
DAGOREPORT - GENERALI, MEDIOBANCA, MPS, BPM: NESSUN GOVERNO HA MAI AVUTO UN POTERE SIMILE SUL…
L'ESOR-CICCIO DEL GIORNALISMO ITALIANO - IL VULCANICO CICCIO BONGARRA’ SI RACCONTA: DALL'''OSSERVATORE ROMANO" AL "TIMES" DI LONDRA, DA LEOLUCA ORLANDO ALL'ANSA, DA DISCEPOLO DI COSSIGA (“MI HA DATO UN METODO E MI HA APERTO LA TESTA'') ALLA GUIDA DELL’ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA A LONDRA (“LA MIA GIOIA È METTERE INSIEME GENTE DI GRANDISSIMA CULTURA") – PER COLPA SUA I DEPUTATI PARLANO CON LA MANO DAVANTI ALLA BOCCA: “DA RAGAZZINO A PALERMO HO FATTO IL VOLONTARIATO ALL’ISTITUTO PER SORDOMUTI E QUINDI HO IMPARATO A LEGGERE LE LABBRA”...
Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera” - Estratti
C’è un giornalista anglo-siculo di lungo corso alla guida dell’Istituto italiano di cultura a Londra: Francesco Bongarrà, Ciccio per chi lo conosce, è uno che non sta mai fermo, un vulcano in eruzione di idee e di iniziative.
Nel giro di poco più di un anno ha portato nei saloni di Belgrave Square i più bei nomi delle lettere italiche, da Chiara Valerio a Giulia Caminito, da Donatella Di Pietrantonio a Vincenzo Latronico, per citare solo gli ultimissimi, facendoli incrociare con altrettante stelle del firmamento letterario britannico, da Jonathan Coe a Olivia Laing.
CICCIO BONGARRA CON FRANCESCO COSSIGA
Una passione e una frequentazione, questa con il mondo anglosassone, che gli viene da lontano: «La prima vittima è stata mio fratello Sebastiano, col quale da ragazzo condividevo la stanza da letto — racconta Bongarrà —. Capii che l’inglese poteva aprirmi il mondo, che questo poteva essere un posto diverso rispetto alla mia Brancaccio, a Palermo, dove stavo. Io non vengo dai quartieri alti, vengo da una famiglia borghese, dove parlavano francese.
Ma i miei genitori mi regalarono una radio a onde corte: e io ci trovo la BBC, la sera riuscivo ad acchiappare questo segnale. Lo facevo a letto: mio fratello si metteva a dormire e io mi attaccavo questa radiolina vicino all’orecchio, così l’inglese mi comincia a entrare in testa.
Mi ci sono messo di tigna, fino a partire per la Scozia per l’università: e qui mi si apre un mondo cosmopolita che si sposa benissimo con la mia sicilianità».
Gli arabi chiamavano la Sicilia l’anello di congiunzione: «Secondo me — continua Bongarrà — il siciliano che mette la testa fuori diventa il più cosmopolita di tutti, perché forte del suo passato ha acquisito uno sguardo curioso, da spugna: e io divento una spugna».
Dall’università in Scozia, Ciccio scrive per l’ Osservatore Romano , una collaborazione che era iniziata a sedici anni in Sicilia con una confessione in chiesa (lui professa una devozione religiosa d’altri tempi): «Il prete, uscito dal confessionale, mi chiese cosa volessi fare da grande: e io gli dico il giornalista». Era padre Gianfranco Grieco, lo storico vaticanista del giornale della Santa Sede: «Ti aspetto domani all’ Osservatore Romano », mi disse.
Dopo l’università in Scozia, arriva l’assunzione al Times , con un’infornata di giovani laureati: «Al Times allora si andava vestiti da Times — rievoca Bongarrà —. Avevo ventuno anni, mi presentai con un blazer blu, pantaloni grigi e una bella cravatta di Gucci verde.
Il direttore mi chiama e mi dice: “Stai andando a un cocktail party?” Perché lo spezzato proprio no. “Il giornalista del Times deve essere pronto a intervistare in qualunque momento il primo ministro o il capo della nettezza urbana: dunque devi essere vestito di conseguenza”. Così mi mandarono da un sarto e mi vestirono: mi vestì il Times ».
Dopo un paio di anni gli arriva però un’offerta da Leoluca Orlando, neo-sindaco di Palermo, che cercava un portavoce che fosse un po’ poliglotta: «Era il periodo del rinascimento di Palermo, Orlando aveva una grande proiezione internazionale. Così a 23 anni tornai nella mia città da portavoce del sindaco. Ma intanto continuavo a collaborare col Times e la Reuters dalla Sicilia».
Perché Bongarrà il giornalismo ce l’ha nel sangue (porta pure la camicia con i reggimaniche): «Finito questo incarico a Londra tornerò a fare il giornalista, sono solo in aspettativa dall’Ansa , che è la mia casa. Lì mi sono divertito». Lui è stato infatti per lunghi anni soprattutto il cronista parlamentare dell’agenzia di stampa nazionale, un osservatorio privilegiato che lo ha portato al cuore della nostra politica:
«Se non avessi fatto questo lavoro non avrei conosciuto Francesco Cossiga, che è stata la persona che ha più inciso su quello che sono e che mi manca terribilmente: Cossiga mi ha dato un metodo, mi ha aperto la testa. Quando faccio le cose, penso: chissà mia mamma e il presidente cosa avrebbero detto. Mi mancano terribilmente…». E qui la voce gli si incrina e gli occhi arrivano a bagnarsi di lacrime.
La sua più grande gioia era andare in Transatlantico, il salone della Camera luogo di incontro dei deputati: «Non so perché, ma con me parlano tutti: forse perché parlo tanto, ma so anche ascoltare.
(...)
Ed è un vizio che non ha perso neppure a Londra, dove ogni settimana fa una capatina a Westminster: «Fare una chiacchierata con un deputato è il modo di avere il senso di un territorio», sostiene.
Ma i rituali sono diversi, «nel nostro Transatlantico c’è molta più confidenzialità, il nostro caffè alla buvette è fonte di notizie: stai là, senti, guardi, ascolti e trovi le cose».
L’aneddoto più gustoso che regala è il fatto che i deputati parlano con la mano davanti alla bocca per colpa sua, perché è capace di leggere il labiale: «Da ragazzino a Palermo ho fatto il volontariato all’istituto per sordomuti e quindi ho imparato a leggere le labbra. Santa Lucia mi ha dato degli occhi pazzeschi: senza binocolo, perché è proibito in aula, io vedevo, leggevo il labiale e quelle cose le scrivevo.
Il mio caporedattore mi diceva: ma ha detto davvero questo? Io rispondevo: l’ho visto coi miei occhi! Fu il portavoce di Pier Ferdinando Casini a dirgli: “Copriti la bocca, che c’è Bongarrà in aula”. E da allora fanno tutti così». Un accorgimento che non ha attecchito a Westminster: «Non ne hanno bisogno, perché qui è tutto molto più aperto, palmare».
Dopo la politica, l’altra sua passione è la musica: Ciccio ha l’orecchio assoluto e suona il pianoforte senza spartito e senza conoscere le note.
«Grazie alla musica ho fatto l’intervista al fratello di papa Ratzinger, monsignor Georg», rivela. Appena eletto Benedetto XVI, il direttore dell’ Ansa lo manda nel paesino della Bassa Baviera sulle tracce del fratello del Papa.
«Vado davanti alla sua casa e c’era la fila dei colleghi. Avevo però in tasca la tessera del supermercato del Vaticano che mi era rimasta da quando lavoravo all’ Osservatore Romano . Vado allora dal poliziotto e gli mostro la tessera: “Vaticano!”.
E lui mi fa entrare... meglio di un film di Verdone!». Ma una volta dentro, quando dice di essere dell’ Ansa lo cacciano fuori: uscendo però vede una spinetta, uno strumento originale tedesco del Settecento. «Chiedo se la posso provare, io so a memoria un brano di Bach e lo suono senza leggere la musica. “Venga dentro”, mi dice il fratello di Ratzinger, e così faccio l’intervista».
francesco bongarra dago foto di chi
Bongarrà continua a esibirsi pure a Londra: celebre il suo duetto al piano, al termine di una serata all’Istituto, con l’austero Carlo Cottarelli. «Ma il posto più bello dove ho suonato è stata l’ambasciata d’Italia a Bagdad, dove era rimasto un pianoforte scordato. Si sentivano i missili che volavano, mi misi a suonare e arrivarono tutti i Carabinieri del Tuscania a cantare con me canzoni napoletane».
A Londra Bongarrà ci è arrivato dopo la Brexit, ma non ha percepito particolari difficoltà: «Dal punto di vista dell’interesse e degli scambi culturali, l’Inghilterra e l’Italia non si sono mai allontanate: loro sono innamorati di noi, anche se non ce lo dicono. Però questo innamoramento lo percepisci».
Il suo mantra è aprirsi a ciò che c’è fuori, far arrivare più gente possibile: «Abbiamo creato una linea editoriale — spiega — io sono un giornalista, faccio un menabò: non faccio un programma culturale, disegno le pagine». E così l’età media di chi viene in Istituto è crollata, mentre i contatti sui social media sono schizzati in alto.
«Quando comincio gli incontri dico: benvenuti a casa vostra. Perché qui da noi la gente si sente a casa, e vale ancora di più se lo dici agli inglesi, che sono così diffidenti. Tutte le persone che vengono qui sono tessere preziose del mosaico dell’Istituto di cultura: è il mosaico di Ciccio, il mosaico di Francesco Bongarrà».
Lui si vede come uno che mette la gente assieme in maniera normale, senza atteggiarsi a fare il professore: «La mia gioia è mettere insieme gente di grandissima cultura e preparazione e gente che magari fa altro, ma viene qui per capire che succede. Anche qui gioca la sicilianità, l’anello di congiunzione. Se riesci a fare quello… secondo me ci sto riuscendo, con semplicità. Tutto il resto è noia».
francesco bongarra Inigo Lambertini
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francesco bongarra
dago all istituto italiano di cultura a londra foto di chi
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