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Giuseppe Fantasia per “il Foglio”
“La cucina è una bricconcella che – spesso e volentieri – fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria”. Immaginate che a leggere questa frase – incipit de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, il vate della cucina italiana – sia Paolo Poli, un grande del teatro, artista divertente e poliedrico, e il gioco è fatto. Con quel suo inconfondibile timbro di voce tra l’ironico e il garbato e con la sua ironia pungente, è riuscito meglio di chiunque altro a raccontare l’incredibile verve letteraria dell’Artusi e la sua bibbia gastronomica.
Questo ottantacinquenne in splendida forma dai molteplici volti nascosti, “un lupo in pelli d’agnello” come lo definì la Ginzburg, tra uno spettacolo e l’altro, si è cimentato nella lettura di tutte le 790 ricette presenti nel libro. Quel che ne è venuto fuori è uno straordinario audiolibro, realizzato da Emons, casa editrice romana specializzata in queste pubblicazioni, il titolo di lancio della nuova collana Audio Cook curata da Luisanna Messeri, maestra di cucina e volto televisivo. All’Artusi va il merito di aver dato dignità a quel mosaico di tradizioni regionali e di averlo per la prima volta valorizzato ai fini di una tradizione gastronomica nazionale.
“L’Artusi ha contribuito a costruire l’identità degli italiani non soltanto a tavola”, mi spiega Poli durante un pranzo luculliano preparato per l’occasione da Fulvio Pierangelini, chef due stelle Michelin. “Era più popolare di Pinocchio e del libro ‘Cuore’ ed era più letto de ‘I Promessi Sposi’, perché scritto con uno stile semplice e comprensibile da chiunque”, aggiunge.
“Contribuì all’unificazione della lingua nel nostro paese: prima di cucinare, infatti, le signore leggevano e imparavano così a esprimersi in maniera corretta e anche io ho imparato a leggere con l’Artusi”. Pubblicato nel 1891 dopo non poche difficoltà (“la sua pubblicazione assomiglia alla storia della Cenerentola”), questo monumento alla tradizione gastronomica italiana, scritto in un italiano elegante e popolare, nel giro di poco tempo vendette più di un milione di copie.
Alle prime quindici edizioni curate personalmente dal suo autore – che la sua Forlimpopoli festeggia ogni anno a giugno con la Festa Artusiana – ne sono seguite tantissime altre nel corso degli anni, tutte con nuovi aggiornamenti e nuove ricette. Ancora oggi è il libro più famoso e letto sulla cucina italiana, quello da cui tutti i grandi cuochi dell’ultimo secolo hanno tratto ispirazioni e suggerimenti.
L’edizione più completa, più accurata e precisa è sicuramente quella curata da Piero Camporesi, pubblicata da Einaudi e, recentemente, molto ben fatta è anche quella di Alberto Capatti (Bur, Rizzoli), la prima edizione critica con commento e note. E’ un’opera singolare che va a esaltare il piacere del mangiar bene e più che un ricettario è un libro di gusto, ricco di dissertazioni, di spunti linguistici in una prosa limpida che ricorda la cordialità del discorso conviviale.
“E’ un manuale pratico, basta saper tenere un mestolo in mano che qualcosa si annaspa”. Ricordiamoci, poi, che l’Artusi – che si trasferì presto a Firenze, la città di Poli – fu preveggente, perché fu il primo a scrivere: “Non vergogniamoci di mangiare il meglio che si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia”.
Cosa direbbe, dunque, oggi l’Artusi se fosse vivo e accendesse la tv o se si recasse in libreria? In ogni trasmissione si parla di cucina e ogni settimana vengono pubblicati decine di nuovi titoli dedicati all’argomento. Poli è scocciato da tutto questo e dice che non ne può più dello “spadellare televisivo”.
“La cucina, si sa, è qualcosa che unisce tutti, anche le persone più diverse, perché nel mangiare ci si trova d’accordo, un po’ come quando si parla del meteo”, dice, ma poi si lamenta, perché avrebbe preferito che il nostro “fosse il Secolo del sesso e non della cucina”. Sui tanti libri pubblicati di ricette, “scritti, spesso, da persone improbabili che non sanno tenere una biro in mano”, mi risponde citandomi una frase che l’Artusi ha scritto nella sua prefazione.
“Diffidate dai libri che trattano di quest’arte: la maggior parte sono fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani. Al più, potete attingere qualche nozione utile, ma solo quando l’arte la conoscete”. E a questo punto, unendo tali “ingredienti”, Poli e Artusi sono diventati una cosa sola. Un piatto prelibato, tutto da gustare.
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