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Giovanni Negri per "il Giornale"
La Cassazione prosegue nell'azione di tutela del web. Per colpa di un post non è legittimo sequestrare, oscurandolo, un intero sito. à una misura eccessiva - soprattutto se applicata ai siti che si occupano di costume sociale e attualità politica - e finisce per violare il diritto dei blogger a manifestare il proprio pensiero e quello degli utenti a tenersi informati. Inoltre, siccome il post per sua natura, è poi accantonato da quelli successivi e più attuali, non si può invocare il timore di un danno futuro, per emettere il provvedimento cautelare.
Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza n. 11895 depositata ieri che ha annullato senza rinvio il sequestro del sito www.ilperbenista.it, oscurato dalla magistratura di Udine per via di un paio di post degli utenti, e non del blogger-moderatore, nel quale si prendevano di mira due professionisti che sono ricorsi alla querela.
Ma la pronuncia ha sconfessato la mano pesante invitando i magistrati, se necessario, a oscurare i singoli post ritenuti diffamatori. Non l'intero sito. Dopo avere ricordato che, alla luce della giurisprudenza ormai prevalente, deve essere escluso che il sito internet possa godere delle stesse tutele assicurate dalla legge alla stampa discorso diverso e tutto particolare va invece fatto per un sito che contiene un blog (sito web gestito da blogger che pubblicano periodicamente contenuti multimediali in forma di post o in forma testuale che vengono visualizzati in ordine cronologico).
In questo caso, infatti, precisa la Cassazione, il sequestro ha come effetto, rispetto agli utenti della Rete, quello di bloccare gli accessi ai contenuti del sito, alterando natura e funzione della misura cautelare: al blogger viene, infatti, impedita la libertà di espressione.
La misura cautelare in un caso come questo, allora, introduce un vincolo non solo sul diritto di proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione, ma sul diritto di libertà di manifestazione del pensiero. «Un giusto contemperamento di opposti interessi di rilievo primario - puntualizza la Quinta sezione penale - impone allora che l'imposizione del vincolo sia giustificata da effettiva necessità e da adeguate ragioni, il che si traduce, in concreto, in una valutazione della possibile riconducibilità del fatto all'area del penalmente rilevante e delle esigenze impeditive, tanto serie quanto è vasta l'area della tolleranza costituzionalmente imposta per la libertà di parola».
Nel caso approdato in Cassazione il sito internet è stato oggetto di sequestro solo perché adoperato per commettere diffamazioni, neppure da parte dell'indagato ma da parte di terze persone, ma la pericolosità è tutta da dimostrare. Anzi, conclude la sentenza, lo sviluppo di un blog sul dominio internet rappresenta «una modalità fisiologica ed ordinaria dell'utilizzo del bene, per cui non si ravvisa alcun elemento da cui poter inferire che vi sia un tale rischio, nè potrebbero essere individuati ulteriori elementi da parte del tribunale del riesame». Di conseguenza l'annullamento dell'ordinanza è senza rinvio.
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