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Roberto D’Agostino per VanityFair.it
Il quarantatreenne imprenditore Alberto Genovese, in galera per stupro, sequestro di persona e lesioni gravissime ai danni di una ragazza, aveva solo 13 anni quando uscì “American Psyco” di Bret Easton Ellis, un libro che lui e i suoi compagni cocainomani non avranno certo sfogliato.
Siamo a New York, fine anni Ottanta. Lo yuppie Patrick Bateman ha una fidanzata attraente, delle amanti altrettanto fighe e superficiali e una cerchia di amici identici a lui, sempre attovagliati nei ristoranti più esclusivi come il Dorsia, frequentato dal suo idolo: Donald Trump.
É pieno di soldi fino al buco del culo perché le “migliori” università gli hanno insegnato a diventare così, fa lunghe sessioni di ginnastica, trascorre notti a base di alcool e cocaina tirata su carta American Express. Tra il nichilista e il testosteronico, cerca un’identità trasformandosi in serial killer che si secca se divorando il cuore e altro delle sue vittime sporca di sangue il suo completo Armani.
Un dottor Jekyll-Mister Hyde di un cinismo disumanizzante, incapace com’è di separare il bene e il male, la follia e il raziocinio, la normalità e la ribellione. Così si trasforma in diavolo: “Sono il diavolo, se mai ci fosse una cosa del genere / I risultati di troppe droghe, quello che vedi / Sono un fottuto, completamente disgustoso / Sono cosa? / Un bastardino umano, fanculo un essere, sono un cane / Fanculo gli agnelli, li sto zittendo tutti /” (Testo di “American Psycho”).
Non le ha scuoiate come Patrick Bateman, lo schizoide, sadico yuppie uscito da Harward, abitante tra le mille luci di Manhattan, diventato mago di Wall Street e Arlecchino di un carnevale orribile di corpi abusati, venduti, comprati, consumati e uccisi, ma Alberto Genovese, lo schizoide, sadico yuppie uscito dalla Bocconi, abitante su una terrazza con vista Duomo, diventato manager in McKinsey poi mago delle Start up e Arlecchino di un carnevale orribile di corpi abusati, comprati, consumati e, fortunatamente, non uccisi c’era già da trent’anni fa.
Eccolo era lì, dentro un romanzo. “In me non albergava alcun sentimento chiaro e definito. Provavo solo, a fasi alterne, una smodata avidità e un totale disgusto. Avevo tutte le caratteristiche di un essere umano, carne, ossa, sangue, pelle, capelli, ma la mia spersonalizzazione era tanto intensa, era penetrata così in profondo, che non esisteva più in me la normale capacità di provare compassione”.
Eccolo: ne strazia i corpi morbidi, corpi docili, diligenti nelle luci artificiali di un mondo “stupefacente” dapprima condiviso, perché “Patrick è il più figo” e perché le feste “sono l’unica cosa che conta a Milano”. Sevizia i corpi con chiodi o seghe, Patrick; con il kit del torturatore, Genovese. “Terrazza Sentimento” era attrezzata con ogni strumento per la sodomia e la tortura: una collezione di fruste, le immancabili manette con chiavi, un'infinità di vibratori.
Le 19 telecamere registrano incontri, amplessi, orge, supplizi e vessazioni. Cos’è la compassione, il patire per gli altri, nella società di Patrick in Genovese? “La compassione era stata sradicata, cancellata del tutto. Io stavo semplicemente imitando la realtà; avevo una vaga somiglianza con un essere umano; solo un'area limitata del mio cervello funzionava ancora. Qualcosa di orribile stava accadendo, ma non riuscivo a capirne il motivo; non riuscivo neppure a capire di che cosa effettivamente si trattasse”.
“L'innocenza finisce, scrive Joan Didion, quando veniamo privati dell'illusione di piacerci’’. Sì, vorrebbe essere amato Patrick in Genovese, per questo odia. La società che lo circonda, descritta nelle prime pagine del libro, è quella delle notizie dei giornali: “Modelle strangolate”. Nel 1960 Ed Gain, con i suoi orribili omicidi, aveva già ispirato “Psycho” di Alfred Hitchcock e “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris, con quel doctor Hannibal Lecter, genio anche lui, a suo modo, nel scegliere le vittime e trucidarle.
Con “American Psycho” e anche la realtà si è aggiornata: è arrivata Terry Broome, che ricordava, e ora le ragazzine immagine “che non ricordano” (ma ricordano di aver assunto “droga volontariamente”) della terrazza di Genovese.
Ma è una realtà che sfugge alla realtà, è confusa: “Un altro Veuve Clicquot, s'il vous plaît”, e poi di sotto, in camera, nello scannatoio, ma con il buttafuori in livrea. In un mondo dove anche la cultura borghese è degradata e futile e il corpo della donna non è che un oggetto di cui servirsi, la violenza spesso è l'unico modo che possa aiutare Bateman/Genovese di dimostrare al mondo di esistere. Il modo migliore per trovare sollievo in un’esistenza di tutto e di nulla.
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