentario che hanno presentato, esattamente come il libro appena pubblicato per Il saggiatore, intitolato appunto “La mia Battaglia – Conversazioni con Letizia Battaglia”, è per Franco Maresco “un atto dovuto”. Cioè “Un piccolo modo di ringraziare Letizia per il grande affetto che ha sempre mostrato nei miei confronti”. Ma non è che la loro amicizia si tramutasse magicamente in un voler andare d’accordo. Anzi. Lo scontro andava avanti da sempre.

     

    franco maresco letizia battaglia franco maresco letizia battaglia

    Anche perché partivano da premesse diverse. Siciliano triste e disperato da sempre, Franco, l’ideatore assieme a Daniel Ciprì della mitica Cinico Tv. Energetica e positiva da sempre, la grande fotografa, Letizia. “Io non voglio essere disfattista come te. Spero sempre che ce la faremo. Spero sennò muoio. Muoio se non questa speranza che qualcosa possa cambiare”. Uno feroce avversario e polemico su Orlando, l’altra agguerrita paladina del sindaco. “Fare una critica a Orlando, per Letizia, significa tradirlo. E tradire anche se stessa”.

     

    La mia battaglia La mia battaglia

    Ma Franco non poteva fare a meno della carica emotiva dell’amica, della sua vitalità. Al punto da averla avuta a fianco nei suoi ultimi film come una sorta di occhio vitale e energetico. Qualcosa con cui era impossibile non confrontarsi. “Mi trasmetteva la sua energia, una forza incredibile per una ottantenne con tutto il peso dell’esperienza e del dolore che si portava dietro”. Ma, per una volta, non parlano tanto di Palermo, di siciliani, di mafia, di morti ammazzati. Su quel volo di ritorno dal Continente parlano di cinema. Anche se è spesso solo un pretesto per parlare d’altro.

     

    letizia battaglia letizia battaglia

    Primo film visto? Biancaneve e i sette nani. “La prima volta che lo vidi fu al Cinema Olimpia. Era una sala deliziosa di Palermo che si trovava in Via Libertà. Debbo dirti che mi turbò molto. (..) C’era anche la paura della strega cattiva. Ma il vero turbamento me lo dava la Regina, il fatto che fosse bella ma anche malvagia. C’era qualcosa che mi eccitava in quel personaggio, intendo proprio in senso erotico. Anche la voce mi impressionava. (..) Dicevo di tifare per Biancaneve, ma nel mio inconscio – diciamo la mia parte oscura – parteggiavo per la Regina. Biancaneve e il Principe sono stucchevoli, melensi, la loro storia d’amore è di una noia letale. Già allora mi sentivo inquieta, insofferente verso le regole, la famiglia, le convenzioni della società…”.

     

    franco maresco letizia battaglia franco maresco letizia battaglia

    Altri film importanti della giovinezza? “Via col vento visto d’estate in un’arena. Durante la proiezione, c’erano alcuni gechi che invadevano lo schermo. Scorrevano lungo le facce degli attori e, ogni dieci minuti, la maschera si precipitava per cacciarli utilizzando una canna lunghissima. Gli spettatori fischiavano infastiditi dalle continue interruzioni.” Quanto a Clark Gable, dice Letizia, “non mi è mai piaciuto. Aveva sempre quel ghigno spocchioso e arrogante… Mi faceva un’antipatia che non t’immagini!”.

     

    franco maresco e daniele cipri cinico tv franco maresco e daniele cipri cinico tv

     L’unico film che le è piaciuto di Clark Gable è l’ultimo, “Gli spostati”, diretto da John Huston con Marilyn Monroe e Montgomery Clift. “Mi fece un’impressione terribile. Era un film con un’atmosfera lugubre, mortuaria. Tutti erano infelici e disperati. Quello fu un periodo in cui cominciavo a sprofondare nella depressione e il mio matrimonio era diventato una prigione. Mi sentivo come i personaggi di quel film: non vedevo via d’uscita. Ecco, in quel film Clark Gable mi sembrò umano, fragile e solo, come forse era nella vita reale”.

     

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    E Marilyn Monroe? Cosa provò Letizia Battaglia quando seppe della sua morte? “Rimasi sconvolta dalla notizia della sua morte anche perché sapevo che cos’era la depressione. Sapevo quanto la depressione ti soffoca e ti trascina via, giorno dopo giorno, dalla vita e dalle persone che ami. Io soffrivo. Stavo male e mi sentivo in colpa perché stavo male. (..) Non voglio parlare da fotografa, ma da donna. Non ho mai associato a Marilyn il concetto di piacere sessuale nel senso, come posso dirti?, gioioso del termine.

     

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    Aveva lo sguardo di una tristezza senza fine. In lei percepivi l’infelicità e lo smarrimento, un vuoto che niente e nessuno poteva riempire. Mi spingo a usare la parola frigidità. Tutto l’opposto del desiderio sessuale, capisci quello che voglio dire? Mi ha sempre fatto pensare a un essere che ha bisogno di essere abbracciato, protetto e curato con amore, ma non al sesso inteso come atto ludico, gioioso”. Le piaceva moltissimo invece Kim Novak. “Lei sì che fu una bomba del sesso. Mi pareva un babà con la panna.

     

    Pastosa, soffice, soda, burrosa, E poi lasciamelo dire: aveva un culo da fine del mondo! Quando la si vedeva sullo schermo la si associava alle ‘cose porcone’, come si diceva ai miei tempi. Non solo gli uomini, anche le donne. Perché quello che lei rappresentava era un sesso allegro, pieno di vita, liberatorio, che volava, volava, volava…”. Ma più che alla Kim Novak di “La donna che visse due volte” di Alfred Hitchcock, Letizia torna con la memoria a quella di “Baciami stupido” di Billy Wilder con Dean Martin.

     

    “Te la ricordi la Standa di via Libertà?”, chiede a Franco, “Pensa che io ci andavo tutti i pomeriggi perché c’era una cassiera bellissima che era uguale a Kim Novak. Aveva gli stessi stupendi occhi di lei. Si chiamava Elena. Diventammo amiche e quando qualche anno dopo si sposò con un meccanico io le feci le foto del matrimonio. Sai come andò a finire? …che lei se ne scappò con il prete che aveva celebrato il matrimonio. Ci fu uno scandalo pazzesco che finì su tutti i giornali. Il marito li scoprì in un paese vicino a Palermo dove era andato armato di lupara.

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    Li sorprese, spara e il fucile si inceppa. Non contento, aggredisce il prete e con un morso gli stacca il naso. Sembrava tragedia, giusto? E invece non passa nemmeno un anno e Elena torna buona buona con il suo meccanico. Mentre il prete senza naso, una volta perdonato dal vescovo, diventa missionario e parte per l’Africa. Una storia degna del tuo Cinico tv altro che Billy Wilder!”. E la Kim Novak italiana, chi poteva essere. Sandra Milo? “…aveva una carnalità simile a quella della Novak. Emanava sesso da ogni poro, ma a mio avviso le mancava la sua innocenza, la dolcezza del suo volto. Nell’ocaggine dei personaggi di Sandra Milo non c’è leggerezza.

     

    C’è un che di pesante, invece. C’è insoddisfazione. E c’è il cinismo dell’Italia bacchettona e maschilista di allora”. Magari Stefania Sandrelli, che all’epoca dei due film di Pietro Germi, “Divorzio all’italiana” e “Sedotta e abbandonata” era addirittura minorenne. “AI tempi di Sedotta e abbandonata una diciassettenne era considerata una donna compiuta. Ricorda che io mi sono sposata all’età che aveva Stefania Sandrelli in Divorzio all’italiana, quindici anni, e non ero certo un’eccezione. Si cresceva prima.

     

    FRANCO MARESCO COVER - LETIZIA BATTAGLIA FRANCO MARESCO COVER - LETIZIA BATTAGLIA

    Si doveva crescere per affrontare la vita e aiutare la famiglia. (..) Tu lo sai che ho sempre detestato Berlusconi, figurati se posso difenderlo. Ma te lo ricordi tutto il gran casino scoppiato per Ruby Rubacuore, la ‘nipotina di Mubarak’? Sarà stata minorenne, ma quella aveva il copro e la sensualità di Sofia Loren!”. Chi le piaceva davvero a Letizia Battaglia era Gary Cooper, “un dio calato in terra dall’Olimpo! Mi piaceva da morire quando avevo più o meno quindici anni”.

     

    In generale però, da un punto di vista estetico, Letizia ha sempre più interessanti le donne. Anche da fotografare. “Vuoi sapere se sono lesbica? Non lo sono. Però amo pazzamente la bellezza delle donne in tutte le sue manifestazioni. Amo il loro coraggio, la loro determinazione, il modo profondo in cui esprimono i sentimenti, il loro amore per la vita, la solidarietà che manifestano verso gli altri”. Da femminista militante ricorda quanto poco le piacque “La città delle donne” di Federico Fellini.

     

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     “Trovai che delle donne, soprattutto delle donne di quegli anni, Fellini non aveva capito niente. Mi sembrò un film stanco, girato da un genio ormai incapace di cogliere i cambiamenti della società. Da uno che non sapeva niente della complessità delle donne, dei loro dolori, della loro esclusione sociale. In questo film, Fellini portò sullo schermo le tipiche ossessioni dei maschi della sua generazione: i bordelli, le tette, i culoni… Insomma, gli stereotipi. (..) Fammelo dire, Fellini era un misogino, ma nei suoi film più belli questa misoginia si trasfigurava, si sublimava nella potenza immaginifica e visionaria che il mondo intero conosce. Qui invece non vola più”.

     

    LETIZIA BATTAGLIA LETIZIA BATTAGLIA

    Da un punto di vista artistico, fotografico, tra i suoi film preferiti Letizia Battaglia mette i grandi classici di Eisenstein, “Quarto potere” di Welles, “Giovanna d’Arco” di Dreyer. “Sono costretta a dire pure Il trionfo della volontà e Olynpia di quella regista nazista…[Leni Riefenstahl]. Mise il suo straordinario talento visionario al servizio dell’orrore, Adorava Hitler, ma i suoi film mi lasciavano senza respiro, tanto erano potenti, monumentali”. In pieno ’68, tra i compagni duri e puri, fischia a Milano la proiezione di “Ombre rosse” di John Ford.

     

    letizia battaglia per lamborghini letizia battaglia per lamborghini

    “A quei tempi c’era il Vietnam e noi vedevamo quei soldati americani come il simbolo dell’imperialismo capitalista. Invece gli indiani erano gli oppressi, i vietnamiti”, si giustifica Letizia. Invece il film italiano che porterebbe su un’isola deserta è “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio. “La prima volta che lo vidi mi fece stare malissimo, sono uscita dalla sala letteralmente sconvolta. Tornai a rivederlo qualche giorno dopo e uscii euforica, Volevo rivoltarmi contro il mondo, lottare, fare casino, Per me fu un film liberatorio, l’equivalente di cento sedute psicanalitiche”.

     

    letizia battaglia letizia battaglia

    Trova invece “Il gattopardo” di Luchino Visconti “visivamente magnifico, un capolavoro, ma non mi ha mai preso perché ho sempre rifiutato la morale di Tomasi di Lampedusa. Io volevo cambiare la mia vita, e anche per questo ho fatto politica in una terra come la Sicilia, in una città come Palermo. Volevo dare il mio piccolo contributo a migliorare la società… Come potevo accettare che ‘tutto deve cambiare perché tutto resti uguale’? Quella visione rassegnata della nostra storia, questo destino a cui noi siciliani dovremmo essere condannati secondo quanto dice il principe Fabrizio, l’ho combattuto e lo combatterò fino alla fine”.

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