PEREIRA GIÙ DALLA SCALA? SULL’ACQUISTO DI SETTE SPETTACOLI DAL FESTIVAL AUSTRIACO, DI CUI PEREIRA È (ANCORA) INTENDENTE, PISAPIA NON SA CHE PESCI PRENDERE

Pierluigi Panza per ‘Il Corriere della Sera'

La Scala non chiude il caso Pereira-Salisburgo e decide «un supplemento di indagine» prima di rispondere al ministero. «È un tema delicato e bisogna fare verifiche», ha dichiarato ieri il sindaco Pisapia al termine del Cda straordinario del teatro (assente Lissner, non convocato Pereira).

Dopo aver preso visione della memoria difensiva presentata dal sovrintendente entrante Pereira, «bisogna ora chiedere cosa sia accaduto al presidente del Festival di Salisburgo, Helga Rabl-Stadler - ha dichiarato -. Poi risponderemo al ministero, che è il soggetto che decide la nomina o la revoca del sovrintendente». Nei giorni scorsi, infatti, il ministero ha esercitato il diritto di vigilanza chiedendo di conoscere gli atti sull'impegno della Scala ad acquistare sette spettacoli dal Festival austriaco, di cui Pereira è (ancora) intendente.

Per il momento slitta la presentazione della prossima stagione, prevista per il 15 maggio.
Ricostruiamo il caso. Fino ad ottobre 2014, la Scala ha un sovrintendente con diritto di firma, Stéphane Lissner, che però sta pianificando le stagioni dell'Opera di Parigi di cui è già «directeur dèlégué», e uno indicato ma senza diritto di firma, Alexander Pereira, in uscita come «intendent» a Salisburgo. Una situazione ingarbugliata, che si somma alla necessità di rifare lo statuto.

Nonostante abbia «aumentato le presenze», stante forse il suo carattere indipendente o, secondo alcuni consiglieri Scala, «un po' spregiudicato», Pereira non è stato amato a Salisburgo. Tanto che al termine di una conferenza stampa, presente la presidente Helga Rabl-Stadler, alcuni giornali austriaci hanno scritto che il pareggio di bilancio del Festival austriaco è stato ottenuto grazie all'acquisto di sette spettacoli dalla Scala per 1,6 milioni di euro. Notizia ripresa dai giornali italiani, che vi hanno fiutato il conflitto di interessi.

Ma - e questo conterrebbe la memoria difensiva di Pereira - le cose sono diverse. Intanto, per sette spettacoli, «che anche altri teatri volevano», la Scala ha manifestato lettere d'interesse per 660mila euro. I primi quattro spettacoli, andati in scena lo scorso anno in Austria, hanno ottenuto ampi consensi critici.

Uno, i Maestri cantori diretto dal milanese Gatti (250mila euro, andrà in scena nel 2017), è una coproduzione con Parigi firmata da Lissner. Falstaff , con regia di Michieletto (130mila, 2017), definita dal New York Times una «delle cinque migliori opere dell'anno», è stata «acquistata» perché ambientata a Casa Verdi di Milano. Lucio Silla , di Minkowski con Villanzon (30mila, 2016) è opera composta da Mozart a Milano. Don Carlo di Pappano e Peter Stein (250mila per il 2017) è con un eccellente cast. La produzione di queste opere è costata 4 milioni di euro.

Troppe coproduzioni? «Tra il 2012 e il 2014, di 55 titoli rappresentati in Scala solo 13 hanno avuto qui la prima rappresentazione», dice Pereira. «Io, per aumentare la produzione, devo ottenere circa 20 opere da altri teatri. Abbiamo in corso trattative anche con Parigi, Amsterdam, Monaco. Inoltre cercherò di aumentare la produzione dei laboratori Scala».

Infine, il problema legislativo che, con l'ossessione del conflitto di interessi (ma per Salisburgo la vendita è stata firmata da Rabl-Stadler «per evitare questo»), è alla base della questione. Le lettere di Pereira sono «promesse d'acquisto». Per la legislazione di alcuni Paesi stranieri sono sufficienti - sentiti i pareri legali - per essere considerati acquisti veri e propri.

Qui emerge il problema iniziale. Pereira, che non aveva comunicato in dettaglio al Cda i titoli, sta però lavorando su sabbie mobili: senza diritto di firma deve pianificare un super 2015 per Expo. In vista del quale ha fermato anche gli altri tre titoli: Finale di partita commissionato a Kurtag (uno tra i maggiori compositori contemporanei), Der Rosenkavalier e Il trovatore , sponsorizzato dai cinesi per ottenere, poi, «altri finanziamenti». Pertanto chiede fiducia.

 

 

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