DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Andrea Silenzi per la Repubblica - Estratti
L’Equipe 84, il beat italiano, Lucio Battisti, le mille storie di un’epoca leggendaria. Maurizio Vandelli, 80 anni compiuti da poco, è più che un semplice testimone: nel corso di una carriera ormai lunghissima non ha mai smesso di fare dischi e suonare dal vivo. Di recente ha pubblicato Emozioni garantite, una biografia scritta con Massimo Cotto, un magnifico giornalista musicale scomparso poche settimane fa.
Il 31 ottobre sarà tra i protagonisti della serata di gala organizzata al Teatro Toniolo di Mestre per festeggiare i 50 anni dell’etichetta Azzurra Music di Marco Rossi con Mara Venier nelle vesti di presentatrice.
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Andiamo un po’ a ritroso. Come mai, secondo lei, nella zona emiliana c’erano così tanti artisti? Penso all’Equipe, ai Nomadi, i Corvi, Caterina Caselli, Iva Zanicchi e tanti altri…Cosa c’era di speciale da quelle parti?
“Per quanto riguarda noi modenesi, la grande spinta era il tentativo di non fare nulla. Ci sedevamo al Bar Grand’Italia, sparavamo idee per cercare di fottere il mondo. Volevamo fare quello che ci piaceva e non quello che ci obbligavano a fare. Le racconto questa: una volta abbiamo fatto uno scherzo a Victor (Sogliani, ex Equipe 84 morto nel 1995, ndr) in 20: gli abbiamo ripetuto per settimane che Bonvi, il grande disegnatore che faceva parte del nostro giro, era un licantropo: “Guarda che nelle notti di luna piena lui non può venire con noi”. Questa storia è andata avanti per mesi. Alla fine il Resto Del Carlino ci scrisse un articolo, però confusero i vampiri con i lupi mannari”.
Come nacque l’Equipe 84?
maurizio vandelli lucio battisti
"All’epoca c’erano due gruppi che giravano nei club: i Giovani Leoni, di cui facevamo parte io e Gianni Ceccarelli, e Paolo e i Gatti, dove militavano Victor e Alfio Cantarella. A un certo punto Paolo e i Gatti entrarono in crisi, Victor mi chiese di andare con loro: mi fecero un provino in occasione di un concerto in un locale in provincia di Parma e mi presero. A quel punto Gianni mi fece causa e alla fine presero anche lui. Suonammo per tre mesi di fila in un locale di Cortina, eravamo ospiti fissi”.
Mogol dice che l’idea del giornale radio all’inizio di ‘29 settembre’ era sua…
maurizio vandelli lucio battisti 43
"Ci sono almeno 5 o 6 persone che rivendicano quell’idea. Mi ricordo che dissi a Lucio: “Voglio Riccardo Paladino, il famoso annunciatore radio e tv della Rai, che dica ‘ieri 29 settembre’”. “Mauri’ (per lui ero Mauri’, sempre e comunque), che idea, vendiamo milioni di copie”, mi rispose Lucio. Ma Giulio insiste nel dire che è sua, gliel’ho anche chiesto quando ci siamo incontrati in un festival, ma lui è convinto”.
A proposito di Battisti: lei ha specificato che la scoperta di Lucio non fu merito suo, ma che si limitò ad accompagnarlo alla Ricordi.
"Ormai ho capito che se dici di aver scoperto Battisti ti fanno causa tutti. Ci sono tanti addetti ai lavori pronti a giurare che la scoperta è loro. Mi limito a dire di averlo portato da Mariano Rapetti, padre di Mogol e dirigente discografico. Non so nemmeno cosa si dissero durante quella conversazione, ma com’è andata lo sappiamo tutti”.
Che ricordo ha di Battisti?
"Lucio era una delle persone più simpatiche e ironiche che abbia mai conosciuto. Mi ricordo una sera al Cantagiro, era nervosissimo. Era una delle prime volte che affrontava un pubblico così numeroso: mi fece i lividi sul braccio per quanto me lo stringeva. Io lo spinsi a forza sul palco.
Ricevette un’ovazione e quando scese mi disse: “A Mauri’, qua nun me ferma più nessuno’”. Una volta eravamo a casa mia a lavorare su Vendo casa, il pezzo che poi portarono al successo i Dik Dik.
Lui, che non faceva complimenti nemmeno sotto tortura, all’improvviso mi disse: “A Mauri’”...pausa … “te devo di’ ‘na cosa: ho imparato a cantare da te”. Ma subito dopo aggiunse: “Però ho corretto i tuoi errori”. Era fantastico, ma stronzamente parsimonioso. Non sono mai riuscito a farmi pagare nemmeno un caffè: non lo definirei tirchio, piuttosto era bravo a svicolare simpaticamente quando arrivava il momento di pagare”.
Ha avuto un incredibile incontro con Jimi Hendrix.
“Era venuto a Milano, Victor stava con una ragazza americana. Non andai al suo concerto perché non amavo stare in mezzo alla folla. Alle 2 del mattino squillò il telefono, era Victor. “Vieni qua”. “A quest’ora, ma sei scemo?”. “Peccato, qui c’è Jimi Hendrix”. Alla x di Hendrix ero già in macchina. Lì Jimi ha conosciuto una ragazza biondissima, Ines, e per incontrare lei venne a casa mia per tre o quattro volte”.
Con i Beatles invece non andò benissimo…
"La prima volta feci una figuraccia con John Lennon. Eravamo in tanti in uno stanzone che sembrava un garage, c’erano strumenti ovunque, era nata una jam session, chi andava e chi veniva. A un certo punto sento una voce di donna che credevo stesse male, una specie di lamento, mi giro dicendo “chi è quella testa di cazzo che rompe le palle”?. Era Yoko Ono. Lennon, sorridendo, mi ha detto “è mia moglie”: non se quel sorriso fosse un modo per manifestare il suo consenso o se significasse altro.
La seconda volta a Londra il mio amico Giorgio Gomelsky, che aveva lavorato con gli Yardbirds, mi portò a sentire i Blossom Toes, che produceva lui. Mi fece sedere e poi mi presentò Paul McCartney: “Lui fa parte del più importante gruppo beat italiano”. McCartney si girò dall’altra parte e mi ignorò tutta la sera. Non so se mi disprezzava o cosa. Non ho avuto il coraggio di chiedergli niente”.
Ha avuto anche un flirt con Anita Pallenberg, una delle muse dei Rolling Stones.
“Siamo stati insieme un paio di mesi. Una mattina mi portò la colazione mi disse che andava a Londra . “Quando torni?”. “Non torno”. Poi la rividi poche volte, una volta era già con con Brian Jones. La prima volta che l’ho vista fu durante un’esibizione a Roma, alle piscine del Foro Italico.
Mi guardava e m sorrideva, ho pensato che dovevo fare qualcosa. Arrivati all’ultimo brano, che era Io ho mente te, lei si alzò e si avviò all’uscita. Io, per provare a sbrigarmi, accelerai il pezzo in modo incredibile. Una volta finito sono corso all’uscita ma non c’era più. Mi venne incontro un ragazzo che mi disse “non preoccuparti” e mi diede un biglietto con il suo numero”.
A Modena la chiamavano ‘principe’, forse in un senso non proprio positivo. E Guccini non parla molto bene di lei nella sua biografia, che è successo?
“Dicevano che avevo la puzza sotto il naso, magari c’era un po’ invidia, sono stronzo ma non così tanto. A Guccini devono aver riferito una frase che lui riporta nel libro (“Francesco è finito, non ha più nulla di dire”) che io non ho mai detto e che non direi mai. Quando si parla di me ci sono molte imprecisioni. Non mi sarei mai permesso. Per noi era l’unico cantautore, quello vero. Ci siamo visti e abbiamo cantato insieme, la sera andavamo a fare a gara di alcol, figuriamoci”.
Ha dichiarato che ascolta molta musica di oggi, che le piacciono molti pezzi rap e che apprezza i Måneskin e Achille Lauro. Cosa è cambiato nel mondo musicale rispetto ai suoi esordi?
“I Måneskin hanno fatto delle cose che nessuno aveva fatto prima, per certi versi mi ricordano la prima Equipe. Di Achille Lauro mi piace la scrittura, ma non certe scelte di costumi di scena.
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