1. 60 PROCESSI, 300 MILIONI RICHIESTI, UNA CONDANNA (NON DEFINITIVA). È MI-JENA GABANELLI 2. LA GIOVANNA D’ARCO DI RAI3, CHE I GRILLINI VOLEVANO AL QUIRINALE PRIMA DI RIPIEGARE SU RODOTÀ: “MA NON DICO PER CHI VOTO. COMPROMETTE LA MIA INDIPENDENZA” 3. BOCCIATA DA POCO ALL’ESAME DI GIORNALISMO: “UN DISASTRO. HANNO PROMOSSO TUTTI I MIEI ALLIEVI MA NON ME. NON L’HO RIFATTO, MI VERGOGNO E NON HO TEMPO DI STUDIARE” 4. DECINE DI CAUSE CIVILI, “DA FERROVIE, H3G, ENI, GERONZI, LIGRESTI. MA NON BERLUSCONI. PER ORA NE HO PERSA UNA SOLA: 30MILA EURO, ABBIAMO FATTO APPELLO” 5. “ALLA MINACCIA DI UN PROCESSO MILIONARIO CHE DURA ANNI, IL PICCOLO EDITORE NON PUÒ REGGERE LE INTIMIDAZIONI. SERVONO VERE SANZIONI PER LE LITI TEMERARIE. MA ANCHE PER CHI VIOLA LA PRIVACY E DIFFAMA IN MALAFEDE, NON PUOI DIRE QUELLO CHE VUOI”

Foto di Luciano Viti per "Sette - Corriere della Sera"

Gian Antonio Stella per "Sette - Corriere della Sera"

«Ma tu come sei, davvero?», le chiese anni fa Giancarlo Perna per Amica. E lei: «Culo basso, poche tette, 48 chili, un metro e 60». Così è fatta la «Gaba»: ti spiazza sempre. Le viene così naturale, ormai, che lo fa perfino involontariamente. Come quando, dopo le «quirinarie» on-line che l'avevano vista vincere con 5.796 voti davanti a Gino Strada e a Stefano Rodotà, le hanno offerto di essere la candidata del MoVimento 5 Stelle alla Presidenza della Repubblica. Giusto il tempo di riprendersi dallo sbalordimento e rideva: «Pensa un po' che il prossimo servizio di Report è proprio sulle onorificenze distribuite dal Colle...».

Come l'hai vissuta questa candidatura?
«Sulle prime mi sono messa a ridere. L'ho trovata divertente. Dopo un quarto d'ora mi sono piombate addosso tante e tali pressioni che ho capito che la dovevo prendere sul serio».

Insomma, non era una boutade.
«Un quarto d'ora dopo c'era un'agenzia. Diceva che Grillo aveva telefonato a Bersani: "Questo è il nostro nome e se lo votiamo insieme poi possiamo metterci d'accordo sulle successive riforme". Non potevo più pensare che fosse una boutade. Solo che era molto più adatto di me Rodotà. Il mio problema era trovare il modo per declinare l'offerta con un riconoscimento adeguato a chi mi aveva scelto».

Insomma, erano voti di stima difficile da respingere...
«Il problema sono state le pressioni intorno (e non credo c'entrasse il MoVimento) del genere "non puoi tirarti indietro, non devi mostrarti vigliacca". Mi era chiara una cosa: che se fai un passo del genere anche se poi non vieni eletto non è che puoi tornare a fare quello che facevi prima. Quindi...».

Ma tu li avevi votati?
«Chi?».

I grillini...
«Per me un giornalista non deve dire cosa vota. In un altro Paese si, ma qui non si può. Perché qui tutto viene strumentalizzato. Te lo buttano addosso. È evidente che ho le mie preferenze, le mie insofferenze, il mio disgusto. Ma parlo attraverso il mio mestiere. Che è una rivendicazione d'indipendenza. Nel momento in cui dico cosa ho votato non son più indipendente. È così. Non vorrei, ma è così».

Quindi, per la delizia di chi finisce sotto i tuoi cingoli, continuerai a fare la cronista.
«Sì».

Sei impegnata da anni nella denuncia delle storture degli ordini professionali: cosa pensi dell'idea di Grillo di abolire solo quello dei giornalisti?
«Mi fa un po' sorridere. Credo che impareranno che esistono altri ordini non meno assurdi. Detto questo, fatico a vedere l'utilità dell'Ordine dei giornalisti. Credo sarebbe più utile, come da altre parti, un'associazione seria e rigorosa nella quale si entra per quello che fai e non tanto per aver dato un esame...».

Ti pesa ancora la bocciatura?
«Vedi un po' tu. L'ho fatto assieme ai miei allievi della scuola di giornalismo. Loro sono passati, io no».

Bocciata agli orali per una domanda su Pannunzio.
«Non solo. Avrò risposto a tre domande su dieci. Un disastro. Mi chiesero cos'era il Coreco. Scena muta».

Come certi parlamentari beccati dalle Iene fuori da Montecitorio...
«Le Iene fanno domande più serie. Tipo qual è la capitale della Libia. Il Coreco!».

Essere bocciata come Alberto Moravia dovrebbe consolarti.
«C'era una giovane praticante che faceva lo stage da noi. Le avevo corretto la tesina... Lei passò, io no. Passarono tutti, io no».

Mai più rifatto?
«No. Mi vergognavo. Per fare gli orali dovevi mandare a memoria l'Abruzzo e io lavorando il tempo non l'avevo».

Nel senso del libro di Franco Abruzzo, giusto?
«Non so se c'è ancora quello. So che era un tomo che dovevi mandare a memoria per sapere tutto di cose che quando ti servono le vai a vedere volta per volta. Non ha senso. Ho pensato che si può sopravvivere lo stesso, anche senza essere professionista».

Lo conservi ancora l'assegno con cui ti pagarono il primo articolo?
«Certo. Era di Cineforum: 5.000 lire. Lo tengo appeso in bacheca. Mai ritirato. Non puoi pagare la gente così».

Potrebbe venirti buono per rispondere di qualche querela: a quante sei arrivata con Report?
«Le querele non sono tante, le cause civili quasi una sessantina».

La più incredibile?
«H3G, la società di telefonia, ci ha chiesto 137 milioni».

Cosa è successo: li hai demoliti in Borsa?
«Io credo d'aver lavorato bene. Loro pensano, a leggere la citazione, che la diffamazione sia cominciata quando ho detto "buonasera" e sia finita quando ho detto "arrivederci". E anche questi toni, per loro, erano diffamatori. Ho accompagnato la mia memoria difensiva con una richiesta dei danni: la loro, per me, è una lite temeraria».

Ci torniamo dopo: al secondo posto?
«L'Eni, che di milioni ne vuole 25».

Perché?
«Abbiamo fatto una puntata a dicembre sulla gestione di Paolo Scaroni e "non è stata apprezzata". Non gli è andato bene niente. Ha fatto una citazione di 145 pagine: dal prezzo del gas alla campagna pubblicitaria, dalla questione ambientale in Basilicata alla busta paga dell'amministratore delegato... Centoquarantacinque pagine! Non una cosa che gli sia andata bene. Niente».

È offensivo ricordare che prende 5 milioni e mezzo di euro?
«Ho letto che sono saliti a sei...».

Quindi ricordandolo in questa intervista lo offendiamo di nuovo?
«Cosa devo dire? Quello che abbiamo raccontato è il meccanismo con cui era arrivato a queste cifre, vale a dire il pagamento delle stock option per cassa. Perché lo stipendio sarebbe più basso. A quelle cifre è arrivato perché le stock option sono state pagate con un sistema a nostro avviso discutibile. Possiamo dirlo?».

Al terzo posto?
«Le Ferrovie dello Stato ci hanno chiesto 26 milioni di euro più due che Mauro Moretti ha chiesto a me personalmente. Ma quella si è risolta bene perché hanno dovuto pagare anche le spese legali».

Poi?
«Poi ne ha chiesti dieci Cesare Geronzi, poi cinque Salvatore Ligresti...».

E Berlusconi, che aveva annunciato una causa per la puntata sulla sua villa ad Antigua?
«Mai vista. L'aveva annunciata, ma poi non l'ha fatta».

Quanti le annunciano, le querele, senza poi farle?
«Non tanti. In genere quando lo dicono, purtroppo, le fanno. Poi ci sono le lettere preventive: "Sappiamo che fate una puntata su questo, sappiamo che avete parlato con Tizio di Caio, sappiate che se intendete nominare questa cosa dando l'interpretazione che noi intuiamo che voi darete, poiché l'azienda quotata in Borsa e questa cosa ci danneggerebbe, bla-bla bla...". Poi magari vedono la puntata e capiscono che non hanno appigli e lasciano perdere. Ma ci provano sempre».

La causa più assurda?
«Una ditta olearia sosteneva che io avessi detto una determinata frase che non mi ero mai sognata di dire. C'erano le registrazioni, che senso aveva querelare?».

Per intimorire.
«Appunto».

Ma in totale a quante richieste danni sei arrivata?
«In milioni di euro?».

Certo.
«Quasi 300 milioni».

Tuo marito e tua figlia resteranno indebitati per l'eternità...
«Un po' di cause le abbiamo già vinte. Adesso saremo intorno a 200».

Ne hai persa qualcuna?
«Una: in quindici anni di Report. Per 30mila euro. C'è ancora l'appello, però. Vediamo».

Tornando alla «lite temeraria»...
«Nei Paesi anglosassoni funziona così: tu mi fai causa chiedendomi una cifra enorme per farmi perdere un sacco di tempo, spingere l'avvocato a consigliarmi a fermare altri eventuali servizi fino alla fine del processo (dieci anni!) e insomma intimorirmi? Se il giudice stabilisce che mi hai trascinato in tribunale per niente colpendo un diritto sacro come la libertà di stampa rischi di pagare il multiplo di quello che hai chiesto come risarcimento».

Tanto per capirci...
«Se il giudice accertasse che H3G ci ha chiesto 137 milioni per motivi pretestuosi e solo per intimorirci, potrebbe condannare l'azienda a pagarne 274. Stai sicuro che ci penserebbero due volte. È una battaglia da vincere. Articolo 21 ha raccolto on-line 120mila firme per chiedere d'inasprire l'articolo 96 del codice di procedura civile e punire in modo più corposo queste liti temerarie adeguandoci al rito anglosassone. Firme già consegnate alla Boldrini».

Tema particolarmente spigoloso soprattutto per le tv, le emittenti radio, i giornali più piccoli...
«Davanti alla minaccia di una causa milionaria il piccolo editore non può reggere le intimidazioni. Anche perché la legge prevede che lui debba accantonare nel fondo rischi una parte di quanto viene chiesto. Sapendo che le cause civili in Italia durano anche una dozzina di anni quanti sono a potersi permettere il lusso di passare anni sotto questa spada di Damocle per combattere fino in fondo una battaglia? Un processo sbagliato e il piccolo rischia di chiudere. Per quello è essenziale cambiare la legge. Il che non vuol dire...».

...che il giornalista può fare quello che gli pare.
«Ovvio. Io non credo che il giornalista debba godere di una particolare clemenza. Un conto è l'errore in buona fede che è sempre dimostrabile, un altro è sputtanare volontariamente qualcuno senza fare i dovuti controlli. Hai sbagliato? Devi pagare. Se colpisco uno in malafede devo essere arrestata. Perché sono pericolosa. Ciò detto non può essere che chiunque abbia la facoltà di trascinarti in tribunale chiedendoti delle cifre insensate. Questo è oggi il più grave problema della libertà d'informazione. E non va mischiato con tutto il resto, a partire dalle intercettazioni... Tutte questioni importanti, per carità. Ma quella centrale è la lite temeraria».

Sempre lì si finisce, sulle intercettazioni: tu sei per pubblicare tutto?
«No. Non credo che abbiamo il diritto assoluto di scrivere sempre comunque tutto».

Per capirci, lo scambio di Sms di coccole tra Anna Falchi e Stefano Ricucci...
«Se servono solo ad alimentare il gossip o la curiosità pruriginosa, no, non devono essere pubblicati».

E chi li pubblica va sanzionato?
«Perché no? Pensiamoci. Decidiamo come, quanto, in che forma perché poi...».

...c'è il rischio che con la scusa di tutelare la privacy sacrosanta dei messaggeri d'amore...
«...ti inventano una leggina per bloccare tutto il resto. Non si può discutere di queste cose in astratto. Va visto caso per caso. Non si può generalizzare. È sempre una questione di buon senso. Non è facile stabilire dove comincia la privacy».

Quella di Peter Arnett, il celeberrimo inviato della Cnn, finì sotto la tua telecamera mentre rimorchiava una prostituta ragazzina.
«Stavo facendo un servizio sui grandi inviati di guerra e mi aveva trascinato per le strade di Saigon fino alla zona dei bordelli. Quando ha cominciato a fare il cascamorto con una ragazzina cosa dovevo fare: spegnere la telecamera? Ho continuato a girare...»

Fu per quella serie che litigasti con Oriana Fallaci?
«Litigare? Non riuscii neanche a parlarci. Con grande fatica arrivai a recuperare il telefono della segretaria. Feci in tempo soltanto a dire: "Buongiorno, mi chiamo Milena Gabanelli, sono una collega". Rispose gelida: "La signora Fallaci non ha colleghe". Clic».

E tu?
«Ho capito che quando contatti qualcuno devi pensare prima che parole usare. Un approccio sbagliato ti brucia ogni possibilità».

Possono essere antipatici, i grandi giornalisti.
«Certo, molti sono costretti anche a difendersi dalla pletora di colleghi che dalla mattina alla sera chiedono interviste, pareri, opinioni... Anch'io posso sembrare antipatica a tanti colleghi che chiamano dalla radio privata o dei siti web di Vipiteno o di Canicattì a tutte le ore. Non è che non voglio, è che a volte proprio non ce la faccio. E magari risulto una odiosa che è arrivata...».

La cosa che ti dà più fastidio?
«Mi dà un fastidio insopportabile che qualcuno sospetti che io abbia fatto questo o quel servizio per fare un piacere alla destra o alla sinistra. Preferisco che pensino che sono una bastarda. Ma che possa essere strumento di qualcuno, no, questo no».

Magari a tua insaputa...
«Ma dai!».

A Stefano Lorenzetto, del Giornale, raccontasti di aver provato «le più grandi antipatie per uomini di sinistra» spiegando che «sono stupidi»: perché?
«Per queste cose qua. Ti telefonano: "Ma come, non me lo sarei mai aspettato da voi!". Cosa vuol dire "da voi"? In tutti questi anni abbiamo mostrato di non guardare in faccia nessuno. Nessuno».

Esempio, l'inchiesta su Di Pietro.
«Appunto».

Visto che potevi essere in lizza, come ti sono sembrate le elezioni per il Quirinale?
«Faccio fatica a trovare le parole adatte. Le hanno già usate tutte».

Hai la tentazione di pensare che un po' di questi politici siano perfino peggiori di come sono stati descritti?
«Sì. Sono interessati a loro stessi. È una battaglia per il posto. Quello che sono lo hanno già dimostrato. È ora che vadano a casa. E non vogliono andarci. Tutto quello che fanno, in troppi, lo fanno solo per restare attaccati lì».

Ce l'ha, qualche amico politico?
«Dici amico personale?».

Sì.
«Non mi pare. Ne conosco, ovvio. Ad alcuni do del tu. Con il sindaco di Bologna. O Franceschini. Ma li incontro solo per motivi di lavoro».

Napolitano se l'è presa anche con alcune campagne di stampa particolarmente sguaiate.
«Non c'è dubbio che ci siano dei giornali molto schierati che non fanno cronaca ma comizi. Ma qui il nodo è la cultura profonda di questo Paese. Se l'informazione è così schierata è difficile avere la percezione della "verità". Questa forse è la nostra maggior colpa».

Fatto sta che, per quanto critichi alcuni aspetti del giornalismo, questo è quello che vuoi fare.
«Certo. Vorrei poter rinascere per rifare esattamente quello che ho fatto».

C'è qualche inchiesta che ti dispiace non aver fatto?
«Forse sui sindacati. Ne abbiamo parlato, si capisce. Ma non come avrei voluto...».

Tema incandescente: ci si scotta?
«Non è che avrei paura di scottarmi. Ma si tratta di un tema così complesso... È un mondo dove è elevato il rischio di sporcarne la parte buona e di non riuscire a essere abbastanza duri con la parte cattiva».

 

 

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