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    “CARO LUCIO, SPERO CHE I GIORNALI ESAGERINO CIRCA LE TUE CONDIZIONI. SE HAI BISOGNO, CHIAMAMI A QUESTO NUMERO” – MARINELLA VENEGONI SMENTISCE LA VEDOVA DI LUCIO BATTISTI, GRAZIA LETIZIA VERONESE, SULLA LETTERA DI MOGOL: “ARRIVÒ DAVVERO, ME LO DISSE IL MEDICO CHE GLIELA DIEDE. E LUCIO SI COMMOSSE” (SECONDO LA VERONESE INVECE NESSUNO HA MAI RICEVUTO UNA LETTERA DI MOGOL) – MASSARINI: “DA FAN DI BATTISTI, DICO SOMMESSAMENTE AL SIGNOR MOGOL: MA METTERCI UNA PIETRA SOPRA E VOLTARE PAGINA NO?”


     
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    Estratto dell'articolo di Marinella Venegoni per la Stampa

     

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    La caustica lettera aperta della vedova di Lucio Battisti, Grazia Letizia Veronese, all'autore dei suoi testi Mogol, in occasione dei 25 anni della scomparsa di uno dei più grandi e ancora oggi attuali artisti dei nostri tempi, ha riportato a galla le note vicende di un rapporto non idilliaco fra la signora e lo stesso Mogol, che con Lucio scrisse le più amate canzoni del canzoniere italiano, a partire dal loro incontro del 1965 e fino al 1980.

     

    Una storia intessuta di cause e controcause che si trascinano nel tempo. Nella sua rievocazione, la donna riporta tra l'altro un episodio che ha sempre incuriosito noi appassionati, avidi di particolari del rapporto fra i due: bruscamente concluso dopo che l'autore dei testi che tutti cantiamo a memoria aveva chiesto al musicista la pari dignità economica sui diritti d'autore (che per regola privilegiano la parte musicale), in nome delle palesi ventate di entusiasmo suscitate dal loro connubio. Racconta Mogol che Battisti, quella sera, gli disse subito di sì, ma chiese una notte per pensarci sopra.

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    Il mattino dopo, la risposta divenne negativa e fu l'addio.

    Scrive tra l'altro Veronese, rivolgendosi a Mogol: «Ti invito a non raccontare più la commovente storia della "lettera consegnata di nascosto a Lucio", ora da un'infermiera, ora da un medico, ora da un non meglio identificato professore. Voglio precisare, una volta per tutte, che mio marito in quei giorni lottava per la sua vita, che nessuno ha mai ricevuto una tua lettera, che Lucio in quegli stessi giorni non è mai stato solo e non ha mai pianto, tantomeno ricordando la vostra «amicizia».

     

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    Sono stata testimone di una diversa versione dei fatti. In un colloquio dei giorni che precedettero la fine dolorosa di Battisti, Mogol mi aveva confessato di aver consegnato a un'infermiera, che lavorava nell'ospedale in cui Battisti era ricoverato, una lettera per il vecchio sodale, impossibile da dimenticare: la donna gli aveva promesso che l'avrebbe fatta consegnare. Gli disse poi di averla data a un medico di quel reparto. Mogol aveva scritto: «Caro Lucio, spero che i giornali esagerino circa le tue condizioni. Se hai bisogno, chiamami a questo numero...». Non una lettera di affetti, ma un segno di presenza.

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    Era il '98, fra agosto e settembre (Lucio se ne andò il 9). I cellulari erano ormai parte della nostra vita. Scrissi su questo giornale un articolo nel quale raccontavo l'episodio, chiedendomi: «Chissà se il messaggio è arrivato a destinazione».

    Erano tempi nei quali i centralini dei giornali ancora erano semafori funzionanti della comunicazione fra lettori e redazioni, e un pomeriggio di poco successivo alla pubblicazione del mio articolo, arrivò alla mia scrivania una telefonata: «Sono il medico che ha ricevuto la lettera di Mogol per Battisti. Volevo dirle che l'ho consegnata al paziente, che in mia presenza l'ha aperta, e quando l'ha letta mi è parso commosso. Si è asciugato gli occhi con la mano».

     

    (…)

     

    BATTISTI LE TRE VERITÀ LA LETTERA DELLA MOGLIE

    Estratto dell’articolo di Carlo Massarini per la Stampa

     

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    In occasione del 25ennale della scomparsa di Lucio Battisti, la lettera aperta di Maria Grazia Veronese Battisti riapre una vecchissima querelle personale con Giulio Rapetti in arte Mogol. Siamo su un terreno scivoloso, quindi proviamo a raccontarla così.

     

    (…) Mogol (..) non s'è mai dato pace della fine del sodalizio con Lucio. Maria Grazia Veronese ha difeso la memoria (e i diritti di copyright) del marito in modo maniacale, sbagliando a mio parere quando non voleva che i brani di Lucio apparissero su Spotify (si difende la memoria di un artista gestendola, non rendendola inaccessibile), ma resistendo alle lusinghe dei soldi e senza lavare i panni sporchi in Arno.

     

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    Se ne fa menzione adesso è, suppongo, per l'irritazione della causa portata ora in Cassazione per «mancata chance»: tradotto, la non-volontà di aprire il catalogo di Battisti ai «diritti secondari», cioè film e pubblicità per la quale serve il parere dell'autore e non solo dell'editore, e che nel caso di Lucio aprirebbe le porte a lauti guadagni.

     

    Cosa sulla quale ormai han mollato anche gli intransigenti (resistono solo i Beatles), ma che una volta era un questione di integrità ed evidentemente rispecchia le ultime volontà di Battisti. E per la storia brutta della lettera consegnata per vie traverse a un Battisti commosso sul letto di morte, divulgata da Mogol e che lei sostiene sia assolutamente falsa. Da fan di Battisti-prima-e-dopo, dico sommessamente al signor Rapetti: ma metterci una pietra sopra e voltare pagina no?

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