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1 - MEDIOBANCA, LA CRISI DI UNA MERCHANT BANK "TROPPO GRANDE PER ESSERE BOUTIQUE, TROPPO PICCOLA PER ESSERE BANCA DI INVESTIMENTI INTERNAZIONALE" CHE HA ASSEGNATO 88 MILIONI DI EURO "A UN CENTINAIO DI DIPENDENTI CHE COPRONO I RUOLI CHIAVE NEL BUSINESS DELL'ISTITUTO"
Una folla è accorsa ieri sera poco prima delle 20 in Piazzetta Cuccia dove si trova la sede storica di Mediobanca.
I milanesi volevano capire la ragione dei tappi di champagne che volavano dalle finestre della merchant bank guidata dal pallido Alberto Nagel e dalla sua controfigura Renato Pagliaro. La spiegazione è arrivata quando un giornalista ha letto a voce alta il flash delle 19,39 dell'agenzia Radiocor in cui si leggeva testualmente che Mediobanca ha assegnato 88 milioni di euro "a un centinaio di dipendenti che coprono i ruoli chiave nel business dell'Istituto".
La notizia precisava che nessun bonus è stato riconosciuto ai cinque top manager della banca (Pagliaro, Nagel, Francesco Saverio Vinci, Massimo Di Carlo, Maurizio Ceresa) e che i premi concessi per i risultati raggiunti nell'esercizio 2010/2011 erano già stati pagati in parte a luglio. Lo stupore dei milanesi è stato grande, soprattutto da parte di quei disgraziati che mentre combattono con le banche per avere una piccola linea di credito tengono d'occhio i giornali dove si legge che i principali istituti italiani hanno perso dall'inizio dell'anno a oggi il 48% del loro valore.
Qualcuno si è preso la briga di fare un rapido calcolo: in pratica a ciascuno dei 100 dipendenti che coprono ruoli chiave in Mediobanca sono andati 880mila euro, pari a poco più di 1,7 miliardi di lire a testa. Gli sciocchi, che come gli appestati di manzoniana memoria si sono fermati davanti ai cancelli della banca di Cuccia e di Maranghi (due uomini che hanno lasciato i loro incarichi senza prebende), hanno ripensato all'articolo pubblicato domenica su "Repubblica" dall'economista Alessandro Penati che con stratagemmi retorici ha smantellato mattone per mattone i conti dello storico istituto.
Con domande maliziose si è chiesto che cosa vorrà fare d'ora in avanti questa merchant bank "troppo grande per essere boutique, troppo piccola per essere banca di investimenti internazionale", e con il bisturi ha tirato fuori i numeri che non sono per nulla esaltanti. Nell'investment banking - ha scritto Penati - le commissioni tradizionali (315 milioni) non ripagano i costi di struttura (341 milioni), le attività di trading producono pochi utili e i profitti vengono dal margine di interesse su prestiti a pochi grandi clienti.
Per generare ricavi Mediobanca si è gradualmente spostata sul cliente al dettaglio, ma la raccolta, ad esempio, di "Che Banca!" "può funzionare solo fino a quando i tassi rimangono bassi e i risparmiatori preferiscono la liquidità ". La conclusione di Penati è acida: "ammesso che Mediobanca abbia ragione a credere nell'attività di banca commerciale, che se ne compri una: ce ne sono così tante a prezzi da saldo".
E qui il riferimento è chiaro alla Bpm di Ponzellini sulla quale i supermanager di Piazzetta Cuccia hanno giocato dietro le quinte per impedire a Matteuccio Arpe di mettere piede in quell'istituto dove ai tempi dell'operazione Telecom con Colaninno il giovane banchiere stappò bottiglie di champagne.
Adesso è inutile fare demagogia sugli 88 milioni di euro per i 100 top manager che nonostante gli sforzi non riescono a far decollare la merchant bank sui mercati internazionali. Sono uomini che se ne fottono delle polemiche perché appartengono a una casta che quando entra tra le mura domestiche dimentica le polemiche sull'avidità dei banchieri e si addormenta felice.
2 -BOSSI E TREMONTI CONTRO LA SUPERLOBBY DELLA FINANZA LAICA E DEI POTERI FORTI GUIDATA DA NAPOLITANO, SCALFARI E DRAGHI
Ben altro clima rispetto a quello di Mediobanca si percepiva ieri nei corridoi della Banca d'Italia dove sono riapparsi antichi fantasmi.
Sulle pareti che conservano la fotografia dei Governatori l'occhio dei dipendenti è caduto sui ritratti di Paolo Baffi e Antonio Fazio, due uomini che per ragioni diverse sono stati colpiti dal tritacarne della politica. A rendere pesante l'atmosfera è stata la dichiarazione ignobile di Umberto Bossi che sponsorizzando il pallido Vittorio Grilli per le sue origini milanesi, ha probabilmente contribuito ad affossarne la candidatura.
Le parole del leader del Carroccio sono talmente rozze e barbare da evocare le peggiori pagine dell'antropologia e della fisiognomica. Seguendo il suo ragionamento Ignazio Visco non avrebbe alcuna chance perché è di origini napoletane, e Saccomanni ha lineamenti troppo pingui per il profilo tradizionalmente severo della Banca d'Italia.
Forse non vale nemmeno la pena di prendere sul serio il balbettio tremolante di Bossi, ma fa davvero pena vedere la sofferenza con cui alcuni personaggi difendono l'autonomia della Banca d'Italia. Uno di questi è certamente Angelo De Mattia, l'ex-bracciodestro di Fazio che dopo aver militato nelle fila del Partito Comunista è rimasto folgorato dal Governatore di Alvito.
Il povero De Mattia, che oltre a scrivere fiumi di parole sui giornali del Gruppo Class sta dando una mano a Geronzi per il libro sulle sue memorie, non ha capito che dietro le battute barbariche di Bossi c'è una strategia più sottile che vuole chiudere la stagione di un pezzo importante della finanza laica e dei poteri forti. In pratica, il ragionamento che corre nell'anticamera di Giulietto Tremonti, si appoggia alla volontà di mettere la parola fine a quella superlobby che da anni sputa sul governo e vede i capisaldi in Ciampi, Napolitano, Scalfari e Draghi.
Non siamo alle vecchie crociate tra la finanza laica e la finanza bianca che sono cominciate fin dai tempi dello scontro tra Ferdinando Ventriglia e Paolo Baffi; lo scontro è di puro potere e ha l'obiettivo di occupare la seconda poltrona più prestigiosa in Italia usando l'arma di Vittorio Grilli come corpo contundente per abbattere una superlobby che ritiene scandalosa e pericolosa la politica del Presidente Patonza.
Adesso l'economista Francesco Giavazzi, che è di casa in via Nazionale, chiede a Grilli di fare un passo indietro, e lo dice dal "Corriere della Sera" ricordando che siamo di fronte a uno spettacolo indecente che aggiunge giudizi sprezzanti dai nostri partner europei. à un'invocazione nobile ma inutile, perché il pallido Grilli non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro.
Anche a costo di entrare nella galleria dei fantasmi di una politica provinciale e miserabile.
3 - MORETTI Ã ALLE PRESE CON DUE PROBLEMI: LA CESSIONE DELLA RETE ELETTRICA A TERNA E IL CONTRATTO DEI FERROVIERI
Gli uscieri del palazzo-obitorio delle Ferrovie dello Stato sono molto contenti per il clima sereno dell'azienda.
Da un po' di tempo Mauro Moretti ha smesso di urlare e sul suo viso è stampata la soddisfazione per i risultati del primo semestre che ha registrato un utile di 90 milioni che mai si era visto nella storia delle Ferrovie.
L'ex-sindacalista di Rimini non sembra nemmeno preoccupato per la polemica con il sindaco della sua città che vorrebbe portare l'Alta Velocità sulla dorsale adriatica, e non prova nemmeno fastidio all'idea che i tedeschi di Deutsche Bahn possano mettere le mani sulla piccola compagnia Arena Ways, la prima società che ha sfidato il monopolio delle Ferrovie con il risultato di portare i libri in tribunale.
Adesso Moretti è alle prese con due problemi. Il primo riguarda la cessione della rete elettrica a Terna, la società di distribuzione guidata da Flavio Cattaneo. Il business riguarda 9mila chilometri di rete e dovrebbe portare nelle casse delle Ferrovie circa 700 milioni.
L'aspetto più importante dell'operazione non riguarda soltanto i soldi, ma la possibilità di liberarsi di 2mila dipendenti che lavorano intorno alla rete, un'operazione che serve a far dimagrire il personale e a spostare l'attenzione dal problema del doppio macchinista.
Il secondo problema del manager di Rimini è più delicato e riguarda il contratto dei ferrovieri. Alla vigilia dell'estate la Ntv di Luchino di Montezemolo e dei suoi compagni di merenda ha piazzato un colpo basso perché ha firmato un contratto di gran lunga più innovativo rispetto a quello applicato dentro le Ferrovie.
Adesso Moretti e i suoi collaboratori si sono accorti che hanno fatto una cazzata a snobbare e polemizzare sull'accordo di Ntv con le organizzazioni sindacali, ed è questa la ragione per cui stanno cercando con una discreta azione di lobby di recuperare terreno per non essere spiazzati quando si dovrà rinnovare il contratto ormai scaduto dei dipendenti Fs.
4 - FASSINO-COTA BIPARTISAN
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che nel laboratorio politico di Torino sta nascendo un piccolo esempio di governo bipartisan.
Nei giorni scorsi il sindaco Fassino, il presidente della Regione Cota e della Provincia Antonio Saitta si sono seduti intorno a un tavolo per decidere insieme i tagli e gli investimenti nella cultura e nel welfare".
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