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Marco Giusti per Dagospia
Cannes quarto giorno. Beh, lo sapevamo che qualche mattonata ci sarebbe toccata. Parliamo di The Square, coproduzione danese-inglese-svedese diretta e scritta da Ruben Ostlund, regista del notevole Forza maggiore, che proprio qui da Cannes iniziò una corsa che lo portò nella cinquina degli Oscar.
Come Forza maggiore era un film secco e riuscito, serissimo nel descrivere la crisi di una coppia di fronte all’imprevisto che rivelava il nostro difficile rapporto con la responsabilità individuale e quella collettiva, qui l’imprevisto lancia una specie di commedia grottesca slabbrata e non così divertente che non sembra nelle corde del suo autore, che si perde per due ore e venti alla ricerca di un filo impossibile da ritrovare.
Lì dove un film come Toni Erdmann riusciva a chiudere la sua tela. Protagonista è qui Christian, Claes Bang, giovane direttore di un museo d’arte contemporanea svedese, che sta lanciando la sua prima esposizione, The Square, una sorta di richiamo simbolico all’abbraccio universale per combattere l’indifferenza dei nostri giorni. Proprio prima di entrare al museo, Christian è rapinato di cellulare e portafogli ma, grazie al gps, riesce a capire se non proprio il nome del ladro, almeno il suo indirizzo.
Scrive a tutti gli abitanti della palazzina una lettera minacciosa che gli riporterà, come sperava, la refurtiva, ma darà vita a una serie di contrattempi che metteranno in discussione l’idea di fratellanza proprio della installazione di Christian in un crescendo di situazioni bizzarre. L’idea che ha il regista dell’arte contemporanea è piuttosto banale e non sviluppa nemmeno grandi momenti di commedia.
Magari il pubblico svedese si diverte, ma spesso il tentativo di satira del mondo dell’arte è imbarazzante. Come l’incontro con lo scrittore turbato dalla presenza di uno spettatore ammalato di sindrome di Tourette che seguita a dire cose sconce e pesanti alla moderatrice dell’incontro.
Non parliamo poi della grande scena di sesso di Christian con Anne, Elisabeth Moss, che termina con uno scontro fra i due su chi deve buttare il preservativo nella spazzatura. Peter Bradshaw del Guardian tratta però il film benissimo, quattro stellette, paragonandolo a Lars Von Trier e a Luis Bunuel. Magari mi sbaglio io. Francamente non mi è piaciuto.
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