Gianluca Monastra per “il Venerdì di Repubblica”
Mario Cardinali del vernacoliere
L'hanno definito l'ultimo baluardo della satira e a Mario Cardinali, che quell'avamposto di carta e sberleffi lo difende da una vita, scappa una sorta di sorriso quando glielo ricordano: «Se è così, siamo messi proprio male».
Cardinali aveva quarantacinque anni il giorno in cui firmò da direttore la prima copia del Vernacoliere, una rivista «antifascista e anticlericale», rivendica con orgoglio, nata da un altro giornale livornese di controinformazione fondato negli anni Sessanta.
Mario Cardinali del vernacoliere
Era il 1982, un altro mondo e un'altra Italia con un ex partigiano al Quirinale, l'ombra del terrorismo in agguato, la gente in strada a festeggiare il trionfo azzurro al Mundial. E Cardinali già seduto dentro la sua redazione vista mare di Livorno, a provocare ogni tipo di potere con locandine e vignette dissacranti.
Mario Cardinali del vernacoliere
Da lì non si è mai mosso, destino di tanti livornesi stregati da questa città piena di sole e vento, un po' Marsiglia e un po' L'Avana, così difficile da abbandonare. Dunque, una vita a praticare (e a difendere in tribunale) quello che lui chiama «il nobile esercizio dell'intelligenza».
il vernacoliere ph ray banhoff
La satira, appunto: come sta oggi?
«E come deve stare... Negli ultimi tempi è stata depotenziata dal dilagare di battute. Un diluvio, sui social e in tv, senza rendersi conto che dietro la satira ci vuole passione civile, sennò non resta nulla. Ormai sono tutti pronti alle battutine, a cominciare dai politici, contenti di impossessarsi dello strumento dell'avversario. Un trucco vecchio quanto il mondo».
mario cardinali ph ray banhoff
A proposito di politici: c'era una volta un pisano che cercava voti a Siena. Dica la verità, Enrico Letta alle elezioni suppletive del collegio senese che tratta col fiorentino Matteo Renzi: un assist perfetto per il Vernacoliere.
«Non so mica, sa. Cosa vuole che interessi a un disoccupato di un signore che si sposta da un posto all'altro. C'è poco da ridere. Al massimo, Letta può arrivare a Siena e dire: avevamo una banca».
mario cardinali
Così disilluso?
«Inevitabile, la politica ha lasciato spazio ai politicanti. La persona è sparita dal centro della discussione e i partiti hanno messo da parte l'ideologia. Ma in questo modo cancelli i sogni e restiamo polli di allevamento, senza nessuna speranza di cambiare».
mario cardinali
Con Letta però avete un precedente. Se lo ricorda?
«Quando era presidente del consiglio gli dedicammo una locandina. Letta: Arfano mi tratta da pisano».
E lui?
«La rilanciò su Twitter definendolo un colpo basso».
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Eccola qui: l'eterna rivalità tra toscani.
«Be', i pisani son diversi da noi: io ho tanti amici laggiù e a Pisa mi ci sono pure laureato. Però, se non ci fossero, andrebbero inventati Comunque, il livornese è differente non soltanto da loro, ma da tutti i toscani».
mario cardinali con le locandine del vernacoliere
In che senso?
«Gli altri toscani sono nati per comandare o essere comandati, padroni o servitori, guelfi o ghibellini. Guardi i politici, a cominciare da Renzi. Hanno il tipico marchio della Toscana medievale, ripicche e inimicizie, frasi come "Enrico stai sereno", visto che stavamo parlando di Letta».
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I livornesi invece?
«Tutta un'altra cosa. Siamo un cacciucco di razze, il risultato degli editti di Ferdinando de' Medici. Nel Cinquecento aveva bisogno di popolare la città e offrì libertà a chiunque avesse voluto raggiungerla. Arrivarono delinquenti, gente di coltello. E tanti ebrei dalla Spagna».
Un popolo con la libertà nel Dna.
«Ci teniamo tanto, sì. Per questo al Vernacoliere non accettiamo pubblicità».
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Come si difende l'autonomia di una rivista come la vostra?
«Anni fa, arrivò in redazione un manager della Mondadori. Volevano il nostro marchio per un'agenda tipo Smemoranda. Rifiutai subito e lui mise sul tavolo il libretto di assegni con sopra la sua splendida Montblanc. "Decida la somma", disse. Allora risposi: "Non ci siamo capiti, la mia libertà non è in vendita"».
Le erano tornate in mente tutte le volte che avevate preso di mira Berlusconi?
«Macché, sarebbe stato uguale se con la penna in mano ci fosse stato Bertinotti».
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Una bella rinuncia. Anche perché i tempi oggi sono duri, resi quasi disperati dal Covid. Mesi fa avete lanciato un appello ai lettori per evitare la chiusura. Come è andata a finire?
«Bene, un gran successo. In poche settimane abbiamo superato l'obiettivo dei quattromila abbonamenti e ora siamo a seimila. In tanti ci hanno persino spedito buste con soldi, anche cinquecento euro. Da questa risposta ho capito l'importanza del Vernacoliere, la sua capacità di esistere e resistere. A volte penso che se comprasse la rivista anche solo uno su dieci di quelli che ridono davanti alle nostre locandine, saremmo ricchi».
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Oggi quante copie vendete?
«Dieci, dodicimila. Pensare che negli anni Novanta siamo arrivati a sessantamila… Dura andare avanti, sì. Abbiamo provato online, ma funziona poco. Però io insisto, ci mancherebbe. È un'avventura bellissima: abbiamo cresciuto una palestra di talenti, e ancora oggi siamo una agorà senza padroni. Ho ottantaquattro anni e mezzo e ogni giorno mi sveglio pensando che ho tante cose da imparare. Non mi annoio, ecco. Adesso, ad esempio, lavoro al quarto libro di locandine del Vernacoliere e rileggo Minima moralia di Adorno».
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Una risposta all'accusa di abuso di termini volgari?
«Negli anni ho ricevuto tanti inviti nelle università e qualcuno ha detto che le nostre locandine sono per i livornesi i sonetti del Belli dei romani. Dietro alle provocazioni e alle parolacce, alla mancanza di rispetto, c'è una lingua di opposizione al Palazzo. E tanta preparazione. Sapesse quanto ho dovuto studiare per poter dire bene tutte queste volgarità».
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