DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Giusti per Dagospia
Autore di alcuni dei film di genere più interessanti e personali degli anni ’70, “Il sorriso della signora in nero”, “Pensione paura”, già protagonista come attore di “Prima della rivoluzione” di Bernardo Bertolucci e “La parmigiana” di Valerio Zurlini, sopravvissuto con la pubblicità al mondo del cinema romano che non lo ha mai amato, ritroviamo l’indomabile Francesco Barilli, ormai ottantenne, alle prese con un nuovo lungometraggio, un piccolo horror autoriale ambientato nel mondo dell’opera, “Il paese del melodramma”, girato interamente nella sua città, Parma, dove è tornato a vivere da qualche anno.
Certo, non è più la Parma dei Barilli, dei Bertolucci né dei Pietro Bianchi né dei fratelli Bazzoni, quella dove si muove col bastone il vecchio Barilli, ultimo rimasto di un mondo che è davvero più vicino a Giuseppe Verdi che al cinema moderno. E a Giuseppe Verdi, che lo stesso Barilli ha interpretato, qualcuno si rivolgerà alla fine del film, preferendolo perfino a Dio come possibile salvatore in grado di compiere miracoli.
Nel film, che a Roma, è proiettato in una sola sala, al cinema Eden, con una sola miserabile proiezione, alle 15 (ma a volte sono le 15,30), senza sconti neppure il pomeriggio; quindi, in due fanno 20 euro (andavamo all’opera!, ha detto Ciro Ippolito), c’è un giovane talentuoso cantante d’opera, Luca Magri, che, in preda all’alcol dopo la morte di moglie e figlia, non sa più cosa farsene della sua vita.
Vede addirittura la Morte Secca con tanto di capelli lunghi e grande falce, interpretata da un redivivo Luc Merenda (in gran forma devo dire, malgrado il ruolo) gironzolare per Parma. E’ proprio la Morte che gli chiede di cantare nel Macbeth che si sta per mettere in scena al Regio di Parma. In cambio di cosa? Il cantante ha perso tutto. Cosa altro può offrire? A stento il vecchio padre, Barilli, stesso, cerca di fermare il suo declino nell’alcol.
“Il paese del melodramma” è un piccolo film girato in tre settimane con un budget limitato. Con qualche soldo in più sarebbe venuto meglio. Ma già così, lo preferisco agli horror padani di Pupi Avati e a tanto cinema italiano che si vede in giro. Almeno Barilli sa dove mettere la macchina da presa, si permette piccole citazioni cinematografiche (da dove è presa la sigaretta accesa sempre dalla parte sbagliata?), si permette di offrire un ruolo da attore a un critico di genere come Davide Pulici, è un prete perfetto, e sa dialogare con l’opera e con Verdi. Come pochissimi. In sala per 14 giorni. Ormai ne resteranno 12.
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