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    “PRIMA LA TESTA DI CAPRETTO (MOZZATA) POI TOCCA A QUELLA DI TUO FIGLIO” - A RHO, VICINO MILANO,  MAXI OPERAZIONE CONTRO IL CLAN DI ‘NDRANGHETA BANDIERA: IN MANETTE 49 PERSONE -  IL BRACCIO DESTRO DI CRISTIAN LEONARDO È LA 45ENNE CATERINA GIANCOTTI. “PIÙ SPIETATA DEGLI UOMINI”, LA DESCRIVONO GLI INQUIRENTI CHE SOTTOLINEANO LA PRIMA VOLTA IN LOMBARDIA DI UNA DONNA AI VERTICI. È LEI A SOLLECITARE I DEBITORI (“VUOI CHE DIVENTO CATTIVA, E IO DIVENTO CATTIVA”) E IN ASSENZA DEL BOSS A GESTIRE I TRAFFICI…


     
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    Pierpaolo Lio per corriere.it

     

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    È il 16 febbraio 2021, e il vecchio boss della «locale di Rho», il 74enne Gaetano Bandiera, già condannato nella maxi inchiesta «Infinito», si presenta da un fruttivendolo di Rho. Vuole sondare il terreno per future richieste di pizzo. E come in una scena cult del «Padrino», prima dell’attentato a don Vito Corleone, ottiene in omaggio «in segno di rispetto» arance e banane. «Si è comportata bene, che mi ha detto che quando c’ho bisogno...», annota Bandiera, «Eh... e questo è il bello», commenta un affiliato. Anche nel profondo nord, dove si spara poco e si fattura molto, (una certa) ’ndrangheta pare non aver mai del tutto abbandonato pratiche violente, arcaiche, pittoresche.

     

    La testa di maiale

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    Altra sequenza storica del capolavoro di Francis Ford Coppola è quella della testa di cavallo. Alle porte di Milano, la minaccia è una testa di maiale lasciata sullo zerbino del pregiudicato Marco Giordano, accusato di «infamità». È il 22 maggio 2021. «È tornata la ’ndrangheta», è il messaggio che Bandiera vuol recapitare. Il figlio, il 46enne Cristian Leonardo, aveva invece pensato a una testa di capretto per spaventare un altro «infame»: «Gli mettiamo un biglietto in bocca: la prossima testa è di vostro figlio», è l’ordine impartito ai picciotti. Minacce (e aggressioni) sono rivolte spesso ai debitori: «Ti taglio la testa», avverte, «ti mangio il fegato», «siamo calabresi, mi hai capito? Che io gli sparo nella testa, gli sparo».

     

    Padre e figlio

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    A guidare la «locale» sono padre e figlio: entrambi affiliati con i gradi della «Santa», sono due generazioni di boss. Gaetano è legato a vecchi schemi. E prova a insegnarli al figlio: «Li fai menare, non lo fai tu», gli chiarisce quando il 46enne pianifica di partecipare a un raid punitivo. Il 74enne interviene anche durante un principio di «faida» per motivi di droga con i Curinga, altra famiglia calabrese. Dopo la sfuriata, segue la mediazione con «compare Mimmo», il 74enne Domenico Curinga, e la presa d’atto: «Il mondo è cambiato» e «noi le dobbiamo sbrigare ste faccende, che siamo anziani e siamo tutto noi». Gaetano è anche quello che rimprovera un picciotto per i jeans strappati («lo so che è la moda, eh, ma lui non li può portare») e che predilige il vecchio pizzo allo spaccio: «Lo sapete che si rischia meno, andate a chiedergli i soldi, che ci puoi dire “Te li ho chiesto in prestito”, hai capito? No queste barbaredde (il traffico di droga, ndr) che non si fanno i soldi più. Non è come prima, che si facevano soldi assai, come glielo devo dire a mio figlio?».

     

    La «vice» donna

    Il braccio destro di Cristian Leonardo è la 45enne Caterina Giancotti. «Più spietata degli uomini», la descrivono gli inquirenti che sottolineano la prima volta in Lombardia di una donna ai vertici. È lei a sollecitare i debitori («vuoi che divento cattiva, e io divento cattiva») e in assenza del boss a gestire i traffici.

     

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    La finta malattia

    Nel 2019, dopo otto anni di cella, Gaetano ottiene i domiciliari. È malato, non si regge in piedi. Le immagini mostreranno che è una messinscena. Ogni giorno fa visita a imprenditori a cui estorcere denaro. E prima di un’udienza del Tribunale di sorveglianza lo si vede muoversi liberamente, «solo che mi devo portare la carrozzella, me la devo portare per forza, a fare finta che sono sopra la carrozzella», spiega a un sodale.

     

    Il «fortino»

    Estorsioni, cocaina, armi sono le entrate del gruppo, che ha a disposizione un arsenale e riesce a piazzare anche una mitraglietta Skorpion. Il baricentro è la casa-fortezza al primo piano di un palazzo popolare di via Carroccio 35, a Rho, protetta da telecamere che sorvegliano ogni accesso alla via, al pianerottolo e alle cantine dove viene nascosta la droga. Fuori dalla porta, due enormi leoni in marmo con catene: sono il simbolo d’appartenenza alla ’ndrangheta.

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