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Giulia Bianconi per ''Il Tempo''
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Il film sulla morte di Stefano Cucchi, "Sulla mia pelle", diretto da Alessio Cremonini e presentato al Festival di Venezia, scatena polemiche a non finire. Sia per la notizia (confermata al Tempo dal produttore )che la pellicola è stata finanziata per 600mila euro dallo Stato, sia perché - fanno notare carabinieri, poliziotti, agenti della Penitenziaria in alcune note inviate al nostro giornale- si manda in giro per il mondo una storia controversa, con molti punti oscuri e soprattutto non definita processualmente ma che anzi, fin qui, ha visto sempre sentenze favorevoli agli imputati.
Il primo a tuonare è il Cocer dei carabinieri, l' organo di rappresentanza, che in una nota fa presente «di non aver visto e di non aver alcuna intenzione di vedere il film, per cui nessun commento può essere fatto sul contenuto. Di contro - aggiunge - ci sarebbe da indignarsi se si accertasse che lo stesso è stato prodotto con il contributo dello Stato. Infatti, apparirebbe alquanto strano che, con un processo ancora in corso per appurare la verità, organi dello Stato abbiano finanziato un film che sposta in una sala cinematografica un processo che proceduralmente, in uno Stato di diritto, andrebbe svolto in un' aula di Tribunale. La presunzione di innocenza è un istituto del passato o ancora è sancito dalla nostra Costituzione?».
La pellicola sulla morte del 31enne romano, come detto, è stata presentata ieri alla Mostra del Cinema di Venezia in concorso nella sezione Orizzonti e sarà nelle sale con Lucky Red e contemporaneamente su Netflix il 12 settembre, dopo «aver preso 600mila euro di contributi statali come opera prima», conferma uno dei produttori Andrea Occhipinti.
All' anteprima al Lido era presente anche la sorella di Cucchi, Ilaria, che ha «dedicato» il film a «Salvini e a tutti coloro che si auguravano e continuano ad augurarsi che di questa storia e di tante storie come le nostre non se ne parli più. Questo film è molto attuale - continua la Cucchi assistiamo proprio in questi giorni e in queste ore a chiari esempi di non voler vedere persone o gruppi di persone in quanto esseri umani. Il film racconta una verità e in questo momento è quanto mai importante nel momento in cui si cerca di convincere le persone che il nostro benessere è legato alla negazione dei diritti degli altri».
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La "dedica" al ministro dell' Interno arriva proprio il giorno dopo che il padrino del Festival, Michele Riondino, si era detto «contento di non incontrarlo a Venezia». Salvini, che invece è arrivato al festival ieri sera, ha auspicato di riuscire a «riportare Riondino sulla retta via».
Il lungometraggio interpretato da Alessandro Borghi e Jasmine Trinca racconta gli ultimi sette giorni di vita di Cucchi. Dall' arresto avvenuto il 15 ottobre 2009 per detenzione e spaccio di stupefacenti alla sua morte esattamente una settimana dopo durante la custodia cautelare nel reparto di medicina protetta dell' ospedale Sandro Pertini.
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Per quel decesso sono stati prima mandati a giudizio medici, infermieri e guardie penitenziarie, tutti assolti tra il 2015 e il 2016. Ora di processo ne è in corso un altro nei confronti di cinque carabinieri, tre accusati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità, altri due di falso e calunnia, per accentare se veramente Cucchi sia morto a causa delle percosse ricevute la notte del suo arresto. Il 10 luglio 2017 il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò hanno infatti chiuso la cosiddetta inchiesta bis (aperta tre anni prima), rinviando a giudizio i cinque carabinieri.
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Il regista, che ha scritto il film insieme alla sceneggiatrice Lisa Nur Sultan, ha ammesso ieri al Lido che la difficoltà più grande è stata quella di «ricostruire i fatti, studiando i verbali e le testimonianze. Abbiamo fatto anche noi in qual che modo da investigatori, ma con grande umiltà e senza pensare di essere dei giudici».
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Il film denuncia che ci sono state delle responsabilità e una situazione di omertà su più fronti. Non lo mostra, ma fa capire che a ridurre Cucchi in quello stato furono i carabinieri che lo arrestarono. Condotto in una stanza del commissariato da tre uomini dell' Arma, subito dopo si vede infatti uscire il giovane con il volto tumefatto, claudicante e senza riuscire bene a parlare. Nel corso della pellicola si scopre poi che ha due vertebre fratturate e un enorme livido sulla schiena nella zona sacrale.
«La cosa che spaventa è che tutti quelli che sono venuti a contatto con questo avvenimento non hanno fatto nulla. Si può parlare di omicidio di stato nel momento in cui nessuno si è voluto prendere la responsabilità di dire che quel ragazzo nel giro di qualche giorno sarebbe morto, pur sapendo ciò che gli era successo», ha detto il protagonista Borghi. La Trinca ha parlato del film come di «un atto dovuto».
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