
FLASH! – A CHE PUNTO E' LA NOTTE DELL’INTELLIGHENZIA VICINA AL PARTITO DEMOCRATICO USA - A CASA…
Quirino Conti per Dagospia
Se si venisse a sapere quale succulenta fonte di notizie e malignità - su chi li indossa, naturalmente - siano gli abiti e le relative posture, quale inesauribile sorgente di rivelazioni e inconsapevoli ammissioni, tanto intime e audaci che giungerebbero nuove persino a chi compose su di sé quell'involontario e loquace ritratto, c'è da giurare che tutti, indistintamente, usciremmo vestiti soltanto di neutro sacco.
E comunque, illudendoci: giacché anche così, da piccoli segnali e indizi apparentemente irrilevanti, non la passeremmo liscia; non agli occhi di qualcuno che, per quotidiana consuetudine con le forme e gli stili, sia in grado di raccoglierne confidenze e segreti. Anche da un dettaglio.
Ecco perché sarebbe bastato qualche centimetro in più all'incrocio dei due mezzodavanti che componevano la giacca del viceministro professor Michel Martone (quella nelle foto pubblicate in relazione alle note vicende del giovane non "sfigato", precocissimo talento nizzardo), dunque sarebbero bastati non più di due centimetri per parte, al massimo tre, e l'avrebbe sicuramente fatta franca.
Ma così non è stato: e sotto quella bella testa gramsciana (naturalmente solo per conformazione e corredo), purtroppo non sfuggì all'osservatore l'inconfondibile traccia di due eloquentissime bretelle. Su un primo accenno di adipe, invero. E non si poté non rilevarle: dal momento che poche cose come quell'ormai desueto accessorio sono, al maschile, inesorabilmente indicative e linguacciute; persino sintomatiche.
Così, il Dictionnaire des Arts et des Sciences di Thomas Corneille a proposito delle bretelle: "Galons de fil pour attacher le haut-de-chausse aux enfants et aux vieillards qui ont les hanches basses ou aux hommes trop gras". Dunque, evidentemente perfette per Giuliano Ferrara, o per un bambino (anche se cresciuto). E per quest'ultimo, per "l'enfant", per facilitarlo nella sua incapacità di allacciare o slacciare la cintura del "pantaloncino" (è un bimbo, si sa); ma soprattutto per semplificarne e affrettarne l'eliminazione - o l'abbassamento - a causa delle improvvise, imprevedibili e incontrollabili deiezioni proprie di quell'età . Insomma, per un uso accorto e tempistico del "vasetto", come si usa dire benevolmente.
Chi non ricorda in proposito i deliziosi disegni di Norman Rockwell? E quei piccoli eroi in curiosi pantaloni a una sola bretella in diagonale, nei film di Chaplin ma anche nel nostro Neorealismo? Varianti per il medesimo scopo. Altre ragionevoli cause non se ne trovano, se non appunto metaforiche e di ordine psicologico, in un'età come quella del viceministro.
Dal momento che ogni studioso può confermare con quanta premura e insofferenza ci si affrettò a liberarsi di un simile imbarazzante accessorio - apparso nel vocabolario della Moda a partire dal 1731 circa - già agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, perché stantio e di maniera; in favore di una più muscolare, aitante - ed erotica - cintura. Lasciando alle bretelle tutto il loro sottinteso, bambinesco sapore latteo o, al peggio, quello reazionario, ottocentesco in genere, massimamente Secondo Impero, laddove quei due tiranti trionfarono.
Attualmente sono accessorio prediletto da chi ne ha davvero bisogno, o da chi ne ha un bisogno comportamentale: per un'infanzia in realtà mai risolta né abbandonata; in special modo a livello più intimo e funzionale. Ma anche da certi originali a tutti i costi, stravaganti o soi-disants elegantoni. In genere, narcisisti patologici alla ricerca di una parentesi vestimentaria alla quale appoggiarsi - persino con i due pollici -, prendendone forza, per virgolettare e sottolineare asserzioni pronunciate o anche mute: unicamente espresse, si suppone, dal proprio apparire.
Va da sé che alla bretella fa spesso da pendant il papillon. Altra segnaletica, superata la barriera della prima metà del Novecento, di spiccato carattere narcisistico: un fiocco sotto il mento, insomma, o al colmo del capo (come al femminile, nel caso di Chanel), per rilevare e sottolineare un focus imprescindibile. Quello e nient'altro, con un nodo a chiudere e definire un'espressività reputata incomparabile: quasi una calibrata composizione in un'ideale cornice rivelativa, o all'interno di una insolente legatura della quale quel nodo gibboso e ridondante è apice o chiusa.
Oppure, come nel caso di fisionomie non propriamente di particolare avvenenza - ognuno ricorderà un volto curioso e infiocchettato visto da qualche parte, ad esempio lo stilista Alber Elbaz -, per realizzare e mettere in pratica con quel farfallino evidentemente regressivo un astuto assunto fatto proprio anche da Diana Vreeland: "Non potendo aspirare al grazioso, tantomeno al bello, si ripieghi sul grottesco!".
Sul caratteristico, l'inaudito, il "mai visto niente di simile" (come non pensare, a questo proposito, alla strategica acconciatura impostasi dalla geniale Suzy Menkes - giornalista e grande critica di Moda -, per aprirsi un inconfondibile varco in un ambiente, quello dello Stile, nel quale la forma è un culto?).
Nel nostro caso - il viceministro Martone - si è invece optato per il binomio bretelle-pochette: altro elemento, quest'ultimo, non precisamente consueto nella corrente leadership di un certo assodato stilismo made in Italy, di fatto giovanilistico. Se non per tipizzazioni particolarmente caricate.
Ma quel segnale sbandierato o appena accennato da un lato, catturante e distraente come l'abile gesto di un prestigiatore, rappresenta la quintessenza di tutto quello che nel costume maschile è fuorviante come il più classico ballon d'essai. E, dato per falansterio o reggia la totalità del proprio corpo, uno stendardo metaforico che ne arredi araldicamente la facciata (del genere che, con regole ferree, si issa a Buckingham Palace se la sovrana è a palazzo); o anche, con maggiore espressività , un rigoglioso bouquet sotto un volto da nobilitare.
Dunque, nel nostro caso, da un lato un pantalone che irragionevolmente non vuole star su (simbolicamente) e che, soprattutto, non può evidentemente distaccarsi dalle protettive cure parentali; dall'altro, uno schiocco di dita laterale e autocelebrativo: come dire, "Se riesco a distrarvi...".
Con tali premesse, e in tali circostanze, a questo punto c'è però da chiedersi cosa ne è dello stile del proprio tempo, di quello della propria generazione, e dei propri simili. Implicitamente, poco meno di una gogna formale o di un obbligo per altri. Per chi invece si riconosca in quei panni, la continuità con il passato ciò che più conta, e l'illusione che nulla debba mai cambiare in questa eterna tutela iperprotettiva, appunto, e da nursery. E dunque il peso di quel che si è, o si crede di essere, affidato a un potente ieri che opportunisticamente s'intende immutabile.
Ecco allora finalmente spiegate le incontenibili lacrime del ministro Fornero! Altro che welfare...
Ma un'ulteriore osservazione appare tuttavia inevitabile, anche se fuori tema: ci si domanda cioè con quale raffinatissimo criterio venga selezionato il corpo docente all'Università di Teramo. Se in una città di circa 55.000 abitanti e in un ateneo con un numero di iscritti non particolarmente rilevante si riesce a compattare in un'unica sede: un omofobo integralista (il professor Rocco Buttiglione), un negazionista estimatore di Ahmadinejad (il professor Claudio Moffa) e un tipo spocchioso che, in bretelle e pochette, da viceministro, crede di poter dire simili sciocchezze. Un record ineguagliabile.
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