DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
1.CHUCK PALAHNIUK ALLA FESTA DI ROMA: «QUEL GRANDE FLOP DI FIGHT CLUB»
Raffaella Serini per www.vanityfair.it
Autore di romanzi, saggi, racconti, fumetti, Chuck Palahniuk, lo scrittore più amato e odiato della generazione X, è diventato famoso – o se preferite «di culto» – grazie a un film: Fight Club. Ma non subito. «Di Fight club inizialmente furono vendute meno di 5mila copie, e anche quando tre anni dopo uscì il film, questo rimase in programmazione nelle sale meno di due settimane. Ottenne incassi bassissimi, che provocarono enormi perdite alla 20th Century Fox, e le recensioni furono feroci.
Fu un vero flop», ricorda lo scrittore ospite della 12esima Festa del cinema di Roma. «Solo due anni dopo, quando venne prodotta la versione Dvd del film, Fight Club cominciò a ottenere successo. Prima di allora era stato un vero fallimento».
Quello tra cinema e libri sembrerebbe un legame indissolubile, ma non per Palahniuk. «Ho sempre voluto scrivere storie e libri che i film non avrebbero mai potuto raccontare. Contrariamente ai film, nella lettura la persona è attiva, deve impegnarsi ed essere formato affinché possa capire ciò che sta leggendo. E io volevo scrivere di temi che non avrebbero mai potuto apparire sul grande schermo: temi difficili, impegnativi, complicati».
mazinga con go nagai e andrea occhipinti
Fight Club avrebbe senso ancora oggi? «È una domanda enorme, non credo di poterla affrontare. Ciò di cui sono certo è che finché non sono usciti Fight Club e Matrix non c’era neanche linguaggio adatto ad affrontare determinati aspetti della nostra cultura. Prima non esisteva una lingua per concettualizzare questa realtà».
A molti questa «realtà» così violenta descritta nei suoi libri provoca disturbo, anche fisico. Al punto che, ai reading pubblici dei suoi racconti, spesso si verificano anche svenimenti. «Il mio intento è interagire con il lettore anche a livello fisico e istintivo, creando empatia e facendogli provare l’esperienza del sesso, della droga, della malattia in un viaggio fisico oltre che intellettuale».
jake gyllenhaal firma autografi
A questo proposito, racconta un episodio divertente legato agli inizi. «A 27 anni, mentre lavoravo in fabbrica, mi ero iscritto a un corso di scrittura. Era frequentato da signore carine con mariti medici che scrivevano libri gialli, io invece scrivevo robe orribili. Una volta descrissi una scena in cui un bambino aveva ordinato una bambola gonfiabile simile alla sua pornostar preferita e con essa aveva un rapporto sessuale. Durante il rapporto, però, da un buchino la bambola aveva iniziato a perdere aria, così lui aveva cominciato a copulare rapidamente per arrivare all’orgasmo prima che si sgonfiasse completamente…».
L’insegnante del corso lo chiamò dopo in disparte «per dirmi che molte delle scrittrici non si sentivano più a loro agio in mia presenza e mi chiese di abbandonare il corso». Palahniuk cambiò insegnante, e quello fu l’inizio della sua fortuna.
jake gyllenhaal e jeff bauman (1)
2.IL CICLONE FIORELLO TRAVOLGE L’AUDITORIUM
Gloria Satta per www.ilmessaggero.it
Il ciclone Fiorello travolge l'Auditorium. Invitato da Antonio Monda a raccontare il suo rapporto con il cinema, lo showman riproduce tra i boati del pubblico la celebre camminata di John Travolta in La febbre del sabato sera, mima la scazzottata di Maciste contro un gorilla, demolisce un primo piano di Klaus Kinski («ma è una visita oculistica!»), doppia con la bocca gli spari di una pistola, racconta la sua infanzia trascorsa nel cinema del suo paese, «papà mi lasciava lì tutto il pomeriggio».
Confonde Lelouch con Truffaut, «ma che importa, mica siamo tra gli snob di Venezia». E quando, tra le clip dei suoi film preferiti, compaiono le immagini di Incontri ravvicinati del terzo tipo, scatta l'abbraccio con Monda.
COME IL RED CARPET
È l'irresistibile Incontro ravvicinato con Rosario Fiorello in giubbotto rosso «come il red carpet» dove i fan lo prendono d'assalto dimostra che la forza della Festa di Roma sono proprio questi appuntamenti i cui protagonisti, (Dolan, Gyllenhaal, Nanni Moretti...) svincolati dall'obbligo di promuovere il loro lavoro, parlano a ruota libera, si divertono insieme con il direttore e con il pubblico, insomma danno il meglio di sé.
fiorello con la moglie susanna biondo (7)
I film «della vita» di Rosario? Maciste gladiatore di Sparta, Un uomo e una donna («da ragazzi pensavamo che fosse roba porno, invece che palle!»), il western E Dio disse a Caino, Cinque dita di violenza (arti marziali), Midnight Express.
Scorrono pure gli spezzoni dei film interpretati da Fiorello: Cartoni animati, Il talento di Mr. Ripley, Passione. Lo showman racconta mille aneddoti e la sala esplode dalle risate. Ce n'è anche per Harvey Weinstein, che lo rimproverò di aver rifiutato (non voleva interrompere le vacanze) una comparsata nel musical Nine. «Mi scrisse: non lavorerai mai a Hollywood. 'Sticazzi! Sarebbe come dire a un calciatore che non farà un torneo di basket. Mai pensato di lavorare in America, sto benissimo qui».
3.L’URAGANO XAVIER DOLAN TRAVOLGE LA FESTA DEL CINEMA DI ROMA: «A 8 ANNI HO VISTO TITANIC E MI HA CAMBIATO LA VITA»
Davide Stanzione per www.bestmovie.it
fiorello con la moglie susanna biondo (8)
Xavier Dolan è un talento selvaggio, purissimo, difficile da tenere a bada. Non solo nei suoi film, scomposti e passionali, focosi e generosi, ma anche nel rapporto con i social media, con i fan che ne adorano la sincerità e il modo sfrontato di porsi e raccontarsi.
A soli 28 anni, con un pugno di film all’attivo, questo canadese non ancora trentenne, che ha iniziato il proprio percorso da regista poco dopo i vent’anni, può già vantare una schiera di giovani e giovanissimi ammiratori che hanno contribuito a imporlo come uno dei più grossi fenomeni cinematografici degli ultimi tempi, in bilico tra pop e mélo, tra gusto popolare e vocazione d’autore.
Una zona franca in cui Dolan esprime tutto se stesso, senza preoccuparsi delle definizioni, perché così gli impone il suo carattere indomito, dopotutto: un temperamento che per il momento pare avergli fornito la ricetta dell’eterna giovinezza. Sperando che duri il più a lungo possibile, che questo incanto all’insegna della purezza più assoluta non si spezzi.
enrico brignano con la moglie flora canto (1)
L’Incontro Ravvicinato col direttore della Festa Antonio Monda e col pubblico, che l’ha accolto sul red carpet come una divinità tra selfie e infiniti scatti a lui e al suo nuovo taglio biondo platino, è stato Dolan al 100%: un distillato perfetto del suo istinto voglioso di esporsi, bruciare le tappe, accogliere su di sé e sulla propria arte tutto l’amore e l’irresponsabilità del mondo. In attesa del suo primo film in inglese, La mia vita con John F. Donovan con Jessica Chastain, Natalie Portman e Kit Harington.
Come artista, preferisci recitare o dirigere?
Direi che preferisco recitare, ma quando vesto i panni del regista è chiaro che sto recitando, anche se insieme agli attori che ammiro. Non è così gratificante come quando sono io a recitare, ma per un paio di mesetti o anni la sfango anche così! Trovo sia bellissimo vedere come gli attori cambiano vicino a me, come evolvono, si trasformano. Però mi manca molto recitare e negli ultimi anni vorrei recitare di più, per me o per altri.
Dietro i tuoi film si avverte un senso di necessità molto forte.
Il mio nome prima era impresso solo sul diploma del liceo, non avevo mai fatto niente, ma avevo bisogno di iniziare e come attore ero disoccupato. Ho pensato che magari avrei potuto lavorare a una sceneggiatura sulla mia vita (il film sarà J’ai tué ma mère, inedito in Italia, ndr), perché non ci sarebbe stato nessuno tranne me a essere perfetto per quel ruolo. Ho investito tutti i miei soldi per questa operazione, nessuno mi ha seguito, tranne i miei attori che sono stati leali. Tu parli di necessità, io parlo di problema. Nessuno poteva risolvere il mio problema e me lo sono risolto da solo.
Ami molto le inquadrature lunghe senza stacchi di montaggio, i piano-sequenza?
Quando usi la singola inquadratura senti la tensione palpabile del pubblico, è una grandissima sfida. Una coreografia coinvolge tutti e richiede la dedizione di tutti, ciascuno sul set è coinvolto nella creazione della scena. A volte dopo tanto lavoro non funziona, è troppo lunga e dobbiamo tagliarla. Non voglio che niente metta a repentaglio l’equilibrio della storia, nessun concetto né elemento può mai risultare più importante. La storia, per me, viene sempre prima di tutto.
Quali sono i film e i registi che ti hanno più ispirato?
Non ho visto molti film e spesso vedo la delusione sulla faccia di quelli che mi parlano perché spesso citano film che io devo ammettere di non aver visto. Mi sento sempre in colpa per questo. Quando ho fatto J’ai tué ma mère avevo in testa In the mood for love e sono sicuro che se Wong Kar-Wai lo vedesse mi potrebbe accusare di plagio per aver rubato sfacciatamente da lui! Ho letto un libro che si intitola Ruba come un artista il cui mantra principale recita inizia che sei fasullo e poi diventerai reale e un’altra lezione che mi è rimasta molto impressa nella mente è quella di Coppola che dice vogliamo che voi rubiate da noi, dalle nostre inquadrature finché verrà un giorno in cui qualcuno ruberà da te. Personalmente credo di aver smesso di rubare esplicitamente dopo Tom à la ferme, perché da lì in poi ho cominciato a capire meglio chi fossi.
I tuoi film pongono sempre il rapporto del problema tra la libertà e la felicità. Probabilmente è per questo che piacciono così tanto.
Ci sono molti film su persone che non hanno né speranza né fortuna, oppure lottano ma tutto gli è contro e va storto. Io li chiamo i film della “pornografia del povero”, perché amano parlare di gente ai margini della società ma non gli danno mai una chance. Io invece amo i combattenti, le persone cui viene data una possibilità. Ma alla società questo è piuttosto inviso, perché è più facile mettere qualcuno di fronte al suo fallimento. I miei personaggi non sempre vincono, ma il desiderio di libertà se lo portano dentro e non sono mai dei perdenti.
Non hai mai nascosto di essere un fan di Titanic.
Lo venero, è un prodotto meraviglioso in ogni aspetto, un capolavoro dell’intrattenimento moderno. Una volta l’ho dovuto confessare di fronte a un gruppo di persone formato da Charlize Theron, Sean Penn, Julian Schnabel, Ron Howard. Il mio agente mi aveva portato a questa cena dicendomi che sarebbe stato qualcosa di informale e poi mi sono ritrovato in mezzo a tutta questa gente. C’era chi parlava dei film anni Trenta, chi del cinema africano tra le proprie ispirazioni e io ero terrorizzato di dover confessare Titanic. Ma l’ho visto a otto anni e credo che mi abbia fatto capire di voler diventare regista, anche se a quell’età ero solo consapevole del fatto che volevo subito scrivere una letterina a Leonardo DiCaprio! Quel film mi ha detto “vola!”, abbi fiducia. Non sarà un’opera intellettuale ma io mi sono formato con Jumanji e non mi vergogno più a dirlo, anche se tra i miei film preferiti c’è pure Lezioni di piano.
Tra gli ultimi film che hai visto e che hai amato c’è anche un film di un regista italiano, Call me by your name di Luca Guadagnino.
Ha lasciato un segno profondo su di me, è un film che non solo ti insegna molto sull’amore ma tanto anche sul dolore. La gente dice sempre che un film è deprimente come fosse una cosa negativa, ma quando qualcuno ha sperimento cosa vuol dire soffrire davvero per amore vedi queste cose diversamente. Non sono tanti film i film che celebrano la perdita, eppure tanti miei film sono nati quando avevo il cuore spezzato e volevo far colpo su qualcuno che amavo e avevo perso. Vedendo Call me by your name mi sono sentito compreso perché ho capito che il regista che lo ha realizzato come me sa cos’è il dolore. Ed è consapevole anche che la sofferenza apre tante porte.
amanda lear (3)marina cicognacaterina murino (3)marina ripa di meanabenedetta porcarolimaria stepanova caterina murinomaria stepanova (3)caterina murino (2)andrea roncato con la moglie nicole (2)paolo tavianigabriele mainettienrico brignano con la moglie flora canto (3)cristiana capotondi (3)elena radonichmazinganino benvenuti (2)phil jackson antonio mondaphil jacksonroy de vita raffaella leoneolivia magnanimi faccio un selfie
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