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    CONFESSIONE DI UN MEDICO ABORTISTA - "TROPPA SUPERFICIALITÀ, POCA VOGLIA DI COMBATTERE, DI AFFRONTARE LA VITA E I SUOI PROBLEMI. A CERTE DONNE AVREI VOLUTO RISPONDERE: NON SI FA" - "OTTO VOLTE SU DIECI L'ATTEGGIAMENTO DEGLI UOMINI È DA FINTO PONZIO PILATO"


     
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     Daniela Monti per il Corriere della Sera

     

    MASSIMO SEGATO MASSIMO SEGATO

    L' aborto non è solo una «questione da donne». Esiste anche l' altra metà del cielo e bisogna sempre tenerne conto, ma il più delle volte mariti, fidanzati, compagni sono assenti. E se ci sono, tacciono. «Nella mia esperienza, direi che otto volte su dieci l' atteggiamento degli uomini è da finto Ponzio Pilato», scrive Massimo Segato, con il giornalista del Corriere della Sera Andrea Pasqualetto, in «L' ho fatto per le donne. Confessioni di un ginecologo non obiettore», da oggi in libreria per Mondadori. Decidi tu, dicono questi uomini alle loro compagne, ma solo perché sanno che la scelta di abortire è già stata presa. «Se però lei vacilla, magari dopo aver parlato con me o con gli assistenti sociali - continua Segato -, il loro pensiero esce allo scoperto e nella stragrande maggioranza dei casi è per l' interruzione».

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    Le donne, l' aborto, gli uomini: quelli che lo praticano («medici in gran parte ormai vicini alla pensione», denuncia la Laiga, Libera associazione italiana ginecologi per l' applicazione della legge 194); quelli che scappano; quelli che «decidi tu»; quelli apertamente favorevoli; quelli che poi se ne pentono; quelli contrari. Comunque sia, è una partita da giocare insieme. «Abortista: brutta parola, ha in sé una connotazione negativa, mentre io, nel mio lavoro vedo invece qualcosa di altruistico», scrive Segato, vice primario di ginecologia all' ospedale di Valdagno, per quarant' anni in prima linea nell' applicazione della legge 194.

     

    Nel libro ripercorre la sua carriera di medico abortista edificata sulle fondamenta di un triplice credo: nella professione come servizio al cittadino, nella Scienza e nel primato dello Stato. Almeno fino a quando una donna, Barbara, insieme al suo bambino che non sarebbe dovuto nascere - «Lo vede questo, dottore? Si chiama Giulio ed è un suo errore» -, getta un' ombra. «Fu davanti a quel bambino che ho avuto la mia prima crisi di coscienza».

    COPERTINA DEL LIBRO DI MASSIMO SEGATO COPERTINA DEL LIBRO DI MASSIMO SEGATO

    L' ospedale è il Cazzavillan di Arzignano, nel Vicentino, dove Segato fino al 2009 è stato responsabile di quella che gli antiabortisti hanno ribattezzato l' Equipo de la muerte : negli Anni 80 «abortire significava un po' sfidare Dio e la cosa generava paure e ostilità nei confronti di chi lo praticava. Noi medici abortisti eravamo "i diversi", una macchina delle interruzioni che andava a tutto vapore: in quel periodo ne facevamo circa 400 l' anno».

     

    Perché si abortisce? «Le donne si rivolgevano a noi per le ragioni più varie: perché troppo giovani o troppo vecchie per una gravidanza, perché avevano altre priorità, perché il padre non era il marito, perché avevano subito una violenza, perché il bambino non era normale, perché erano state convinte dall' amante», scrive il medico, un «soldato della 194» che non ha «mai disertato», anche se la tentazione l' ha avuta: «L' ho fatto per spirito di servizio, per coerenza professionale e per le donne».

     

    GRAVIDANZA GRAVIDANZA

    Il libro è la cronaca di una rinuncia per logoramento. Con il passare degli anni in camera operatoria, lo sguardo sulla vita - propria e altrui - cambia. Il soldato ha un sbandamento, l' inizio di una conversione laica: gli pesa verificare che le adolescenti che entrano nel suo studio lo fanno «in genere a cuor leggero, come se avessero dovuto togliersi una cisti: per loro era aborto a prescindere». Entra Francesca, 25 anni, un marito, un lavoro: «Non mi sento pronta per un figlio», dice. La macchina delle interruzioni si mette in moto anche per lei, com' è previsto dalla legge, ma al comando c' è un uomo sempre meno convinto: «Troppa superficialità, poca voglia di combattere, di affrontare la vita e i suoi problemi.

     

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    A certe donne avrei voluto rispondere: non si fa. Poi immaginavo i titoli dei giornali: lei vuole abortire, il Servizio interruzioni la respinge». Gli pesa il freddo: «Freddo l' ambiente, freddi gli animi, freddo il sangue. Perché freddo è l' aborto. Triste, silenzioso e terribilmente freddo. Almeno quanto è calda l' ostetricia con le sue mamme e i suoi piccoli.  Non ho mai visto una donna contenta per un aborto». Gli Anni Duemila portano la pillola abortiva (introdotta in Italia nel 2009) e la pillola dei cinque giorni dopo (nel 2011): il boom di farmaci fa ridurre gli interventi chirurgici. Dopo diecimila nascite e quattromila interruzioni, Segato dice basta: «La mia guerra è finita», la mia parte l' ho fatta. Tocca ad altri. Oggi non opera quasi più, «se posso evito e sono contento». Resta l' ipocrisia di uno Stato che tira avanti in modo fatalista: il servizio c' è e qualcuno lo farà.

     

    RACCOLTA FIRME PER ABORTO - \'70 RACCOLTA FIRME PER ABORTO - \'70

    Chi? In Italia sette ginecologi su dieci sono obiettori, in molte regioni la percentuale è ancora più alta: in Lazio arriva all' 85,6, in Basilicata all' 84,1, in Campania all' 83,9, in Sicilia all' 83,5. «Bisognerebbe che il servizio interruzioni di gravidanza diventasse un obbligo - è la conclusione a cui arriva un medico amareggiato, ma forse più sereno -. Come lo è la chiamata alle armi quando si entra in guerra. Nessuno vuole andarci, in guerra, ma qualcuno deve partire. Lo Stato precetti i soldati della 194» . È la norma in vigore in Italia (nel dettaglio Legge 22 maggio 1978, n. 194) che ha decriminalizzato e disciplinato le modalità di accesso all' aborto. Il titolo della legge recita: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull' interruzione volontaria della gravidanza». Prima del 1978 l' inter-ruzione volontaria di gravidanza in qual-siasi sua forma era considerata dal codice penale italiano un reato.

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