Mattia Feltri per "la Stampa"
BEPPE GRILLO CON BONAFEDE IN CAMPIDOGLIO
Sono qui da mezzora che cerco di spiegare che cosa sia il traffico di influenze illecite e non ci riesco. Occupo tutto lo spazio e non spiego niente, anche perché non sono nemmeno sicuro di averlo capito che cosa sia: una specie di scambio di favori dove il pm deve scovare del losco. Mi affido a una sintesi brusca ma efficace di Tullio Padovani, professore di diritto penale alla Sant' Anna di Pisa: «Un reato ridicolo, marginale, un pranzo di nozze coi fichi secchi».
BEPPE GRILLO E ALFONSO BONAFEDE
Bene, accontentatevi. Soprattutto è pressoché indimostrabile. Secondo gli ultimi dati del ministero, dal 2013 al 2016 è stato condannato il 33 per cento dei mandati a processo. E siccome i mandati a processo erano tre, il 33 per cento di tre è uno. Ammappala. Ora, auguro vivamente a Beppe Grillo, indagato ieri per traffico di influenze (tutti i dettagli in cronaca), di non essere il condannato del prossimo triennio. Anche perché prima la pena minima era di un anno, e la massima di tre.
BEPPE GRILLO jpeg
Poi ci si è messo di mezzo l'indimenticabile Alfonso Bonafede, il ministro della Giustizia degli Onesti per il quale tanta gratitudine dobbiamo a Grillo, e strozzato di furore contro i banditi della casta decise di innalzare la pena massima a quattro anni e mezzo. Fosse l'unica zappata che Grillo si è dato sugli stinchi. Mi ricordo quando - contrariamente al suo predecessore Andrea Orlando - Bonafede decise di autorizzare il processo a Grillo per vilipendio al capo dello Stato, nella circostanza Giorgio Napolitano. Col petto gonfio d'orgoglio, ma pure di imbarazzo, Bonafede spiegò che loro non guardano in faccia a nessuno. Arrenditi Beppe, ti sei circondato da solo.