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Alberto Mattioli per "la Stampa"
L'uomo che ci ha dato la gioia della musica e insegnato la libertà dell'artista è in una piccola bara di legno chiaro che attraversa lentamente piazza Santo Stefano. Dietro, in prima fila, Giorgio Napolitano. L'ultimo viaggio è anche il più corto: Claudio Abbado abitava qui, a palazzo Isolani, su un'altana che aveva trasformato in un giardino («Nel fondo del cuore, penso di essere solo un giardiniere») e si congeda dal mondo nelle Sette chiese, questo strano labirinto di fede e di bellezza che è uno dei gioielli di Bologna.
A Claudio tocca quella dei santi Vitale e Agricola, un romanico spoglio e commovente. La bara, due ceri, la corona del Presidente della Repubblica, qualche mazzo di margherite, i gonfaloni del Comune di Bologna e della Provincia di Milano. Nell'aria, i suoi dischi, e quelli, almeno, non moriranno mai. Mentre si entra, si levano le prime note dello Stabat Mater di Pergolesi, la semplicità più straziante della storia della musica. Tutto qui. à un addio molto abbadiano: sobrio, rigoroso, pudico, sorridente.
I figli, Daniele, Alessandra, Sebastian e Misha, che gli somigliano tutti come gocce d'acqua, sono sereni. Per loro, come per tutti, il padre era «Claudio». Lo chiamavamo tutti così. Non maestro, né senatore e nemmeno Abbado: Claudio. Ci sono molte delle donne della sua vita. La grande violinista Viktoria Mullova accoglie il feretro del padre di suo figlio suonando Bach.
Arriva un po' a sorpresa il cardinale di Bologna, Carlo Caffarra, a benedire la bara. Le prime parti dei Berliner e dei Wiener si mischiano ai ragazzi della Mozart. Passano i soprintendenti della Scala, Stéphane Lissner, e del Comunale di Bologna, Francesco Ernani, l'archistar e collega senatore Renzo Piano, il ministro dei Beni culturali Massimo Bray, il giovin direttore Diego Matheuz e il pianista Bruno Canino. In serata arriva Romano Prodi, che vive, anche lui, dietro l'angolo.
Le ragazze di Ferrara Musica, commosse come tutti, gestiscono il traffico. Ci sono i soliti abbadiani itineranti, quelli incontrati mille volte alle serate «di Claudio». Dopo Berlino, Salisburgo, Ferrara, Lucerna, l'ultima meta dell'itinerario è qui. Ci si scambiano abbracci e ricordi, lacrime e testimonianze. «à stata la colonna sonora della nostra vita», spiega uno. à vero. Forse per questo il vuoto è così vertiginoso.
Giorgio Napolitano arriva con la signora Clio, in treno e in anticipo, abbraccia i familiari, si raccoglie davanti alla bara, parla con il cardinale, non parla con i giornalisti e parte salutando con il Borsalino gli applausi della folla. Impeccabile. L'ennesima lezione inutile per un'Italia che non le capisce. La prova? L'Orchestra Mozart, l'ultima creatura di Abbado, ha, come si dice pudicamente, «sospeso» la sua attività per mancanza di fondi, e pare che Claudio abbia pure fatto in tempo a saperlo.
Non si sa se si riuscirà a salvarla, come farebbe qualsiasi Paese normale o almeno decente. Chissà . Ieri si sussurrava di sponsor in arrivo, ovviamente dall'estero. Bray dice che sarà «nostro dovere» trovare una soluzione. Beh, si sbrighi. Intanto questa sera Napolitano, altro omaggio, dovrebbe intervenire al concerto romano che Maurizio Pollini dedica al suo amico Claudio.
Intanto i ragazzi della Mozart, i suoi ragazzi, improvvisano dei concerti, ogni ora dalle 18 alle 21. Quattro quintetti di Bruckner, Mendelssohn, Mozart e Schubert con gli abbadini di Bologna che suonano insieme a giganti come Guy Braunstein o Wolfgang Christ, violino di spalla e prima viola dei Berliner. E anche questo è abbadiano doc.
L'addio è così lieve che sembra quasi un arrivederci. I sorrisi sono più delle lacrime. Arriva Daniel Harding e racconta che il 7 dicembre Claudio gli raccontò di non aver guardato in tivù La traviata della Scala ma il Milan, «his priority». La gente fa la fila. Magari fra la folla non tutti sanno perché Abbado fosse Abbado, ma tutti hanno capito che quello che faceva era prezioso perché rendeva il mondo un posto più sopportabile.
La camera ardente resterà aperta fino alla mezzanotte di oggi, poi una preghiera e, pare, la cremazione. Viene in mente Schiller, l'epitaffio di Wallenstein per Pappenheim: «Per lui, non esiste più avvenire, il destino non gli tende più tranelli. La sua vita è distesa senza una piega, lucente, nessuna macchia scura vi è rimasta impressa e per lui nessuna ora suona con minaccia di sventura. à andato al di là di ogni desiderio e timore, non appartiene più ai pianeti vacillanti e ingannatori...». Claudio, grazie di tutto.
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