loredana berte

BIO-BERTÈ! ''NEL 1983 MI SPOSAI CON ROBERTO BERGER, UNO STRONZO RICCHISSIMO CHE SI FINGEVA POVERO E PIANGEVA MISERIA. I GENITORI MI DISPREZZAVANO. 'SPERIAMO CHE QUESTI CAFONI NON SI SIEDANO VICINO A NOI', DISSERO LE SORELLE. LITIGAI CON TUTTI E ME NE ANDAI'' - MARIANGELA MELATO MI PORTÒ A UNA CENA CON VITTORIO EMANUELE DI SAVOIA, CONVINTO DI TORNARE RE. GLI DISSI ''FORSE NON L'HANNO AVVERTITA CHE IN ITALIA C'È LA REPUBBLICA''

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la villa di  michael jackson a encinola villa di michael jackson a encinoLOREDANA BERTE TRASLOCANDO BIOGRAFIALOREDANA BERTE TRASLOCANDO BIOGRAFIA

Estratti dal libro ''Traslocando - E' andata così'' di Loredana Berté, scritto con Malcom Pagani per Rizzoli

 

 

Michael Jackson

 

(…) Capii davvero chi fosse Michael quando andai a trovarlo a Encino, nel suo regno. Nel 1984, girando uno spot della Pepsi-Cola a Los Angeles, Michael aveva avuto un gravissimo incidente. Gli era scoppiato un fuoco d’artificio vicino alla testa, bruciandogli i capelli e il cuoio capelluto in profondità. Da quel dramma non si era mai ripreso completamente e il resto l’aveva fatto la morbosa attenzione dei fan e dei media. Era stato massacrato, giudicato, messo sotto la lente di ingrandimento dell’opinione pubblica fin da quando aveva cinque anni.

la villa di michael jackson a encinola villa di michael jackson a encino

 

Così, da grande, non avendo goduto di un’infanzia normale, era rimasto bambino e aveva deciso di chiudersi in un castello fatato, in cui il bar che sembrava un saloon, i lama che passeggiavano nel giardino e il cinema che proiettava prime visioni soltanto per lui, altro non erano che l’estensione del suo sogno. Un mondo perfetto in cui non farsi male, un universo in miniatura in cui rifugiarsi protetti dalla cattiveria di quello reale. O almeno così aveva sperato. (…)

 

Berger, il primo matrimonio e Prince che si scopava le chitarre

loredana  berte roberto bergerloredana berte roberto berger

 

(…) L’ultimo giorno del 1983 mi sposai con Roberto Berger alle Isole Vergini. Berger era uno stronzo. Un ragazzo ricchissimo che si fingeva povero e piangeva miseria. Uno che, pur essendo erede dei distributori miliardari dell’Hag e delle acque minerali, si faceva pagare anche i caffè. Lo avevo incontrato su un aereo diretto a New York mentre facevo la scema, imbarazzando Fossati con naso da clown e sopracciglia finte, insieme a Aida Cooper. (…)

 

Una volta a New York, cercò di rimanere in contatto con me. Lesse un articolo che parlava di me su «Variety», si informò su dove potesse rintracciarmi e puntualmente lo ritrovai in compagnia dell’erede dell’impero Barilla al Roxy. Un posto in cui se non eri nero non potevi praticamente entrare e dove il giorno prima avevo visto Prince scoparsi la chitarra sul palco, indossando un camice verde da chirurgo e un paio di giarrettiere. (…)

 

loredana berte roberto bergerloredana berte roberto berger

Una sera mi portò a cena in un locale molto esclusivo. Uno di quei posti in cui la gente non si guarda in faccia, emana disprezzo da ogni gesto e ha la puzza sotto il naso. Berger voleva farmi conoscere i suoi genitori. Il padre Tommaso, detto Tommy, era stato avvertito alla vigilia di quel capodanno del 1983 e, da quanto mi aveva raccontato quella testa di cazzo del figlio, non l’aveva presa per niente bene: «Papà, devo darti una notizia brutta per te e bella per me. Mi sono sposato con Loredana Bertè». «Hai ventidue anni, ma ne dimostri dodici. Sei solo un cretino, non contare sui miei soldi.»

loredana   berte roberto bergerloredana berte roberto berger

 

Da vero figlio di papà, Robertino lo aveva preso in parola e da allora si era attaccato al mio portafogli senza troppi scrupoli. Alla cena con i Berger mi presentai con Renato. Era arrivato pochi giorni prima dall’America del Sud, con le penne dietro la schiena, neanche fosse Toro Seduto: «Ah Nì» mi disse appena sbarcato, «in Brasile me so’ fatto du’ palle così, adesso me vojo veramente diverti’. Stasera me porti allo Studio 54 a conosce Mick Jagger?». Per come si conciava Renato, l’impresa era impossibile. (…)

 

tommy berger   tommy berger

A cena con la famiglia Berger il numero non si replicò. Le sorelle di Roberto, Donata e Simona, non mi avevano mai incontrato. Quando io e Renato entrammo nel ristorante, si avvertì nell’aria un brusio di disgusto: «Speriamo che questi cafoni non si siedano vicino a noi» dissero entrambe a voce troppo alta. Sentii e risposi a tono: «Mi dispiace bella, ma i cafoni si siedono proprio accanto a voi». Al padre Tommaso prese un colpo. Sbiancò. Quasi inghiottì il sigaro. A tavola la situazione non migliorò. La cena fu tesa. L’aria di sufficienza mi infastidì e all’ennesima battutina mi ruppi i coglioni e iniziai a discutere animatamente con Berger senior: «Ma chi te credi d’esse?».

 

vittorio emanuele e marina di savoia vittorio emanuele e marina di savoia

Roberto provò disperatamente a mediare: «Loredana, aspetta. Che fai? Non puoi andartene» e io lo misi a posto ristabilendo un sano principio di realtà: «Non solo posso, ma siccome non me ne frega un cazzo né di te né di tuo padre quasi quasi ve mollo qui tutti e due».

 

 

Mariangela Melato e Vittorio Emanuele

 

(…) All’inizio degli anni Settanta con Mariangela Melato, in America per girare Jeans dagli occhi rosa, avevo partecipato a Basta guardarla di Luciano Salce. Eravamo rimaste in buoni rapporti e una sera mi invitò a cena senza spiegarmi da chi saremmo andati: «Amica mia fidati, se te lo dico non vieni». Decisi di andare comunque all’appuntamento e mi ritrovai a tavola con Vittorio Emanuele di Savoia. Il principe parlava del futuro e si immaginava nuovamente sul trono: «Tornerò presto nel mio Paese come re».

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Gli feci notare che in Italia c’era la Repubblica: «Forse non l’hanno ancora avvertita» e lo feci incazzare. La cena si concluse rapidamente e io e Mariangela scivolammo nella notte. Sembravamo esserci divertite tutte e due ma, a essere onesti, forse l’unica a ridere davvero ero stata io. A cena fuori Mariangela non mi invitò mai più.

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La rissa con i camionisti

 

Una sera, tornando da Chioggia, ci ritrovammo sulla Romea con la mia Mercedes bianca. Vedemmo un bar sulla sinistra e accostammo. Si avvicinò subito un camionista con un bicchiere di vodka in mano. Faceva versi osceni appoggiando la lingua al finestrino e intanto tentava un approccio maldestro: «Cosa state ascoltando belle fighe?».

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«Il cazzo che mi pare a me» risposi e, mentre lui mi dava della stronza, girai la macchina e me ne andai. Dopo dieci chilometri ragionai a voce alta con Aida: «Si è permesso di comportarsi come un animale solo perché siamo donne».

 

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Allora cambiai idea e feci inversione. Arrivammo fuori dal bar e, come Thelma e Louise, ci preparammo a farci rispettare. Aprii il bagagliaio. Presi il crick e diedi ad Aida la spranga di legno con cui facevo ginnastica. Armate, facemmo il nostro ingresso trionfale. Il camionista era al cesso. Ma in compenso dieci amici suoi iniziarono a guardarci male. Dagli sguardi torvi passarono alle minacce. Poi iniziarono con gli insulti: «Puttane». «Vaffanculo.» Considerammo le forze in campo e, mentre quelle bestie ci inseguivano, tornammo alla macchina di corsa. Tra un calcio alla Mercedes e un pugno al vetro, riuscimmo non so come a scappare. (…)