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SHAMPOO DI ALDO GRASSO ALLA COFANA DELLA LEOSINI: “L’INTERVISTA A RUDY GUEDE È STATA PIENA DI OMISSIONI E MEZZE VERITÀ. COSA FAREBBE A QUESTO PUNTO UNA ‘MAESTRA DI GIORNALISMO’ CHE LAVORA PER IL SERVIZIO PUBBLICO? RISPONDEREBBE ALLE CONTESTAZIONI…”

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Aldo Grasso Per Oggi.it

 

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«Maestra di giornalismo», «icona gay», «giornalista dal fiuto sensibile», «nostra signora dei mostri»: le definizioni si sprecano, quando si tratta di Franca Leosini, la conduttrice di Storie maledette, il programma di Rai 3 che intervista chi ha compiuto crimini efferati. Che, a quanto pare, dev’essere uno dei compiti principali del Servizio pubblico. Dunque l’inarrivabile Leosini s’intrattiene con Rudy Guede, che è in carcere a Viterbo per scontare la condanna a 16 anni per l’omicidio di Meredith Kercher.

 

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Dal lungo incontro, si ricavano due impressioni: Rudy è forse vittima della giustizia italiana, Franca non ha occhi che per lui. Giangavino Sulas (Oggi, n° 6) individua almeno otto omissioni e clamorose menzogne andate in onda senza essere corrette. Tra queste, l’appuntamento con la ragazza, la negazione di aver compiuto furti, l’uso di droghe pesanti, il contenuto delle sentenza della Cassazione in merito alla collocazione di Sollecito e della Knox nella casa del delitto.

 

Sostiene, e noi con lui, che l’intervista sia stata piena di omissioni e mezze verità. Cosa farebbe a questo punto una “maestra di giornalismo” che lavora per il Servizio pubblico? Risponderebbe alle contestazioni, farebbe in modo che la tv smettesse di diventare, come ha sottolineato il direttore Umberto Brindani, il quarto grado di giudizio, dando vita a quella sorta di «processo continuo» che non è previsto da alcun ordinamento giuridico.

 

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Ma il punto per me più grave è un altro. Franca Leosini fa il suo mestiere e le piace intervistare i protagonisti di storie maledette. Può piacere o non piacere, siamo nel campo della sensibilità e del gusto. ?Ma perché la Rai dà così poco spazio alle vittime? Perché le loro storie non sono degne di essere raccontate? Tutto quello che la tv fa nel nome del pubblico lo fa sempre e solo in termine di audience. Così i media favoriscono l’attacco dell’emozione alla giustizia e rischiano di reintrodurre nel cuore dell’individualismo moderno antichi metodi tribali.

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