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    “LA CUCINA SICILIANA UNISCE LE DUE SPONDE DEL MEDITERRANEO, E' FATTA DI DIFFERENZE E SOMIGLIANZE" - MARIO NIOLA MAGNA E GODE PER LA CUCINA DEL’ISOLA: “A CATANIA IL RAPPORTO CON LA CUCINA OBBEDISCE ALLA STESSA EMERGENZA VULCANICA. TRIONFO DEL ROSSO IN TUTTA LA GAMMA DEI SUOI TONI. A PALERMO PANELLE, ARANCINE, PANE C’A MEUSA, SFINCIONI SONO CIBI DI STRADA, MA SOPRATTUTTO PARADIGMI ALIMENTARI, MONUMENTI DOCUMENTI DI UNA “CIVILIZZAZIONE” CHE HA CAMMINATO SPINTA DAGLI APPETITI...”


     
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    Estratto dell’articolo di Marino Niola per “la Repubblica”

     

    cibo in sicilia cibo in sicilia

    L’estate per la Sicilia è il momento della verità. È allora che l’isola, accecata dal sole, inebriata dagli aromi, illanguidita dal caldo si rivela come una terra promessa dei sensi. Fatta di odori e di colori, di sapori e di bagliori che trasfigurano luoghi, corpi e persone in un turbinio sinestetico. Dove cattedrali e palazzi prendono la pastosa malleabilità del marzapane.

     

    Mentre i cibi acquistano il plastico sbalzo delle sculture.

    Dolci di mandorla, croccanti, torroni, gelati, granite, cremolate, cassate, cannoli sono il controcanto gastronomico di un barocco morbidamente capriccioso. Volute della voluttà. Simmetrie di un gusto che si sublima nella cura estenuata di ogni dettaglio. Ed esplode in una fantasmagoria multisensoriale, dove bello e buono si riflettono in un gioco di specchi.

     

    pasta alla norma pasta alla norma

    Come nel bailamme moresco della Pescheria di Catania, dove il giallo aranciato dello zafferano, il marrone bruciato dell’anice, il bianco burro del sesamo, l’ambra dolciastra dell’uvetta, il carminio sanguigno del tonno e lo scarlatto marezzato della carne disegnano labirinti cromatici.

    La città etnea è figlia del fuoco. Sospesa tra rive e lave, tra lo Ionio e l’Acheronte.

    E anche il rapporto con la cucina obbedisce alla stessa emergenza vulcanica. Trionfo del rosso in tutta la gamma dei suoi toni. […]

     

    minne di sant'agata minne di sant'agata

    Ma anche apoteosi del bianco virginale delle minnuzze (seni) di sant’Agata, dove la dolcezza seducente della ricotta si copre del castissimo candore conventuale della ghiaccia.

     

    Il barocco siciliano non si lascia rinchiudere in un manuale di storia dell’arte. È vivente, epidemico, virale e i siciliani ne sono i portatori sani.

    Meandri di senso e arabeschi di cultura rendono egualmente istoriati cibi di strada e dimore nobiliari. Impregnano chiese matrici umide e amniotiche, dove si conservano corpi improbabili di martiri dalla testa di bambini. Ed esplodono in mercati variopinti come quelli di Palermo, dove ogni giorno vanno in scena i fondamenti primi dell’economia […]

     

    sfincione sfincione

    A Ballarò, al Capo, a Borgo Vecchio nella polifonia dei toni, nell’accavallarsi delle frequenze, nel contrasto dei colori e nella vertigine degli odori, appare improvvisamente chiaro perché nelle lingue indoeuropee vi sia un legame di famiglia tra le parole che significano comprare e vendere, nutrire e consumare, gioire e salvare.

    [...]

    Panelle, arancine (a Palermo sono al femminile), pane c’a meusa (milza), sfincioni, sono cibi di strada ma soprattutto paradigmi alimentari, monumenti documenti di una “civilizzazione” che ha camminato spinta dagli appetiti, spronata dai morsi della fame.

    arancina arancina

     

    […] Il che è particolarmente evidente in questa terra dove niente è concreto come l’astratto.

    […]

    In realtà Palermo, fenicia, normanna, sveva, araba, greca e ispanica custodisce gli arcani della cognizione umana sotto stratificazioni di disincanto. Quella siciliana è un’identità plurale, una geologia di culture, una cucina di differenze e di somiglianze.

     

    Che intreccia echi delle due sponde del Mediterraneo nel profumo conturbante del cuscus di Marsala, di Trapani, di Favignana. Incocciato a mano da signore sapienti come sibille, che vantano i loro sortilegi gastronomici con la metrica incantatoria di un Cunto.

    Ma il vero segreto di queste maestre di deliri aromatici è il finocchietto selvatico, che a Bagheria si vende ancora a mazzetti avvolti nella juta bagnata.

     

    No finocchietto, no pasta con le sarde!

    Ovvero il piatto identitario per eccellenza. Quello che un siciliano, ovunque si trovi, deve mangiare ogni tanto. Per necessità. La stessa necessità per cui è obbligatorio rinnovare la carta d’identità. Lo dice Ferdinando Scianna, il più narratore dei fotografi, che nel libro Ti mangio con gli occhi dedica al cibo dell’isola immagini visionarie.

    panelle e crocche 2 panelle e crocche 2

     

    Anche nella Sicilia orientale la storia è lunga, ma pesa meno. Lontananze greche e aure bizantine l’hanno resa più rarefatta, più leggera. Trasparente come lo smalto azzurrino di Ragusa Ibla, rischiarato dalle lanterne delle stradine snodate intorno al Duomo come un gomitolo di profumi dai sentori avvolgenti e agrodolci, che evocano le caponatine e gli arancini di Montalbano.

     

    […] E a Modica, dove le botteghe delle cioccolaterie storiche inondano di aromi le discese ardite e le risalite che movimentano la città, dandole l’aspetto di una quinta barocca dalla superba verticalità […] E della Sicilia una regione dell’anima, una ferita meridiana dell’essere.

    cassata cassata cannoli e cassate cannoli e cassate granita e bioche granita e bioche frutta martorana frutta martorana bioche e granita bioche e granita panelle e crocche 1 panelle e crocche 1

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