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EDITORIA VARIA E AVARIATA – CAPPELLANI: “I LIBRI CHE HANNO PROFETIZZATO QUEST’EPOCA “SMINUZZATA”? DI DAGO E FERRARA. CON BUONA PACE DI GIAN ARTURO FERRARI - NEL SUO MEMOIR IL MEGADIRETTORE MONDADORI SI PRENDE I MERITI DI AVER SALVATO IL TITOLO DEL LIBRO DI DAGO (“COME VIVERE – E BENE – SENZA I COMUNISTI"), SENZA RINUNCIARE A UNA CRITICA: “UN LIBRO SMINUZZATO, NON UN GRANCHÉ”. E NO. IL LIBRO ERA SMINUZZATO COME SAREBBE DIVENUTA SMINUZZATA LA NOSTRA CIVILTÀ CON LE “STORIES” DI INSTAGRAM, I BOOKTOKER SU TIKTOK...."
Estratto dell'articolo di Ottavio Cappellani per mowmag.com
Gian Arturo Ferrari, ex mega direttore generale di Mondadori (si dice che avesse l’acquario con gli scrittori che ci nuotavano dentro), forse ancora come riflesso pavloviano, si dà sempre ragione, ma c’è un passo, nella sua “Storia confidenziale dell’editoria italiana”, pubblicata da Marsilio nel 2022, su cui avrei da ridire, col Suo permesso, umilmente, devoto, che riguarda uno dei libri che mi hanno formato, “Come vivere – e bene – senza i comunisti” di Roberto D’Agostino, pubblicato nel 1986 e che, nelle categorie del mio pensiero, fa il paio con “Ai comunisti – lettere da un traditore”, di Giuliano Ferrara, pubblicato da Laterza nel 1991, e che insieme formano il dittico letterario dello sgretolamento del PCI.
(...)
Il passo dell’altrimenti piacevolissimo libro di Gian Arturo Ferrari (si dice che avesse un pouf di pelle di scrittori, in ufficio) che vorrei criticare è riportato nell’aneddoto riguardante proprio il titolo (“Come vivere – e bene – senza i comunisti), titolo al quale, nel racconto del megadirettore Ferrari, si opposero sia Caruso, l’editor, sia Formenton, della famiglia Mondadori in persona.
Gian Arturo Ferrari, nel suo memoir, si prende il merito di avere salvato il titolo (prendersi il merito, o procurarsi il merito, o parlare del proprio merito, o raccontare specifici fatti che dimostrano come il merito sia di Ferrari, è una caratteristica del Ferrari stesso – ho avuto la fortuna di incontrare questo gigante, en passant, per un breve periodo della mia vita, purtroppo un periodo fatto di lotte interne, di possibili fusioni – che poi porteranno a Rizzoli/Mondadori) di tagliate di faccia - metaforiche - di gossip e di tutto il cucuzzaro) senza però rinunciare a una critica al volume di Roberto: “Un libro un po’ sminuzzato, non un granché”. E no. Con tutto il servile rispetto che si deve a Gian Arturo Ferrari: e no! Il libro era sminuzzato come sminuzzata sarebbe divenuta la nostra civiltà, era sminuzzato come le “stories”, era sminuzzato come gli “slogan” delle campagne elettorali che hanno preso il posto della grande retorica, era sminuzzato come i mattoni del muro di Berlino e come i Booktoker su TikTok.
La sminuzzazione di “Come vivere – e bene – senza i comunisti” era profetica in senso assoluto, come “Del Pensare Breve”, di Manlio Sgalambro, pubblicato da quell’Adelphi che forse mai ha riconosciuto a Dago la consacrazione ufficiale a casa editrice immagine, e dunque instagrammabile, grazie al cazzeggio meraviglioso sull’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera, che in mano di Dago diventò tormentone (oggi, le case editrici, supplicherebbero perché un loro titolo diventasse un tormentone come quello sui social). Questo era quanto dovevo affidare alla scrittura per ricordare un’epoca strana e meravigliosa, per ricordare due libri strani e meravigliosi, quello di D’Agostino e quello di Ferrara, in cui ancora si frequentava un pensiero adesso scomparso nelle micronarrazioni – come predetto, appunto, da Dago.
gian arturo ferrari
gian arturo Ferrari Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio)
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