
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
Marco Giusti per Dagospia
Quinto giorno di Festival di Roma. Sono giorni di grandi emozioni all'Auditorium. Sono arrivati i vampiretti di â'Twilight'', Riccardo Scamarcio, Charlotte Rampling, Isabelle Huppert, Umberto Croppi si è stranamente dileguato, mentre il povero Pupi Avati si è sentito male durante la visione di "L'illazione" di Lelio Luttazzi ed è finito all'Umberto I (beh, non porta bene puntare al posto di Rondi, i vecchi critici lo sanno da tempo...).
Per "L'industriale" di Giuliano Montaldo ieri sera si è presentato in Sala Santa Cecilia addirittura il Presidente Giorgio Napolitano con la moglie Clio accolto da applausi sinceri e da un Rondi in piena forma. Il film di Montaldo, va detto, soprattutto rispetto a quel che si è visto nel concorso, non sarà un capolavoro, ma è un film solido, ben scritto da Andrea Purgatori, con una fotografia elegante quasi in bianco e nero di Arnaldo Catinari, un cast credibile, dei set perfetti, una regia un po' antiquata ma funzionale, ma, soprattutto, una conoscenza precisa degli ambienti e delle storie che si stanno mettendo in scena.
Il mondo degli industriali e dell'alta borghesia del Nord Italia è qualcosa di credibile, non come nel confuso "Il gioiellino" di Molaioli, costruito sul crac Parmalat dove non riuscivi a seguire la storia perché non credevi a nessuno dei personaggi e a nessuno degli ambienti descritti (men che meno a Parma ricostruita a Acqui). Montaldo è un vecchio signore, conosce il mondo che descrive e riesce a inquadrare Torino e i suoi ambienti alto borghesi alla perfezione.
Trionfo del product placement regionale, ci sono anche momenti un po' troppo pubblicitari, come la visita al bar Streglio, ma comunque il tutto funziona. Pier Francesco Favino è un industriale in carriera che si ritrova nel pieno dell'attuale crisi. Dovrebbe chiudere e licenziare, o vendere tutto a qualche strozzino, invece decide di lottare.
Come in un film di Bolognini anni '60, ha non pochi problemi anche con la moglie, Carolina Crescentini, più ricca di lui, con madre insopportabile. Pensa che lei lo tradisca con un garagista rumeno (beh, a questo magari non ci crediamo...), e confonde la sua guerra per la fabbrica con quella in famiglia con risultati, alla fine, drammatici.
Anche se proprio nel sovrapporre questo doppio tema, quello sociale e quello personale, Montaldo e Purgatori fanno un po' di confusione, il film alla fine funziona sia per la sua eleganza sia per la sua messa in scena un po' antica ma non da fiction, da commedia borghese post-neorealista.
A ben vedere funzionano meno altri film in concorso. L'australiano "The Eye Of The Storm", ad esempio, diretto da Fred Schepisi, tratto da un romanzo celebre (solo in Australia...) di Patrick White dei primi anni '70, vive interamente sulle prove dei suoi notevoli interpreti. Charlotte Rampling, che recita da ottantenne su un letto per quasi tutto il film come madre in punto di morte, Geoffrey Rush e Judy Davis, anche produttori, che fanno i figli massacrati dal suo carattere dominante ancora in cerca di affetto.
Siamo di fronte a una specie di Tennesse Williams australiano, ben fatto e ben girato, ma un po' privo di vita. Molto interessanti ma vagamente inconcludenti anche l'anglo-franco-polacco "La femme du cinquième" del polacco Pawel Pawlikowski con Ethan Hawke e Kristin Scott Thomas e il supernordico (Svezia-Norvegia-Germania) "Babycall" di Pal Sletaune con Noomi Rapace.
In entrambi i film siamo di fronte a complessi thriller con genitori fuori di testa e vagonate di fantasmi con una serie di colpi di scena finale che nella terribile sala per critici del Festival magari ci svegliano, ma ci confondono parecchio le idee. Alla fine, così, nessuno ha capito niente o quasi.
"La femme du cinquiéme", ad esempio, nella sua prima parte, è abbastanza sorprendente, soprattutto per messa in scena, con Ethan Hawke, scrittore americano uscito da una pesante crisi, che arriva a Parigi per stare vicino alla figlioletta. Viene subito derubato e finisce in una topaia, tenuta da un arabo malavitoso, che sta con una biondina polacca. L'arabo gli offre un lavoro misterioso, apre la porta di notte a dei brutti ceffi in un palazzo apparentemente vuoto.
Senza dormire e già pazzo di suo, cade tra le braccia di una affascinante rumena, Kristin Scott Thomas, vedova di uno scrittore polacco, che prima di portarselo a letto, lo lava perché puzzava (anche i fantasmi hanno un naso...). Poi si fa anche la biondina. E poi cominciano i casini con un finale poco comprensibile.
"Babycall" parte invece da una mamma suonata, Noomi Rapace, che vive in un grande palazzone popolare, tipo quello di "Lasciami entrare", con il suo bambino, freddo e indifferente, che lei cerca di difendere da un padre killer. Solo che lei vede e sente cose che non esistono, o forse esistono. Si compra un babycall per ascoltare che nella camera del figlio non accada nulla e inizia a sentire delle voci. Poi appare un misterioso amichetto del bambino... Insomma, siamo dalle parti dei thriller paranormali spagnoli tipo "The Others". Niente di nuovo, ma in sala funzionerà .
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA…
DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE…
DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL…
FLASH – BRUNO VESPA, LA “SPALLA” DEL GOVERNO MELONI: IL GIORNALISTA IN RAI E' PERFETTO PER DARE…
DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL…