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Andrea Fagioli per ''Avvenire''
Bestemmia sì, bestemmia no. Il limite non è burocratico. Sarebbe ipocrita se lo fosse. Lo diciamo ripensando a quanto successo nella puntata del 15 ottobre del telequiz preserale campione di ascolti di Rai 1, L’eredità. Oltre 4 milioni e mezzo di telespettatori anche per quel tardo pomeriggio di giovedì scorso nel quale, durante «Il gioco delle definizioni», il conduttore Flavio Insinna ha letto a una giovane concorrente la definizione «È porca in una esclamazione», mentre si illuminavano sette caselle con l’iniziale «M».
L EREDITA INSINNA PORCA MISERIA E NON PORCA...
La concorrente ha iniziato a pronunciare tra i denti qualcosa di molto simile a un «Ma...». Poi si è messa a ridacchiare anche perché Insinna, ci auguriamo lui stesso preso in contropiede, ritardava ad accendere la seconda lettera: una «i» liberatoria, che ha provocato un sospiro di sollievo in molti telespettatori e ha spinto la concorrente, sia pure ancora con un mezzo sorriso, a pronunciare la parola «Miseria». A quel punto il conduttore ha chiosato con un «Porca miseria, pure oggi che lotta!».
Tutto bene quel che finisce bene? No, non pensiamo che sia così, anche perché a casa qualcuno la definizione sbagliata l’avrà pronunciata o quanto meno l’avrà pensata. E allora sarà bene farsi e fare alcune domande. Ma chi l’ha scritta una definizione del genere? E poi perché la soluzione era proprio una parola di sette lettere? Gli autori non
flavio insinna don pietro pappagallo
hanno pensato che ci poteva scappare una bestemmia anche se il programma non va in diretta?
Oppure l’hanno messa in conto e si sono divertiti a giocare sul doppio senso? Il sospetto c’è, anche perché in televisione da un po’ di tempo a questa parte i doppi sensi sono all’ordine del giorno, così come le volgarità. Del resto anche solo riferita alla «miseria», quel «porca» è pur sempre un’esclamazione di cattivo gusto di cui in televisione si potrebbe fare tranquillamente a meno.
Detto questo, non si capisce perché in certi casi i responsabili dei programmi si ergano a moralizzatori, come ad esempio nel Grande fratello vip a proposito delle affermazioni (sbagliatissime, per carità) di Fausto Leali sulla razza e sul fascismo, e in altri casi si lasci correre o si liquidi il tutto con un sorrisino. Il vero problema è che la televisione in molti casi sembra diventata una terra di nessuno, dove tutti sono liberi di fare e soprattutto di dire quello che vogliono.
Da tempo i talk show sono pieni di insulti, che escono per istinto o per calcolo dalla bocca degli ospiti. I programmi d’intrattenimento s’avventurano sempre più spesso in argomenti eticamente sensibili con l’accortezza e il garbo degli elefanti. Per non parlare della tanta tv spazzatura tout court, anche se è chiaro che accanto a una cattiva televisione ne esiste una buona. Starebbe a noi saper scegliere in questa sorta di giungla che sono diventate le reti televisive, ma i condizionamenti sono forti e a volte con la scusa dello svago innocuo si vedono pessimi prodotti quando potremmo vederne di ottimi.
Proprio per questo un programma leggero come L’eredità dovrebbe fare grande attenzione a quello che propone, soprattutto per il seguito che ha da parte di un pubblico indiscriminato in un orario di grandi ascolti. Verrebbe in conclusione da augurarci il ritorno a una tv pedagogica di vecchio stampo, ma si rischiano gli insulti di cui sopra. Almeno ammettiamo che la televisione è ancora educativa, nel bene e nel male, che tende a creare mentalità con una forza che per ora nessun social dimostra di avere.
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