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Marco Giusti per Dagospia
Ci siamo. Preparatevi le colt (e controllate la prostata). Anche in Italia arriva "Django Unchained" di Quentin Tarantino. In una grande anteprima europea il 4 gennaio a Roma al cinema Adriano (che precederà quelle di Parigi, il 5, e di Londra, il 6), alla presenza di tutto il cast del film, da Jamie Foxx a Christoph Waltz, da Kerry Washington a Samuel L. Jackson e Franco Nero (mancherà solo Leonardo Di Caprio) e di una cinquantina di vecchi ceffi del West nostrano dalla prostata ormai un po' logora (non aiuteranno i 146 minuti del film), dello stesso Tarantino, che li ha fortemente voluti e scelti personalmente. Per l'occasione il maestro Ennio Morricone gli consegnerà il Premio alla Carriera del Festival di Roma.
Grande serata western e trionfo per i reduci di un genere molto amato dal pubblico di tutto il mondo. Come disse Orson Welles a Giulio Questi sul set di "Se sei vivo spara", "tutti i veri registi, prima o poi, trovano un western sulla loro strada". E' una specie di appuntamento col diavolo. Tarantino e il western, anzi lo spaghetti western, che lui ama più di ogni altro genere, si rincorrono da parecchi anni.
Quasi tutti i suoi film, a cominciare dalle musiche di Ennio Morricone e Luis Bacalov, sono pieni di riferimenti a spaghetti western, Samuel Jackson uccide dopo aver recitato i versetti della Bibbia come un cattivo di "Blood Money" di Antonio Margheriti, "Kill Bill" è costruito sul grande revenge movie di Giulio Petroni, "Da uomo a uomo", tutto l'inizio di "Inglorious Bastards" è un omaggio al misconosciuto "Prega il morto e ammazza il vivo" di Giuseppe Vari con Klaus Kinski, uno dei pochi western italiani teatrali, l'Uma Thurman di "Kill Bill" finge di chiamarsi Nicoletta Machiavelli in onore della protagonista di "Navajo Joe".
La sua vera passione, infatti, sono gli spaghetti western iperviolenti di Sergio Corbucci, non solo il celeberrimo "Django", ma anche "Minnesota Clay", che per lui è un film cerniera tra due mondi diversi di vedere il genere, il grandioso "I crudeli", dove non esiste un personaggio buono o positivo, lo spettacolare "Navajo Joe" dove Burt Reynolds e Nicoletta Machiavelli, indiani, affrontano la terribile banda dei fratelli Duncan, Aldo Sambrell e Lucio Rosato, cacciatori di scalpi, come lo saranno i ragazzi capitanati da Brad Pitt in "Inglorious Bastards".
Se Sergio Leone è in assoluto il suo regista preferito, i suoi spaghetti western preferiti sono quelli di Sergio Corbucci. Nell'anno che a Venezia portai il grande omaggio agli spaghetti western, Tarantino si augurò che a Corbucci venisse finalmente dato un posto nella storia del western tra Don Siegel e Anthony Mann. E non erano nomi fatti a caso, perché entrambi sono stati maestri della modernizzazione violenta del genere.
Mentre John Ford, che a Tarantino non interessa ("Lo odio!", ha detto recentemente in un'intervista su "The Root", ma in gran parte per provare i vecchi ragazzi), rivedeva il passato, e Howard Hawks, che Tarantino adora, costruiva grandi impalcature strutturali del genere, Siegel e Mann sfondavano nella violenza. Ma Corbucci si spingeva ancora oltre.
Due anni dopo, infatti, con in testa un libro mai finito sul western di Corbucci, Tarantino stesso nell'ultima Venezia di Muller ci fece una grande lezione su "Minnesota Clay" e la violenza nel cinema western di Sergio Corbucci. Se un maestro dell'horror come Mario Bava non aveva saputo trasferire quel mondo nel western, forse per poca affinità col genere, ci era riuscito Sergio Corbucci, che si esaltava nella violenza pura senza nessuna ricompensa morale. I suoi personaggi non si muovono né per vendetta né per qualche idea.
Si muovono solo per una violenza fine a se stessa. E' grazie a questa trovata moderna che Corbucci rivoluziona il genere, che era già abbastanza spinto, e sfonda le porte alla violenza dei film di kung fu e a tutto il cinema più scatenato orientale. Un processo che porta dritti fino al cinema di oggi. Ma fa di più.
Offre a tutto il Terzo Mondo del tempo, dove il suo "Django" divenne un cult assoluto, basterà ricordarsi l'incredibile omaggio del giamaicano "The Harder They Come" di Perry Henzell, un grande modello di film politico. Il Django nerovestito è il vendicatore di tutti gli oppressi, un giustiziere di sadici e maniaci latifondisti con cappucci rossi come quelli del Ku Klux Klan.
Poco importa se l'idea venne in realtà a Corbucci per risparmiare sugli attori minori. Per questo Tarantino, genialmente, fa diventare nero il suo nuovo Django vendicatore. Un nero che si accompagna a un pistolero bianco europeo come se fosse il suo doppio. E che è Unchained, senza catene, come l'Ercole di Steve Reeves nella versione americana, "Hercules Unchained", vera nascita del cinema di genere italiano esportato senzacatene.
Al tempo stesso Tarantino gioca con gli eccessi di violenza dei disturbatissimi fratelli Duncan di "Navajo Joe" o del Gino Pernice di "I crudeli", che lui stesso riprenderà nella sua buffa partecipazione a "Dal tramonto all'alba". Il suo Django, sarà una nuova e imperdibile lezione di cinema e un giusto omaggio al cinema che più ama. Ma, soprattutto, sarà un western.
DJANGO UNCHAINED: LEO DI CAPRIOTARANTINO DJANGO UNCHAINED DJANGO UNCHAINED: CRISTOPH WALTZ E JAMIE FOXXDJANGO UNCHAINED LOCANDINA tarantino MORRICONE TARANTINO ELISA FEDERICO MANCOSU, IL GRAFICO SCELTO DA TARANTINO (foto Gabrielli - Toiati).
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