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“FECI IL CAMERIERE PER VENDITTI, DALLA E MORANDI MI DISSERO DI TOGLIERE LA PUZZA SOTTO IL NASO. PER VECCHIONI ERO TROPPO BELLO PER ESSERE ANCHE BRAVO” – LUCA BARBAROSSA RACCONTA QUELLA VOLTA CHE A UN SUO CONCERTO SI PRESENTÒ MARADONA, A NAPOLI, NELL’ANNO DELLO SCUDETTO DEL 1987 - "LO NASCONDEMMO DIETRO LE CASSE, IN MODO CHE NESSUNO POTESSE VEDERLO. SOLO ALLA FINE LO CHIAMAI SUL PALCO A DUETTARE CON ME: UNA FOLLIA COLLETTIVA" – "LA CANZONE 'VIA MARGUTTA'? IN UNA SOFFITTA DI QUELLA STRADA MIO NONNO NASCOSE DURANTE LA GUERRA UN BAMBINO EBREO, SALVANDOGLI LA VITA" - IL TENNIS E L’INCONTRO CON PANATTA: "MI DISSE: ’A RAGAZZÌ, CHE STAI A ‘FFA, VEDI D’ANNATTENE” - VIDEO
Roberta Scorranese per corriere.it - Estratti
Quanto Luca Barbarossa c’è nella canzone «Via Margutta»?
«Tanto. Innanzitutto, perché io sono nato qui vicino, in via San Giacomo. E poi perché questa strada mi somiglia».
(…) Luca Barbarossa arriva mano nella mano con la moglie Ingrid, canticchia il motivo di una delle sue canzoni di maggiore successo, quella Via Margutta , appunto, che al Festival di Sanremo del 1986 arrivò al 18esi-mo posto, ma che poi rapidamente scalò le classifiche. Questa via unisce «alto» e «basso», intellettuali e personaggi popolari.
«L’ho detto, mi somiglia. La canzone nasce da un fatto vero: mio nonno, durante la seconda guerra mondiale, fece rifugiare in una soffitta di via Margutta un bambino ebreo, salvandogli la vita durante i rastrellamenti. Qui abitavano artisti e poeti, come oggi».
Come fece a nasconderlo?
«Lo fece rifugiare in una intercapedine, tra le tele di dipinti. Quando, molti anni dopo, tornai qui feci una riflessione: io da bambino avevo giocato sotto lo stesso cielo dei bombardamenti, dei pittori dei giovani poeti e dei loro amori . Nacque così l’ispirazione del brano».
(…)
La sua carriera assomiglia un po’ a una via Margutta: in 62 anni di vita lei è stato tennista, teatrante, cantautore, scrittore, conduttore.
«Aggiungo “cameriere”: con le mance che guadagnai a Londra comprai la mia prima chitarra acustica».
Quindi in gioventù lei si divideva tra il campo da tennis e piazza Navona, dove suonava per strada.
«Ho avuto la stessa insegnante di tennis di Panatta, la mitica Wally San Donnino, una modenese severissima. La mattina andavo a scuola a Monteverde, poi mangiavo in trattoria e andavo a fare i corsi di tennis».
L’incontro con Panatta?
«Aveva una decina di anni più di me ma era il mio idolo. Io ero un infiltrato mezzo nascosto dietro le quinte. Me lo ritrovai davanti. Presi fiato, stavo per fargli la domanda della vita, ma lui mi guardò e mi liquidò con un “’a ragazzì, che stai a ‘ffa, vedi d’annattene”, disse scherzando. Ma avevo già capito che non sarei mai diventato Panatta. Così con Mario Amici cominciammo a suonare per strada: Bob Dylan, i Beatles».
(…)
E Venditti? Vi vedevate?
«Antonello è più grande di me, ma le racconto questa: quando mi dividevo ancora tra il tennis, i ristoranti e le esibizioni per strada, mi chiamò un amico: “Guarda che Venditti sta preparando il lancio del suo disco fuori Roma, perché non vieni a guadagnarti la serata?”. E così feci il cameriere per Venditti, servendo al tavolo dove stavano lui, Gato Barbieri e gli altri produttori: 30mila lire di compenso, era il 1979».
Ma poi lei con Venditti ha lavorato.
«E anche questa è buffa. Dunque, Antonello aveva lanciato il grande successo Roma Capoccia , una dichiarazione d’amore alla città. Io nel 1981 vengo invitato a Castrocaro. Porto allora una canzone, Roma spogliata , che nelle mie intenzioni doveva essere una risposta polemica a Venditti, il racconto di una città molto più problematica di quella che aveva cantato lui».
E che cosa accadde?
«Ci ritrovammo a incidere nello stesso studio e una sera lui venne da me. “Aho, bella ‘sta canzone”, mi disse, mentre io strabuzzavo gli occhi. E aggiunse: “Posso incidere io le parti al pianoforte?”».
Ricordi di Castrocaro?
«Passarono totalmente inosservati due ragazzi: si chiamavano Zucchero e Eros Ramazzotti. Vinse Fiordaliso».
La vita sa essere surreale.
«Come il cielo di via Margutta, oggi attraversato dai bombardamenti e domani dai baci degli innamorati. Ma Roma è così, imprevedibile».
E la vittoria a Sanremo nel 1992 con «Portami a ballare» se l’aspettava?
«Macché, no, anche perché io volevo portare un brano più impegnato, Cuore d’acciaio .
Per fortuna che Morandi e Dalla mi presero da parte e mi dissero: “E togliti la puzza sotto al naso, forza”».
Critiche che l’hanno aiutata?
«Vecchioni una volta di me disse che ero troppo bello per essere anche bravo. Poi però cambiò idea e oggi mi dice che sono anche bravo».
Francesco De Gregori, il «principe di Roma». Siete amici?
«Sì, almeno io lo considero un amico. Quando cominciai a fare il programma Social Club alla radio, lo invitai, ma lui fece finta di niente. Poi un giorno mi telefonò: “Ma sai che la trasmissione è proprio bella?”, mi disse. E poi gli piaceva Virginia Raffaele, tra le nostre ospiti preferite».
Dove ha imparato a suonare?
«Da solo, mai frequentato scuole. La mia generazione è stata fortunata perché è stata l’ultima ad aver conosciuto la noia. Nei lunghi giorni senza scuola, magari in vacanza, che cosa potevi fare? Magari imparare a suonare. C’era più tempo, c’era più dedizione».
E come faceva per i primi spartiti, quelli da depositare alla Siae?
«Infatti all’inizio era un problema, perché conoscevo poco la musica. Poi un giorno mi presentarono un signore colto e affabile: era Luis Bacalov, padre di un’altra delle mie compagne di classe. Bene, lo spartito di Roma spogliata lo fece lui, fa fede il documento ancora oggi conservato negli archivi della Siae».
Luca, la sua vita sembra un film.
«E non le ho ancora detto il colpo di scena».
Quale?
ingrid barbarossa luca barbarossa
«La volta che a un mio concerto si presentò Maradona. A Napoli. Nell’anno dello scudetto del 1987».
E dove ha suonato?
«Era questo il punto. Io sapevo che Diego apprezzava alcune mie canzoni, però in quegli anni per lui era impossibile anche solo fare un pezzo di strada a Napoli: la folla impazziva, davvero rischiava di farsi male per l’affetto dei tifosi. Così quella sera tutto era pronto alle Terme di Agnano, quando lo staff di Maradona ci disse che lui avrebbe avuto piacere di partecipare.
“E dove lo mettiamo?”, fu la mia domanda piena di gioia, ma anche di sgomento: l’ordine pubblico nei concerti è una cosa seria. Il mio manager allora ebbe un’idea: letteralmente lo nascondemmo dietro l’impianto audio, in modo che nessuno potesse vederlo.
Solo alla fine, sulle note di Roma Spogliata , lo chiamai sul palco a duettare con me. Le lascio immaginare la reazione del pubblico: una follia collettiva».
luca barbarossa foto di bacco (2)
Strano che in rete non si trovi nemmeno una foto di quella serata.
«Non è strano: è oggi che la gente pensa a fotografare, all’epoca ti godevi il concerto, ascoltavi la musica».
Come ha conosciuto sua moglie Ingrid Salvat?
«A Parigi. Ma eravamo entrambi impegnati. Poi lei venne a Roma e da allora non ci siamo più lasciati».
Una delle sue canzoni più belle, «Portami a ballare», è dedicata a sua madre.
«Una volta vidi mia madre ballare un vecchio rock’n roll. Era aggraziata, bravissima. Per la prima volta la guardai non come una madre, ma come una donna. Mi chiesi: quanto poco sappiamo delle persone che amiamo? E com’erano “prima di noi”? Quella canzone è un omaggio alla bellezza sconosciuta dei nostri amori».
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