aldo busi vacche amiche

1. ALDO BUSI SCEGLIE DAGOSPIA PER IL PRIMO ESTRATTO DEL SUO ROMANZO "VACCHE AMICHE": "NON CAPISCO L'ECCITAZIONE DI CHI RICEVE UNA TELEFONATA DA BERGOGLIO O DAL SUO IMITATORE" 2. ALDO GRASSO: "CIÒ CHE VERAMENTE CONTA È LA POTENZA METAMORFICA DELLA SUA LINGUA"

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1. ESTRATTO DAL LIBRO DI ALDO BUSI, "VACCHE AMICHE (UN’AUTOBIOGRAFIA NON AUTORIZZATA)", EDITO DA MARSILIO

 

Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata) è dedicato a Isabella Viola, Raif Badawi, Hervé Falciani

 

 

A proposito di cachet! Mi chiedo che differenza ci sia

tra ricevere una telefonata da Bergoglio e una dal suo imitatore

in una trasmissione radiofonica, nel senso che non

capisco l'eccitazione e lo stravolgimento mistico di tutti

questi privilegiati che, avendone ricevuto una dal finto papa,

si sono comportati, sedicenti atei e anticlericali in primis,

inginocchiandosi innanzitutto con la voce come

avrebbero fatto con i menischi se il papa fosse stato quello

autentico davanti a loro. Come se un papa non valesse l'altro!

Fatto un papa quando non è morto l'altro, figuriamoci

se si sta lì a sottilizzare se è il terzo o no.

 

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Delle telefonate del finto papa sappiamo tutto, ovviamente,

perché lo scopo è mandarle in onda e quindi sono

state registrare, mentre di quelle del papa vero sappiamo

quanto ce ne hanno raccontato questi stralunati da mo'

improvvisamente colpiti dal raggio divino via telefonia

mobile. Che pena di paese, e che paese di penosi ottenebrati,

se basta la telefonata di un famoso cecchino telefonico

per sentirsi i primi estratti di una lotteria divina! Una

vera e propria Chiamata, per questi duri d'orecchio e illuministi

nostrani, che li rintrona e acceca del tutto.

 

 

Vediamo cosa succederebbe se lo scherzo ... comunque

uno scherzo da preti ... toccasse a me:

 

a) intanto se venissi chiamato sul fisso è inutile perché

lì non rispondo da secoli, mi serve per il collegamento internet

e il fax, da inviare, perché resta disattivato se qualcuno

vuole inviarne uno a me;

 

b) se venissi chiamato sul telefonino e quel numero non

essendo in rubrica non appare sul display, non rispondo

comunque, ma se è da un cellulare invio l'sms "Svp sms"

che sta per "Dimmi chi sei, cosa cerchi da me e ti dirò se

ci sono io, forse"; se la chiamata è da un numero fisso lascio

perdere perché l'sms non posso certo inviarglielo, e se

chi ha chiamato dal cellulare non sa cosa significa "Svp" e

non si fa più vivo, tanto meglio.

 

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Ora, mettiamo che, per qualche inverosimile ragione,

questo papa/questo imitatore, questo stalker, riesca a mettersi in contatto con me:

"Sì, buongiorno, dica."

"Telefono dalla Santa Sede, sono il vescovo Chuck

Norris e vorrei parlare con lo scrittore."

 

"Dica, Norris, sono io, complimenti per la serie tivù.

Niente di personale, ma mai sopportato più di un minuto,

mi perdoni. Immagino stia chiamando dal paradiso ... "

"Le passo il Santo Padre ... "

"Va bene."

"Sono Papa Francesco ... "

"Ehilà, Bergoglio, come sta? Qual buon vento?"

 

“Volevo chiederti...”

“Mi dia pure del lei, grazie.”

“Ma tra di noi...”

“Ma io mica ho le sottane, mai messe, mai avuto

quell’inclinazione lì, L’hanno informata male...”

“Chiamavo perché Lei, essendo l’unico anticlericale di

tutta Italia che non faccia almeno il presepe per il Santo

Natale...”

 

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“Ah, ho capito, vuole sapere come si fa, vuole ritornare

sulla retta via, vuole sapere se nel mio orto ho un cespuglio

di ortiche miracolose su cui gettare la tonaca... ebbene no,

le mangio, ci faccio il risotto, non fanno in tempo a crescere

che... Però fa lo stesso, La riconverto io...”

“Ma che dici... che dice, figliolo?”

 

“Non vedo quale altra ragione possa avere per chiamarmi...”

“Lei nei Suoi libri bestemmia e questo non è bello.”

“Mi scusi, sa, ma io nei miei libri scrivo i perdindirindina

come mi pare e piace. E poi non è così che si devono

interpretare, troppo comodo: sono i luoghi comuni del

parlato, altrui, oltretutto, io non sono della Sua parrocchia

quindi non faccio nemmeno l’avversario per far giocare

Lei. Ne ha mai letti?”

 

“Dormo su una misera branda...”

“No, intendevo dire se ha mai letto dei libri miei.”

“Sì, il Manuale della perfetta Gentildonna, ma non è

bello quello che consiglia alle donne di fare, tutti quei contraccettivi,

quegli amplessi more ferarum...”

 

“Però ci sono anche tanti consigli di moda vecchia maniera,

dovrebbe esserne contento, rafforzano la fede delle

fedeli... Più tendono all’eleganza più vanno a messa per

farne sfoggio.”

“Eh, le chiese non sono più quelle di una volta, sono

vuotine, e Lei non ci aiuta, non ci aiuta proprio...”

“Mi sta proponendo un contratto per riempirGliele?”

 

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“Ma figliolo, io... noi... il voto di povertà...”

“Il voto di povertà è quello degli italiani onesti quando

vanno alle urne, altro non ce n’è, Ceschino! Facciamo così:

Lei mi anticipa un milione di euro per lettera di credito

irrevocabile e io torno in televisione apposta e tiro giù un

bestemmione in diretta che faccio un boom di ascolti della

madonna, tutti mi sono contro, la Chiesa si ricompatta e

voi fate mezzo milione di ostie consacrate in più in una

settimana...”

 

“Ma figliolo benedetto, la Madonna che fa bum... non

è bello, no...”

“Vorrà mica che Le faccia propaganda gratis... Mi ha mai

sentito bestemmiare? No. Una ragione ci sarà. Se io parlo

male di Cavalli, Cavalli svuota anche il magazzino dei finimenti,

non solo le presenti collezioni. Buono sì, pirla... gilipollas

no.”

“Ora La devo salutare, devo chiamare Maria Rosaria

Omaggio.”

 

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“Ah, non vedrà l’ora. Mi telefoni pure quando vuole,

Bergoglio, ma mai dopo le otto di sera, tanto è spento, non

mi saluti Ratzinger e su col morale...”

“La morale, detto da Lei...”

“Non litighiamo, cariño, perché quanto a morale nessuno

può fare la predica a me, e se non la faccio io a Lei,

non vedo come possa farla Lei a me... Mi scusi la didascalia,

ma se uno se le cerca è un peccato non suonargliele...”

 

“Chi sono io per giudicare un gay?”

“E chi sono io per non giudicare un imitatore del papa che

forse è il papa? E poi, tempo al tempo, non disperi. Se non

l’ha ancora fatto, lo farà, garantito al limone. Si rifarà tutto in

un colpo, ne giudicherà una schiera intera, di gay. Quando

siete alla frutta finite tutti lì e ricominciate dall’antipasto.”

“Il Regno dei Cieli attende tutte le pecorelle smarrite,

figl...”

ALDO BUSI COME LA MEDUSA - OPERA DI GIOVANNA CARUSOALDO BUSI COME LA MEDUSA - OPERA DI GIOVANNA CARUSO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Bergoglio, è tardi per certe cose, non mi va né di emu-

lare l'astronauta italiana in orbita oltretutto belando. Piuttosto,

se passa da queste parti, venga a pranzo da me, so

cucinare bene, Le faccio l'agnello da latte al forno ... el cordero

lechal asado! Da leccarsi le dita pastorale compreso.

Non per van tarmi, ma mi viene da dio."

Clic.

Se facessero tutti così, anche senza mettere a repentaglio

un agnello, la smetterebbero entrambi o concorderebbero

un cachet settimanale, come se andassero da un analista.

 

 

 

2. OGNI PAROLA È ILLUMINATA – ALDO GRASSO: “VACCHE AMICHE'' DI ALDO BUSI È UN GRANDIOSO ESEMPIO DI COME SI POSSA SCRIVERE UN TEMA PER ANDARE FUORI TEMA SENZA PERÒ ANDARE FUORI STRADA”

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera

 

 

«Non sto affatto prendendola per le lunghe, non sto passando dal Liechtenstein per andare a Davos partendo da Montichiari: mi ricordo che sia il maestro Bianchi, che avevo in terza, sia il maestro Turelli, che ho avuto in quarta e in quinta, riconsegnandomi il quaderno a righe, quello dei temi, mi dicevano, “Busi, tanto per cambiare sei andato fuori tema”, ma il voto per punizione, poco meno di dieci, mi ha convinto sin dalla più tenera e diabolica età della regola più elementare per cambiare tutte le verità di regola in tasca e metterci la tua firma: scrivere un tema per andare fuori tema senza però andare fuori strada e prendere l’insufficienza. In una sfida del genere non si può divagare: si deve. È tutto un programma».

 

Sì, è tutto un programma, il programma che Aldo Busi ha sempre felicemente seguito fin dai tempi di Seminario sulla gioventù (1984): il racconto di una continua fuga dagli altri e da se stesso.

 

 

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E solo Busi poteva ora cimentarsi con un’autobiografia non autorizzata. Vacche amiche (Marsilio) è un grandioso esempio di come si possa scrivere un tema per andare fuori tema senza però andare fuori strada. Geniale! In realtà il libro apre uno scenario quasi inedito per la letteratura italiana (bisogna andare molto indietro, risalire fino a Dossi, a Leopardi). Questa è un’autobiografia morale, dove i fatti, gli eventi, gli aneddoti contano fino a un certo punto: sono cartoline sbiadite, segnalibri, flashback, intermittenze della memoria. Ciò che più conta è la scrittura, com’era d’uso fra i grandi moralisti classici, la sola capace di convertire la ricchezza intellettuale in una riserva etica e in un’invenzione poetica tra le più inclassificabili. Non è un libro di autofiction e solo per questo bisognerebbe suonare le campane a festa.

 

 

Quando parla di conoscenze o di amici, quando ricorda qualche episodio della sua vita, a Busi non interessa fare i conti, costruirsi un percorso esemplare, esaltare le doti di acuto osservatore; gli basta esprimere un pensiero autentico e individuale, né troppo astratto né troppo sistematico: «Tanti conoscenti, di cui finisci per dimenticarti nome e faccia da un mese all’altro, ma amici no. O si accetta e si corrobora l’ipocrisia come sistema di relazione e stai in compagnia di ipocriti come te e ti senti solo come fai sentire solo chi si fa ipocritamente compagnia con la tua o te ne stai da solo senza chiederti perché lo sei: lo sei perché sei più in gamba e non hai bisogno di una stampella per sentirti dritto solo perché grazie a essa zoppichi come tutti gli altri. E poi non sono un tipo incline a avere abitudini consociative e a lasciarmi trasportare sul nastro mobile delle ritualità, a parte quelle tra me e me legate al mangiare e al sonno».

 

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Busi sfida la morale comune non con stile, ma con lo stile, attraverso piccoli spostamenti del punto di vista. Alla sua scrittura non importa affermare un’ideologia (in particolare smascherare ipocrisie, meschinità e opportunismi della borghesia), non importa far emergere fra le righe una dottrina etica soggiacente, ma interessa solo lasciare la sua inconfondibile impronta stilistica, magari su anonimi pomeriggi danzanti al Teatro Sociale, o su una foglia di platano, come aveva fatto in El especialista de Barcelona (2012).

Scrivere di sé, scrivere su di sé è impresa ardua, un’impresa letteraria destinata a pochi. Il vizio di molte autobiografie è di avere una visione teleologica della story : raccontano fatti per raggiungere un fine.

 

Si parte quasi sempre da un’infanzia infelice per descrivere le tappe del successo, che portano il protagonista da una condizione spesso avversa al momento dell’inevitabile successo. E giù spiegazioni, psiche, soggettività, «percorsi» di apprendimento, tentativi di trasfigurare la normalità in epica o, nei migliori dei casi, di conquistare un linguaggio che è tutt’uno con la vita.

 

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Vacche amiche è uno straordinario viaggio circolare (senza fine e senza fini), un elegante esercizio di visione obliqua, di sbieco: «Se penso a un compagno ideale di viaggio, vedo una fetta di salame tagliata di sbieco vorticare nello spazio, come se fosse l’anamorfosi in un quadro visto andandogli di lato e il vero soggetto che del quadro non si vede standogli di fronte, come se il vero quadro stesse occultato nel quadro che ne diventa solo la depistante cornice entro la cornice vera e propria, ma non so dire perché, quindi dovrei tacermi, ma se mi taccio non richiamerò mai le parole ora sconosciute che mi avvicineranno sempre più al perché di questa grottesca e ingiustificata visione obliqua».

 

Solo uno sguardo sovrano può trasformare una fetta di salame in una «depravazione ottica», svelare figure a prima vista non percepibili o percepite come mostruose e indecifrabili.

 

 

I personaggi che popolano il viaggio hanno solo un kit di sopravvivenza (una buona dose di humour amaro gentilmente offerta dall’autore-untore) ma formano un universo polifonico di rara ricchezza e di penetrante perfidia psicologica: Marì, la figlia disgraziata della Giulietta dei pom ; le tre amiche traditrici («amiche da cui correvo con le ali ai piedi»), portatrici insane di pene d’amore e di stili di vita; i parenti, i venti cugini, gli zii Pluda e gli zii Bonora; la dottoranda altoatesina o «tirolesa» destinataria, a sua insaputa, di un saggio letterario; le persone stimolanti incontrate per strada: «I personaggi più interessanti sono quelli che di denaro non ne hanno né troppo né troppo poco, ai quali non è permesso proprio tutto e nemmeno è interdetto tutto del tutto, che un po’ si arrabattano economicamente ma senza essere né i negletti di Senza famiglia né dei tesorieri alla Conte di Montecristo ».

 

 

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La letteratura è ritmo, sostiene Busi, come l’amore. La letteratura interessa sempre meno (i libri li scrivono i giornalisti, i giudici, i politici, i comici, per il mercato dei non lettori), figuriamoci il ritmo. Da provetto ballerino, Busi conserva come pochi il senso del ritmo, che parte da un’orgogliosa rivendicazione di alterità linguistica, di padronanza delle parole e del loro carattere giocoso, di rincorsa ritmata di certi suoni e si snoda nel giro sontuoso delle frasi. That’s Amore.

 

 

 

Busi saprebbe fare molto bene le cose per cui esiste ancora retribuzione (il protagonista televisivo, per esempio), ma si ostina, con il compiacimento tipico del saggio insolente, a scrivere libri di letteratura, un settore cui è venuta meno la richiesta di mercato: è il suo modo di ribadire l’alterità, persino una certa vocazione al martirio. Eppure, in Vacche amiche non c’è una sola riga di tristezza (se mai c’è ardore civile); troppa la coscienza delle parole per abbandonarsi alle recriminazioni. L’unica vera lagnanza, se mai, è nei confronti di noi lettori. Viviamo in un mondo sonnambolico e straparlante e non sappiamo più pretendere opere perfette, ci accontentiamo di libri che sanno «rispondere ai desideri del pubblico». Siamo niente e con molta presunzione ci accontentiamo di niente.

 

 

La motivazione che sollecita Busi a esplorare la zona d’ombra dei rapporti umani è la voglia di creare, non di ricreare, di plasmare più che di recepire. I suoi libri non son specchi, sono visioni. Per questo l’autore può permettersi di essere drammatico fingendo di essere esilarante, o viceversa, di sembrare eccessivo, narcisista, sprezzante, ossessivo. Ciò che veramente conta è solo la scrittura, la potenza metamorfica della sua lingua. Da vecchio moraliste trasmette al lettore una scarica elettrica capace di far sobbalzare ogni certezza verbale, quindi logica. Le vacche sono amiche perché illuminate dalla parola.