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Silvia Bizio per la Repubblica
Otto in punto, giovedì sera, teatro Chelsea dell’enorme Cosmopolitan Hotel di Las Vegas. Non tutto il pubblico ha preso posto ma le luci si abbassano, la musica invade la penombra. Bob Dylan entra e va diritto al pianoforte: capelli arruffati, completo grigio perla, giacca e pantaloni da smoking. Il novello premio Nobel per la letteratura attacca immediatamente la prima canzone, It’s alright ’ ma ( I am only bleeding).
Non una parola per il premio ricevuto, non un cenno. Solo la sua musica. E va avanti così: una ventina di canzoni una dopo l’altra senza interruzioni.
Il concerto aveva ancora posti liberi poche ore prima dello spettacolo, con prezzi ragionevoli rispetto ai canoni di Las Vegas: biglietti che andavano da 50 a 200 dollari; ma è diventato sold out dopo l’annuncio del premio Nobel, strillato anche sui manifesti in giro per la città. «Io e mia figlia viviamo a Las Vegas», ci raccontano due donne al concerto, «oggi era il nostro giorno libero, abbiamo visto i cartelli in giro e abbiamo comprato i biglietti.
Siamo sempre state fan di Bob Dylan, ma questa sera era speciale: non capita tante volte di vedere un premio Nobel che canta sul palco davanti a te, no?».
Vietati i telefonini e qualunque tipo di riprese ma l’odore di marijuana gira nell’aria, e il desiderio di ritrovarsi nell’atmosfera anni 60 sembra palpabile.
E dopo Blowing in the wind Dylan si alza, senza un inchino, non una parola, lascia il palco. Dopo pochi secondi rientra, chiude il set con una cover di Frank Sinatra Why try to change me now?, quasi a chiarire il suo totale silenzio sul Nobel: «Perché cercare di cambiarmi adesso, non è per me».
I commenti sono prevedibili: «Lui è fatto così, non dice niente, non c’era da aspettarsi molto di più». D’altronde, nemmeno i funzionari dell’Accademia svedese sono riusciti a comunicare direttamente con lui. E sorge il dubbio: si presenterà a Stoccolma il 10 dicembre a ricevere il premio?
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