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Emanuela Minucci per "la Stampa"
Chissà che cosa penserebbe Andy Warhol, l'uomo che ha chiuso l'arte contemporanea in un barattolo di zuppa. Lui che aveva trasformato una banale lattina da supermercato in un'icona globale, portando il nome Campbell dagli scaffali dei discount alle pareti del MoMa di New York e motivando la scelta artistica con una frase semplice quanto una minestra di pomodoro: «Io li bevevo tutti i giorni questi concentrati, ho mangiato la stessa cosa per vent' anni».
Ebbene Warhol, che 60 anni fa rese la zuppa Campbell un capolavoro della pop art, oggi potrebbe gridare al tradimento.
Perché gli uomini del marketing Campbell, pur sapendo di maneggiare una leggenda, hanno deciso di cambiarne il vestito. In fondo non hanno modificato granché di quel packaging di massa che sta a Warhol come la Gioconda a Leonardo e la minigonna a Mary Quant. Nessun responsabile del colosso statunitense ha avuto il coraggio di mettere mano ai due colori base, il bianco e il rosso.
La parola «soup» (minestra) è stata stampata con un nuovo carattere e una O inclinata, citazione dell'etichetta originale del 1898. Ridisegnata anche la C della firma di Campbell che diventa un giglio accanto alla dicitura minestra.
Si è insomma toccato l'intoccabile, una lattina che nel 1962 scardinò tutte le certezze dell'arte trasformando la più comune conquista della gastronomia del dopoguerra (una minestra prêt-à-porter che si emancipa da mamme e fornelli infilandosi in tasca) in messaggio rivoluzionario. Con la sua zuppa Campbell declinata in tutte le 32 versioni esistenti e incorniciate come fossero (e lo diventarono!) pezzi da museo, Warhol è riuscito a sublimare la banalità rendendola unica.
E al posto delle spezie (contenute in tutte le zuppe) ci ha messo anche un po' di critica sociale. Più o meno come ha fatto (50 anni dopo però), Cattelan con la sua banana attaccata con lo scotch a una parete dell'Art Basel di Miami e venduta a 120 mila dollari prima che se la mangiasse un altro artista.
Forse Warhol risponderebbe ai nuovi grafici della Campbell con una delle sue celebri frasi: «La vita è troppo breve per prendersela con uno stupido errore». Sarà comunque la storia a decidere se fare queste piccole modifiche (ma è il gesto che conta, e per di più non è dissacrante come i baffi messi da Duchamp a Monna Lisa) sia stato uno sbaglio.
In ogni caso da oggi l'azienda - che sa di aver fatto un mini lifting a un'idea platonica di Contemporaneo - ha pensato di farne un'edizione limitata. Una specie di Gronchi rosa acquistabile come «token non fungibile», la nuova frontiera del business legato alle opere d'arte. Ma la novità varrà almeno quindici minuti di celebrità?
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