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Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Finalmente senza pioggia. In attesa dei tre film italiani in concorso questa settimana Bellocchio-Moretti-Rohrwacher che già sappiamo che non verranno accompagnati da Genny Sangiuliano e Borgonzoni varie a fare la ola per made in Italy nel cinema. Possiamo capire. Giochi di potere e prove per quello che accadrà questo settembre a Venezia, dove non sarà più possibile tenere le distanze dal cinema di sinistra ciodal cinema.
Giochi di potere, anzi Giochi di regina anche nel polpettone in concorso "Firebrand", ennesima versione cinematografica della vita e delle malefatte di quel superWeinstein molestatore e decapitatore di mogli che fu King Henry VIII, qui interpretato da un Jude Law ingrassato in modalità Mario Brega, con tanto di scena trashissima della trombata a culo di fuori (ma non è il suo). Ruolo che come tutti saprete estato portato al cinema da campioni come Charles Laughton e Richard Burton.
In anni post #metoo come questi, tutto è visto dalla parte non di Anna Bolena o di Caterina D'Aragona, ma da quella dell'ultima moglie, Katherine Parr, interpretata qui da una ottima Alicia Vikander, che diventa l'eroina protofemminista di un film costruito un po' a tavolino da ben dieci produttori inglesi, diretto dal brasiliano Karim Ainouz, quello del notevole melo "La vita invisibile di Euridice Gusmao", scritto dalle sorelle Henrietta e Jessica Hashworth, responsabili della serie "Killing Eve" e fotografato dalla Helene Louvart, il sofisticato occhio dei film di Alice Rohrwacher.
Ne viene fuori un ottimo film da serate casalinghe da vedere su Netflix o Amazon, forse non adatto al concorso di Cannes. Certo. I due protagonisti sono bravissimi, vorrei anche vedere, Jude Law fa un cattivo pazzo e malata che deve rappresentare secoli di potere maschile e Alicia Vikander la trepida è rigorosa intellettuale che vede la strada nuova per un futuro migliore.
Mettiamoci anche Eddie Marsan e Sam Riley a contorno, ma non c'è nulla di davvero nuovo nella storia e non andiamo oltre un buon artigianato anche se, in sala, si applaude davvero tutto. Ma è difficile fare la morale trombona contro le piattaforme che uccidono il cinema d'autore se poi spari in concorso film che sono già pronti per la piattaforma.
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