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Marco Giusti per Dagospia
Euforia di Valeria Golino.
Cannes. Per fortuna arriva il cinema italiano. “Ma tu lo metti o lo prendi? Perché da fratello mi piacerebbe di più che tu lo mettessi” – “Ancora devi farti perdonare da mamma il fatto di essere frocio”. Insomma, anche se il nuovo film diretto da Valeria Golino, che lo ha scritto insieme a Francesca Marciano e Valia Santella con la collaborazione di Walter Siti, presentato oggi a Un Certain Regard, si intitola Euforia, ma nell’edizione internazionale diventa Euphoria, e presenta molta bella vita romana dove scorrono fiumi di coca e festicciole, non è che sia tanto allegro. Diciamo, anzi, che siamo dalle parti di Miele, primo film della Golino da regista, cioè sul crinale della buona morte.
Visto che il fratello etero, Ettore, cioè Valerio Mastandrea, professore a Nepi, sposato con Isabella Ferrari, che ha lasciato per Jasmine Trinca, padre di un bambino non troppo simpatico, ha un tumore non operabile e sta morendo. E visto che il fratello Matteo, cioè Riccardo Scamarcio, omosessuale, ricco e scatenato, tutto affari, festa e coca, lo sa e non solo non glielo vuole dire, ma decide di portarlo a casa sua a Roma, di aiutarlo come può fino alla fine. In tutto questo cercherà anche di ristabilire un contatto con lui, che è la sua famiglia. In qualche modo i fratelli si compensano.
Alle debolezze di uno corrispondono le sicurezze dell’altro. Ma nessuna sicurezza esibita è una vera sicurezza. Ovviamente c’è una mamma forte, Marzia Ubaldi, che vive a Nepi, ottima fischiatrice, e una serie di altri personaggi femminili e maschili che fanno un po’ tappezzeria. E dispiace un po’ sia per Isabella Ferrari, che viene addirittura umiliata dal marito come non più bella, che per Valentina Cervi, sempre brava, anche in versione bionda alla Roberto D’Antonio, che stavolta appare anche in un piccolo ruolo, ormai guru di certo cinema romano. Ma il cuore del film è tutto sul rapporto fra i due fratelli.
Che sono bravissimi, soprattutto Scamarcio, che ha il ruolo più difficile, e che Valeria Golino sa inquadrare con amore. E lui la ricambia trasmettendo al film una specie di malessere da vuoto della vita romana riempita di coca e mille feste inutili. Se gli attori funzionano benissimo, con tanto di cammei notevoli di veri personaggi romani come Angelo Bucarelli e Roberto D’Antonio, soggetto e sceneggiatura non sempre riescono a trasmetterci quella realtà e quel senso di fratellanza che Scamarcio e Mastandrea sembrano avere naturalmente sullo schermo.
Penso ai pranzi di famiglia nella casa da nuovo ricco di Scamarcio, a certi dialoghi troppo banali sull’omosessualità di Matteo, a qualche situazione gay-trash, probabilmente vidimata dalla firma di Siti, che non guasta davvero, come il pompino che Scamarcio cerca di fare a certo Marcello, culturista tatuato con slippino nero e cagnetto rompicoglioni, o la figura dell’amico biondo che vive in casa sua e innamorato di lui (“Io ti amo”), prima definito “dama di compagnia”, poi “famiglia”, che sembra provenire quasi dal vecchio repertorio “finocchiesco” della commedia sexy anni ’70.
Per poi arrivare agli stormi su Roma da manualetto del bravo NanniMorettista de Trastevere. Ripeto. Scamarcio, qui come in Loro, è bravissimo, Mastrandea pure. Insieme sono fantastici. Ma a questa Roma fatta di coca e sesso, che magari è proprio così, non solo non ci credo ma non ci voglio credere. E qualcuno mi deve spiegare davvero il perché di tutta questa coca dilagante sugli schermi dei film italiani. Comunque, subito un premio a Scamarcio sia per Euforia che per Loro 1 e 2. Anche al culturista gay Marcello.
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