RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Antonello Piroso per “la Verità”
Teresa Ciabatti, per nulla compresa nel suo ruolo di scrittrice (sei romanzi, l' ultimo, Matrigna, è del 2018), due anni fa era la vincitrice annunciata del premio Strega con La più amata. Arrivò seconda ma è sopravvissuta, grazie anche a una notevole capacità di autoironia. Digitando il suo nome su Google...
«Non ci vado su Google, preferisco non sapere quello che dicono di me, immagino ci sia scritto più male che bene».
Notizie false?
«Sono quelle vere, che vorrei far sparire. Per qualche tempo per vezzo mi toglievo tre anni. Io alteravo la data di nascita, e mi ritrovavo regolarmente quella vera (il 5 maggio 1972, ndr)».
paolo cognetti teresa ciabatti
Ricordo un post solidale di Melissa Panarello dopo lo Strega: «Sulla mia bacheca c' è più gente che esulta per la non vittoria di Teresa Ciabatti che per la vittoria di Paolo Cognetti. Il che, in poche parole, fa capire quanto quella di Teresa sia tutt' altro che una sconfitta».
«Mi sono ritrovata nel frullatore. Quando mi dissero: "Ti candidiamo allo Strega, te la senti?", pensai: "E che sarà mai?". Ma un conto è la dimensione del sogno - "voglio diventare famosa, avere successo, ottenere il più prestigioso premio italiano" - altro è ritrovarsi dentro a un meccanismo per cui quello che scrivi viene passato ai raggi X, insieme alla mia vita però riletta così come l' avevo sublimata nel libro».
Un' autobiografia feroce e impietosa, ma finta, costruita?
«Da un punto di vista letterario era quello il mio obiettivo. Solo che poi la cosa è sfuggita di mano. Non che io non ci avessi messo del mio: la voce narrante si chiamava come me e condivideva con me alcuni passaggi esistenziali, ma era altro da me, in una dimensione manipolata e manipolatoria».
Che personaggio aveva in testa?
«Una protagonista in negativo, simbolo di bassezza e infantilismo, un essere abbietto che liquida sbrigativamente la morte dei genitori e si strugge perché ha perso la villa con la piscina. Solo che il mix è diventato parte integrante del gioco. Ho dato interviste orribili, in cui non rispondevo io ma era lei a intervenire, in una prosecuzione senza soluzione di continuità. Alla fine ho dovuto cancellare la mia pagina Facebook».
La insultavano?
«Mi aggredivano per conto della protagonista del libro. Ma fossi stata davvero la stronza del romanzo avrei retto botta alla pressione. "Toglietele la figlia", invocavano (la scrittrice ne ha una di 9 anni, Agata, ndr). Mi sono spaventata. Ma ero io ad aver usato il mio profilo così, creandomi una sorta di alter ego, facendo replicare "lei" al posto mio».
Linea di confine pericolosa, quella tra simulazione di quel che non si è e dissimulazione di ciò che si è. Lei nasce a Orbetello, figlia di un noto primario e di una dottoressa anestesista, e con un fratello gemello.
«Il punto di svolta è la morte di mio padre, quando avevo 19 anni. Mi sono resa conto che c' erano zone oscure, un' area di non detto ignota perfino a mia madre. Avevo il problema di comprendere chi fosse stato e perché a casa nostra sfilassero, oltre a Licio Gelli, politici di prima fila a omaggiarlo».
Qualche nome?
«Li avevo messi nel libro, la casa editrice me li ha fatti togliere. E qui mi taccio».
Suo padre era nella loggia P2 di Gelli?
«Ritengo di sì. Ricordo come lui si riferisse alla massoneria ufficiale con toni vagamente irridenti. Aveva quel piccolo tesoro di grandi lingotti nel suo studio, ricevuti in custodia dallo stesso Gelli, pare oro jugoslavo della seconda guerra mondiale. Poi li nascose in ospedale. Appena morto, i "fratelli" arrivarono prima di noi e li fecero sparire, prosciugando anche i conti correnti, otto, di cui tre in Canada».
A metà del liceo classico, il trasferimento a Roma.
«A Orbetello mi sentivo "'sto cazzo", ricca e considerata. A Roma ero nessuno. Mi sentii esclusa, anche perché ero decisamente in sovrappeso. Per il desiderio che gli adolescenti hanno di essere accettati dal gruppo, chiesi a mio padre una festa per i 18 anni in pompa magna. Con l' abito lungo, il fiocco dietro a stringerlo, i miei chili in eccesso».
Una specie di caramella Sperlari gigante.
«Non venne nessuno. Se mi sono messa a scrivere, in fondo è per eventi così. L' immaginazione nasce da questo genere di lateralità, si lavora di fantasia. Vivi le vite che non ti sei potuta permettere. Se hai un' esistenza intensa, figa, non fai lo scrittore. Scrivi perché guardi da un angolo, da testimone e non da protagonista, sei ai margini, o perché ti ci hanno messo come nel mio caso, la cicciona schifosa, oppure perché ti ci sei messo da solo, per scelta. Ma questa è la razionalizzazione del poi: all' epoca per quel rifiuto ci fu solo sofferenza».
Dopo la laurea in lettere, l' approdo alla scuola di scrittura Holden.
«Avevo 23 anni ma una mente da ragazzina, non riuscivo a stare lontana da casa, e poi c' era un clima troppo competitivo, sgomitavano tutti per emergere».
Non subì il fascino burroso di Alessandro Baricco?
«Non ho avuto tempo, due mesi e ho abbandonato. Sono tornata a Roma, incamerando un altro fallimento, tutte cadute che mi hanno aiutato a crescere. Come le stroncature. Il mio primo romanzo nel 2002 non ebbe né lettori né recensioni. Tranne una. Titolo: Il peggior libro dell' anno».
Chi la firmò?
«Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera».
Be', adesso lei collabora all' inserto La Lettura, se ne sarà fatto una ragione. Ha detto: «un altro fallimento», un altro dopo quale?
«All' università avevo trovato un volantino per un corso di teatro, e mia madre mi esorta: "Vai, così ti sblocchi, impari a socializzare". Era in una palestra a San Lorenzo qui a Roma, una quindicina di disperati, un corso di ex attore in disarmo. Me ne sono andata pure da lì, mi rifiutavo di salire sul palco, mi ero data solo una missione: convincere un altro partecipante a mollare. Gli telefonavo: «Vuoi fare l' attore? Ma non hai nemmeno le phisique du role, lascia perdere». Era Ascanio Celestini. Gran fiuto, il mio, eh?».
In tutto questo, nessun peccatuccio? Una sbronza, una canna in compagnia, sesso promiscuo?
«Allora non ci siamo capiti: sono stata sempre una persona inabile a costruirsi una vita avventurosa e trasgressiva. Solo grandi abbuffate di cibo, per assolvermi mi convincevo: "Tanto dopo vomito". Non riuscivo neanche in quello. A 13 anni ero già vecchia dentro, e tale sono rimasta.
Sveglia alle 7, scrivo fino alle 18.30, alle 20 mangio sul letto davanti alla tv, alle 21 dormo, sto sempre a casa perché ci vivo bene, mi piace stare tra le mura domestiche. La verginità l' ho persa a 21 anni, era una cosa che andava fatta, mi sono detta: "Metto sotto il primo che capita". Ho un marito che è un santo, che ama 'sto cadavere, io manco so cucinare, e mia figlia di 9 anni nei disegni lo rappresenta iperattivo, con me perennemente sdraiata sul divano».
paolo cognetti helena janeczek
Anche quest' anno sarebbe noto il nome del primo classificato allo Strega.
«Due anni fa era scritto dovessi vincere io, le Iene avevano già montato un servizio televisivo ad hoc, e com' è finita? E che dire delle grandi case editrici sempre lì a tramare? L' anno scorso ha prevalso Helena Janeczek. Con Guanda».
Mi sta dicendo che, per il rasoio di Occam, a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire.
«Lo Strega considera i lavori più importanti dell' anno, c' è un direttivo serissimo che fa un grande opera di selezione. Quest' anno sono arrivati a 57 libri, si è giunti alla dozzina conclusiva, da cui emergeranno i cinque finalisti. Dopo di che, io volevo vincere, mi ero autosuggestionata, anche se il mio problema era "Oddio, la sera della vittoria come mi vesto?". Ma se poi perdi, ci devi stare, non puoi mistificare, raccontarti un' altra verità. Io a tutti questi geni incompresi sconfitti da oscure macchinazioni o congiure galattiche non credo».
Vorrebbe essere un' autrice da bestseller? Fabio Volo, che pure li sforna, pare soffrire del fatto che l' establishment non lo consideri.
helena janeczek vincitrice del premio strega 2018 (9)
«Piacerebbe certo anche a me avere milioni di lettori, ma non succederà. Purtroppo. Se vendi tanto, vuol dire che hai intercettato un gusto, un comune sentire. Non puoi declassare i lettori altrui a persone di bocca buona, "sempliciotti che comprano i libri in autogrill", e altre snobistiche giustificazioni consolatorie del genere. Come quegli intellettuali che si vantano di non averla neppure, la tv: se vuoi essere un testimone del tuo tempo non ne puoi prescindere».
Lei cosa guarda?
«Chi l' ha visto?, Maria De Filippi, i ciccioni di Real time, mostri dai corpi deformi, con il chirurgo che tratta malissimo i pazienti, con partner che sono i loro carcerieri. La soddisfazione massima è quando non ce la fanno a raggiungere l' obiettivo di perdere peso».
Una proiezione freudiana?
«Mi piacciono tutte le patologie ossessivo compulsive: i sepolti in casa, gli accumulatori seriali, i risparmiatori seriali, ne ho scritto anche per La Lettura».
Tirchi?
«Quelli che trovano un coniglio morto sull' asfalto, lo spellano per farci una borsettina, e poi se lo mangiano, pur di non spendere».
Ci sarebbero poi i venditori di sogni (o di fumo) seriali, come spesso sono giudicati i politici.
«La politica l' ho sempre seguita a distanza, ma ora penso sia il momento di fare la propria parte. Mi sento molto rappresentata dalle parole di Michela Murgia. Io non ho il carisma per stare in prima fila, ma la necessità di impegnarsi è imposta dai tempi.
Il governo gialloblù è inquietante, ma non mi piace neppure l' ipocrisia di chi, dalla stessa parte della barricata, quando qualcuno si espone è pronto ai distinguo, alle puntualizzazioni, a fargli le pulci. Peggio del leghista che ti manda a fare in culo è il fuoco amico».
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