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Pierluigi Panza per il Corriere della Sera
Esattamente cinquecento anni fa, l'artista milanese Cesare Cesariano pubblicò a Como, con un ricco apparato di immagini da lui ideate, la prima traduzione italiana del De architectura di Vitruvio, il testo fondativo di tutta la cultura architettonica occidentale. Vitruvio era un architetto latino del I secolo a.C. e si vuole che presentò la sua summa in «dieci libri» (oggi consideriamoli capitoli di un trattato) all'imperatore Augusto.
È in questo testo che, per la prima volta, compaiono i tre ordini di architettura - quello dorico paragonato all'uomo, quello ionico alla donna e quello corinzio a una fanciulla - e i primi archetipi dell'arte di edificare: l'architettura nasce intorno a un focolare e i capitelli nascono dalle foglie d'acanto spuntate in un cestino dimenticato da una fanciulla...
Il 7 e 8 ottobre il Centro studi vitruviano di Fano (dove Vitruvio aveva costruito una basilica, unica sua opera) ricorderà questo fondamentale avvenimento nella storia della letteratura artistica in un convegno che prevede interventi di insigni studiosi come Howard Burns, Werner Oechslin e Pierre Gross. Il De architectura è l'unico testo latino di architettura giunto integro (senza disegni).
Copiato da vari amanuensi, fu conosciuto alla corte di Carlo Magno e poi da Petrarca e Boccaccio, ma riemerse ufficialmente solo grazie all'umanista Poggio Bracciolini, che ne avrebbe scoperto la copia conosciuta nel 1414 nel monastero di Montecassino (ma questo è il mito). Raffaello - studioso di antichità e primo «sovrintendente» di Roma - chiamò in bottega presso di sé l'erudito Fabio Calvo per tradurla (un'altra parziale traduzione fu tentata da Francesco di Giorgio Martini ed è il Codice Magliabechiano 141 della Biblioteca Nazionale di Firenze).
Ma Cesariano bruciò sul tempo le altre traduzioni stampando la propria nel 1521, l'anno dopo la morte dell'Urbinate. Questa traduzione diede vita alla cosiddetta «tradizione vitruviana» che spopolò nell'Italia del Rinascimento e dopo: nacquero da essa i trattati di Alberti, Serlio, Scamozzi, Vignola, Palladio insomma tutto il pensiero di quello che lo storico John Summerson chiamò Il linguaggio classico dell'architettura e che durò fino al Neoclassicismo e anche nella modernità. E che, proprio con il trattato di Palladio, si affermò anche in Inghilterra e in America.
Tutte baggianate? Sì per l'età della globalizzazione, digitalizzazione e finanziarizzazione che non lascia spazio allo studio della tradizione europea nemmeno in quelle che sarebbero le più qualificate Scuole di Architettura, per cui mandiamo i nostri laureati nel mondo, o riceviamo studenti cinesi e giapponesi, senza che leggano una riga dell'italianissima tradizione vitruviana: si laureano senza sapere chi siano Vitruvio, Alberti e Palladio.
Importa solo l'insegnamento della tecnologia, che dovrebbe assicurare un lavoro e un posto nel mondo scelto da altri. Anni fa uscì un bel libro di saggi d'architettura intitolato Dimenticare Vitruvio . Ecco, penso che dovremmo invece ricordare la tradizione vitruviana e far sì che quella linfa scorra nelle vene dell'architetto europeo, dell'architetto latino verrebbe da dire, che deve portare nel mondo questo testo come un vessillo. Il che non significa progettare con i capitelli (!), bensì comunicare e coniugare la storia europea all'engineering , alle smart city , ai fondi di investimento e all'ecologismo non facendosi beotamente risucchiare dal conformismo internazionale.
leonardo da vinci le proporzioni del corpo secondo vitruvio (l'uomo vitruviano). 02 568x600PIERLUIGI PANZAvitruvio de architectura
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