Alessandro Pasini per il Corriere della Sera
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Il Joker della motocicletta è talmente forte che per una sua corretta fenomenologia si dovrebbe invertire il punto di partenza: chiederci non come abbia fatto a vincere 4 titoli in 5 stagioni di MotoGp o 6 in 10 totali di carriera, ma come diavolo abbia fatto a non vincere gli altri, o almeno (tolti i primi due di apprendistato in 125) quelli in Moto2 nel 2011 e in MotoGp nel 2015. Davvero insomma c' è stato qualcuno capace di batterlo?
E sicuri che qualcuno ci riuscirà nell' immediato futuro? Il potere di Marc Marquez ormai è totale e inaffrontabile, qualunque tattica si usi, chiunque sia l' avversario. O conoscete un altro capace di restare in sella come ha fatto lui ieri a 6 giri dalla fine quando era già orizzontale e si è rialzato di puro gomito, mostruoso stuntman di se stesso?
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Qui dunque scatta la domanda delle domande: è già il più grande di tutti? Il dibattito è fragile, perché le epoche si succedono e non si confrontano, ma questo è il vizio della narrativa sportiva e allora proviamoci. Il palmarès è lo stesso di Valentino allo stesso punto della carriera: 4 titoli nelle prime 5 stagioni di top class e altri 2 in 125 e 250/Moto2. Marquez ha corso una stagione in più in 125 (3 contro 2), però ha 24anni contro i 25 di Rossi all' epoca. Dunque? Dunque diciamo parità, e ci si riaggiorna più avanti.
Di sicuro, la grandezza di Marc è quella di chi è nato per stare in moto e ogni domenica sposta il limite umano della guida. Cade tanto, è vero: 27 volte nel 2017, alla faccia della presunta svolta da «ragioniere» (i tre zeri di quest' anno sono il suo record in MotoGp). Ma non è follia, solo spirito di esploratore, come se avesse studiato all' accademia del crash. «Queste qualità non si allenano», dice lui. Casomai si assecondano.
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Anche se dopo le 5 cadute di Barcellona pure il fenomeno stava andando fuori di testa «e infatti ho cominciato a perdere i capelli». È da questa continua danza sul cornicione che escono le sue traiettorie sconosciute e vincenti, ma non pensiamo sia solo Dna: qui ci sono tanto allenamento, la conoscenza della moto (non avesse fatto il pilota avrebbe voluto fare il meccanico), l' adattabilità alle emergenze (è il mago del flag-to-flag e dei circuiti nuovi) e l' abilità nell' apprendere anche dagli errori come quelli del 2015, l' anno del presunto biscotto a favore di Lorenzo, o dagli avversari come Dovizioso, che ha omaggiato per la sua «forza mentale e la capacità di vincere anche quando non è il più veloce».
Marc, falsario abile e furbo, è una spugna che impara in un battito di ciglia: l' esempio migliore resterà sempre il modo in cui nel 2013, da rookie, fotocopiò proprio contro Valentino la «manovra Rossi» al Cavatappi di Laguna Seca. Quando la fece l' italiano su Stoner sembrava irripetibile. Marc - anche senza avere letto Benjamin - dimostrò che l' opera d' arte è davvero riproducibile, e persino migliorabile.
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In questi giorni si è parlato delle analogie con Lewis Hamilton, con il quale condivide molte straordinarie statistiche. Ma mentre l' inglese divora vita come titoli mondiali, Marquez ha un' adesione monacale e sorridente al proprio destino: «Io sono tutto casa e moto, per essere felice mi basta correre». Un limite?
Un modo d' essere. In fondo è per correre che il ragazzo è stato chiamato in missione e lui la realizza come pochi hanno fatto nella storia. Anzi, avanti di questo passo, diremo presto: come nessuno ha mai fatto nella storia.
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