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    “GINO E MICHELE? SONO SPREGIUDICATI. DA FLAVIO BRIATORE TE LO ASPETTI, NON DA CHI FINGE DI ESSERE UN “COMPAGNO” – MAURIZIO MILANI, UNO DEI FONDATORI DELLO STORICO ZELIG, ATTACCA: “NON MI HANNO PIÙ CHIAMATO, MA POSSO CAPIRLI PERCHÉ HANNO DATO ALLO 'ZELIG' UN TAGLIO DA VILLAGGIO TURISTICO - CON FABIO FAZIO HO LAVORATO IN SEI EDIZIONI DI 'CHE TEMPO CHE FA' MA PER LA COLLABORAZIONE CON 'IL FOGLIO' MI SONO ACCORTO CHE MI FACEVANO MOBBING. NON VOLEVO RIMANERE DI FIANCO A FILIPPA LAGERBÄCK COME UN FIGURANTE" - "PAOLO ROSSI? UN FURBO. BEBO STORTI? ARRIVAVA ALLA CAZZO DI CANE MEZZ’ORA PRIMA DI SALIRE SUL PALCO" -  E SU VALERIO AIRO’ SPIEGA CHE… - VIDEO


     
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    Gianmarco Aimi per www.rollingstone.it 

     

    maurizio milani 26 maurizio milani 26

    Qualche tempo fa circolava sui social una foto, in bianco e nero, dov’erano ritratti alcuni dei comici più significativi della scorsa generazione: Aldo, Giovanni e Giacomo, Antonio Albanese, Antonio Cornacchione e… “l’ultimo a destra”. Era Maurizio Milani, che con quel manipolo di cabarettisti è stato uno dei fondatori dello storico Zelig, il locale milanese che ha sfornato i migliori talenti dell’umorismo a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 ma che, a differenza degli altri, ha raccolto – almeno a livello di notorietà – molto meno di quello che in tanti si sarebbero aspettati. Surreale, caustico, disincantato, il collega Daniele Luttazzi, di certo non tenero nei giudizi, lo ha incensato: «Fra noi comici ci sono come delle gerarchie, e lui in questo momento è Dio».

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    Ormai il tuo “posto fisso” è a Il Foglio, dove collabori da anni.

    Devo ringraziare della segnalazione Mariarosa Mancuso, che mi ha fatto conoscere all’allora direttore Giuliano Ferrara. Lui mi dedicò anche una puntata monografica su La7. Finché c’è stato il produttore Paolo Guerra ho sempre lavorato (è venuto a mancare nel 2020, nda), oggi faccio un po’ più fatica. I produttori più potenti sono Beppe Caschetto e Lucio Presta, che vendono programmi alle tv a scatola chiusa. Anche se poi in Rai si lamentano le maestranze.

     

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    (...) A Bolzano con Paolo Rossi inciampai per davvero in una cassa acustica e le persone cominciarono a ridere. La sera dopo l’abbiamo inserito nel copione e hanno riso in due. Si percepiva che era finto. Anche se mangi le parole o sbagli i congiuntivi va bene, ma risulti fresco e arrivi. Poi c’è chi esagera, come Bebo Storti.

    È famoso per il personaggio del Conte Uguccione. Che cosa faceva?

    Lui non preparava nulla, una roba da pazzi. Almeno un canovaccio su un’ora e mezza di spettacolo dovresti averlo, lui niente. A Forlì il direttore del teatro alla fine ci ha detto: «Una roba così non l’ho mai vista, non so neanche dire se è bella o è brutta». Un’altra volta al Ciak di Roma, arriviamo in camerino e la moglie di Bebo ci fa: «Non si viene qui a fare queste figure…». È come se io e te adesso salissimo sul palco a improvvisare per un’ora.

    Dopo ci avete riso sopra o è qualcosa su cui si recrimina?

    Bebo aveva questa caratteristica: se ingranava subito l’improvvisazione andava alla grande, ma se non succedeva era facile prendere i fischi. Come a Livorno, siamo andati davanti alla gente ma si capiva che non avevamo voglia di lavorare. Al teatro Goldoni a Venezia altra situazione imbarazzante con me e Dario Vergassola, non rideva nessuno. Ma proprio perché non rideva nessuno, paradossalmente, c’era una signora in prima fila che rideva come una matta. Una scena talmente parossistica che si è trasformata in un successo.

    maurizio milani luciana littizzetto maurizio milani luciana littizzetto

    È anche per questa vena da improvvisatore che non ti abbiamo mai visto al cinema?

    Può essere, eppure Bebo Storti lo ha fatto. Anche Paolo Rossi, che è furbo, improvvisa ma ha sempre un canovaccio al quale aggrapparsi. Bebo invece saliva sul palco alla garibaldina. Ma un conto è andare in discoteca con tutti ubriachi, un altro nei teatri importanti con il tuo spettacolo in abbonamento. E lui arrivava alla cazzo di cane mezz’ora prima. Intanto che camminiamo per le strade e nel parco pubblico della cittadina lombarda, ogni passante lo saluta con un sorriso, tanto che a un certo punto ci appartiamo in un angolo.

     

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    Dopo sei anni, dal 2003 al 2009, non ti abbiamo più visto anche a Che tempo che fa condotto da Fabio Fazio. Come mai?

    Perché Fazio è bravo, però è molle. Quando ho accettato di collaborare a Il Foglio di Giuliano Ferrara, mi chiamò l’allora capo struttura di Rai3 in quota Pd, Loris Mazzetti, che mi disse: «Guarda che la linea editoriale qui è chiara e tu vai a scrivere su un giornale di Berlusconi?». Da quel momento i miei spazi sono stati ridotti e spostati nella zona meno nobile. Poi sono passato a una settimana sì e una no, a seguire solo il sabato finché una volta non mi hanno mandato in onda dicendo di aver sforato con i tempi. Così gli ho detto che non ci sarei più andato. Quando ti fanno mobbing lo capisci. Non volevo rimanere di fianco a Filippa Lagerbäck come un figurante. Fazio poteva dire qualcosa a Mazzetti, ma non lo fece.

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    C’è qualcuno che ti ha deluso nel mondo dello spettacolo?

    Direi Gino e Michele. Non mi hanno più chiamato, ma posso capirli perché hanno dato allo Zelig un taglio da villaggio turistico. Io sono un monologhista che non ha bisogno di travestirsi con le pinne o come una drag queen. La comicità di situazione è un’altra cosa.

    Insomma, con Gino e Michele sembri avere un conto aperto.

    Sono stato a casa di Michele Mozzati sul lago di Varese, ha una villa della madonna. A un certo punto vado in bagno e vedo che c’è una vasca lunghissima molto strana. Così quando esco chiedo a cosa serve a Diego Parasole, un collega che era con me. E lui: «Ah non lo sai? Quella vasca fa le onde al contrario, così nuoti e intanto fai esercizio». Ed era vent’anni fa. Sai, Flavio Briatore è Flavio Briatore ed è coerente, non va a far finta di essere un “compagno” che gli spiace per il salario minimo. Così come non ti aspetti che un calciatore vada a rompere le vetrine per protestare insieme a quelli dei centri sociali.

    gino e michele gino e michele

     

    C’è ancora chi, come hai raccontato in passato, rimane spiazzato alle tue battute?

    Alcuni mi dicono: «Scusi, ma sa che lei non mi fa ridere?». La gente è ormai abituata al comico che deve avere il naso rosso tipo clown. Ma come nella musica ci sono vari generi. A me piacciono, oltre a Nino Frassica, Valerio Lundini, Nicola Vicidomini e Rocco Tanica.

    Sai che c’è un giovane comico che alcuni dicono ti somigli?

    Se ti riferisci a Valerio Airò, vai a vedere su Youtube i commenti ai suoi filmati. In moltissimi scrivono: “Milani come sei invecchiato bene” oppure “ma chi è il figlio di Milani?”. Mentre sotto ai miei video: “Sei uguale a Valerio Airò”. Lì però gli ho risposto: “Questo è stato girato nel 1993 a Cielito Lindo”. Lui avrà 30 anni, forse non era neanche nato. Non c’è problema, però non ditemi che sono io a copiare lui. Ma sai che ho avuto una soffiata?

     

    Su Valerio Airò?

    Mi hanno detto che lui si è messo su quella strada imbeccato da Gino e Michele e da Giancarlo Bozzo, che sono spregiudicati. Lo so perché ho ancora conoscenze all’interno di Zelig. Pare gli abbiano fatto vedere le videocassette dei miei vecchi sketch consigliandogli di prendere spunto. Pensa che quando fece un’apparizione a Sky e c’era Rocco Tanica gli disse: «Assomigli a Maurizio Milani». Lui può fare quello che vuole, ma i pezzi si sovrappongono. Mi pare stia succedendo quello che era accaduto tra Giorgio Porcaro e Diego Abatantuono.

    filippa lagerback fabio fazio filippa lagerback fabio fazio

    Ti riferisci alla paternità del personaggio del “Terrunciello”?

    Lo inventò Giorgio Porcaro, ma i benefici se li prese tutti Diego Abatantuono. Diego non aveva voglia di andare a scuola e la mamma, che faceva la guardarobiera al Derby, lo portava con sé. Non aveva la patente e andava in giro con i I Gatti di Vicolo Miracoli ad aggiustare le luci. Un giorno ha visto Giorgio Porcaro che interpretava il ‘Terrunciello’ e l’ha rifatto avendo successo. Un po’ come sta succedendo tra me e Airò.

     

    Maurizio Milani ce l’ha ancora un sogno che vorrebbe realizzare?

    Se ci penso, di tutti i colleghi della mia generazione sono l’unico che non ha mai fatto neanche una posa al cinema. Con Aldo Giovanni e Giacomo una volta gliel’ho detto: «Ma con tutti i film che avete fatto, cosa vi costa mettermi lì a fare il barista?». A 62 anni non sono mai stato su un set per lavorare. Non spero mi chiami Marco Bellocchio, basterebbe un regista underground. Ho fatto la tv, il teatro, i libri e i giornali, ma il cinema non è capitato.

    In effetti, guardando quella foto degli inizi allo Zelig sei l’unico che manca all’appello.

    E la gente sui social si chiede “chi è il primo a destra?”. Sono cose che fanno rimanere male.

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